Tour 2015
Le Bourg-d'Oisans
22 - 26 luglio
Il Tour della sesta Alpe d'Huez
Elementi
Le Bourg-d'Oisans
è una ridente località nella valle della Romanche che vanta tremilacinquecento
anime residenti, dodici hotel, una casa di riposo, tre negozi di articoli
ciclistici e un solo monumento: l'Alpe d'Huez, visitato da sciatori o ciclisti,
mutualmente esclusivi a seconda della stagione. Sulla sua spiraliforme salita l'Empolitour
gettò i primi tre semi nel 1990, quando Caparrini non era né presidente, né
supremo e temeva d'interromperne la scalata già sul primo dei ventuno tornanti.
È una salita molto amata dal Tour e poco dall'Empolitour che quando l'ha
rivisitata negli anni 1994, 1997, 2004 e 2011 l'ha trovata geometricamente
crescente in ciclisti, pedoni, automezzi e gendarmi fino a decretarla
inscalabile nel giorno di tappa.
La numerologia
l'avrebbe prevista nel 2018 dopo un settennato dall'ultima esperienza, ma il
supremo prenotatore, dopo aver subito fin da ottobre veti alberghieri
insormontabili nella più confacente valle della Maurienne, ha deciso questo
ripiego adattativo nel primogenito luogo di Tour che comunque quando passa da
queste parti annienta ogni speranza d'alloggio. Per fortuna e pazienza il
Terminus del sedicente ciclista Chris gli ha concesso tutte e sette le camere
dove sarebbero stipabili ventidue ciclisti teorici e dove per buona pace
dell'agio ne sono arrivati sedici effettivi, per tacere dell'auriga.
Facile è
classificarli e ordinarli se si contano per ciascuno le Alpi d'Huez sociali
maturate in questi venticinque anni. A punteggio pieno di cinque rimangono solo
i patriarchi Caparrini e Nucci Ro, seguono Chiarugi con tre, Bertelli, Bitossi,
Giunti, Pagni e Seripa con due, Alotto, Malucchi W, Muritano e Ulivieri con una,
per finire con Maltana, Nucci Ri, Pisaturo e Scardigli, esordienti relativi solo
perché hanno conosciuto l'Empolitour dopo il 2011. Tutti ciclisti noti e
navigati insomma, il più inesperto dei quali ha in dote quattro grandi Giri. Se
poi guardiamo ai loro allenamenti palesi, nascosti o surrogati resta improbabile
prevedere su questi nomi qualche episodio di crisi logorativa o esplosiva
nonostante gli otto colli in cinque giorni contemplati dalle Sacre Scritture del
Programma.
Di fronte alle
accuse di plagio sul Programma del 2011 Caparrini risponde che tutto scorre, che
non ci si bagna mai nello stesso fiume e sulla stessa Alpe d'Huez e che
l'entropia dell'universo aumenta. La squadra scelta è compatta, priva di teste
troppo calde e code troppo lente, e dovrà combattere contro l'apparente
monotonia di strade note riscoprendo con gli occhi del neofita gli elementi
primordiali di un Tour de France, quelli che i filosofi presocratici avevano
posto come archetipi all'origine del mondo: terra, acqua, aria, fuoco, arsura,
gendarmi, incagli e pasta scotta. Poco filosoficamente parlando in queste cinque
tappe il Terminus sarà ante quem e
post quem, l'inizio coinciderà con la fine e spesso l'andata col
ritorno: nessuna tappa in linea, tre palindromi, due circuiti e tre tappe vere
da visionare. Così scrisse a ottobre il maestro e così pedaleranno a luglio i
discepoli.
Acqua
Sostiene
Caparrini che se questa Alpe d'Huez s'ha da fare è bene levarsi il pensiero
prima che arrivi l'informe caos della tappa vera. Così il fulcro della
spedizione è battezzato come merenda dopo nove ore d'autobus e una di televisive
tergiversazioni. Alle 17.33 dall'Avenue de la Gare partono quindici Empolitour.
Manca l'illocalizzabile Bitossi fedele al suo ruolo fin dallo sbarco. Corrono
contro il tempo, quello cronometrico perché l'Alpe d'Huez invoglia alle
misurazioni e quello meteorologico perché alcuni nuvoloni bigi si stanno
annerendo minacciosamente.
Il
cronometraggio scocca alle 17.38 da un pilastro iconizzato. Pisaturo ha il
miglior tempo di reazione braccato a vista da Chiarugi e Nucci Ri che in passato
si è distinto in rinculi precoci. Scardigli lo sa e lo rimira mentre il
sottostante tornante assiste ad interessanti conflitti di genere. La Bertelli
che dovrebbe avere un menisco leso pigia con ossessione ignorando panorami e
articolazioni. La Maltana ottiene similari effetti col delicato vorticare dei
suoi arti minuti. Nucci Ro fra di loro osserva e si deprime dall'alto del suo
passato. L'altra metà dei ciclisti deve ancora stabilizzarsi sulla gravitazione
caparriniana. L'arconte Pagni è il più temprato alla rumorosa dispnea del
presidente e potrebbe affiancarlo amabilmente se solo riuscisse a carpirlo.
Giunti, Muritano, Seripa e Ulivieri procedono invece ad orecchio accelerando ad
ogni percezione di sibili e rantoli. Malucchi è l'unico che ha visto tutto il
film perché in pochi chilometri ha spostato il mirino dalla schiena di Chiarugi
a quella di Caparrini mentre il più saggio Alotto non si è mai mosso da
quest'ultimo obiettivo.
A leggerla
così l'Alpe d'Huez sembrerebbe un affare sociale per Empolitour. In effetti gli
eterodossi sono pochi, forse spaventati dai tuoni che in alcuni momenti sono più
roboanti del fiato caparriniano. Non mancano però gli accampati. Tre giorni
prima della tappa vera automobili d'ogni lingua e cilindrata lottano per
accaparrarsi i posti più insignificanti ai bordi della strada giacché negli
ultimi chilometri si vede già una serpentina di previdenti camper parcheggiati.
Per chi temeva con questo largo anticipo di perdere il contatto coi tanti tifosi
scemi che animano le riprese televisive, ci sono sul secondo tornante quattro
tizi a torso nudo che giocano a calcio senza palla e sulla così detta e così
scritta curva degli olandesi s'odono rutti di birra indistinguibili dai tuoni.
A pochi
chilometri dall'arrivo Chiarugi, Nucci Ri e Pisaturo trovano un tacito
equilibrio ma a questo punto sorge un dibattito sul significato della parola
arrivo che per Chiarugi nelle tre precedenti scalate è sempre coinciso col
placcaggio da parte dei gendarmi. Si procede pertanto per ricordi televisivi e
segni sull'asfalto ma l'urbanistica dell'Alpe d'Huez pare più ostica del
previsto e i gruppuscoli di ciclisti in balia dell'incipiente temporale
terminano in cinque approdi distinti, nessuno dei quali si rivelerà quello
giusto. Ma l'ordine dei ciclisti è turbato più che dalla viabilità dall'umidità,
quando la pioggia scrosciando e dilavando li costringe alla resa in un atrio
sconosciuto con due scale mobili. Anche Caparrini, proveniente non si sa bene da
dove, converge in questo ricettacolo ove alcuni suoi fradici alunni stanno già
invocando l'autobus o il pernottamento. La rete satellitare individua anche
Bitossi che con un laconico "qui diluvia" vuole indicare che non si è mai mosso
da Bourg-d'Oisans e che anche scendendo a valle non sono attese schiarite.
Sostiene
Caparrini che la pioggia non cessa finché si scruta il cielo e che dà più
fastidio a vederla che a subirla, e con questi adagi sprona i ciclisti al
disagio della discesa, anche perché la cucina del Terminus potrebbe cessare
molto prima della pioggia. E così con qualche mugugno e col poncho della
Boutique du Tour acquistato da Alotto, ubbidienti discendono come cullati dalle
onde impetuose dei tornanti, scoprendo fra l'altro che la partita dei quattro
scemi non è stata interrotta per impraticabilità del campo.
Fango
La notte sopra
al Terminus è calda e silenziosa cosicché l'acqua dell'Alpe resta un vago
ricordo impregnato nelle scarpe, arrugginito sulle catene delle bici e
tralignato nel fisico di Malucchi che è febbricitante. Gli altri ciclisti sono
apparentemente sani e possono affrontare con asciuttezza la prima tappa di vero
Tour, con tre colli in centodieci chilometri metà dei quali su percorso giallo.
Sosteneva Caparrini già in fase di presentazione che i colli sono blandi e la
visione di tappa su quello de La Morte particolarmente insignificante ad onta
del terrifico appellativo. Ma, continua a sostenere, la migliore visione di
tappa si ottiene a casa propria davanti al televisore e chi è venuto fin qui
deve apprezzare altri parametri come arsura, gendarmi, folla festante, carovana
pubblicitaria e nutrizione senza fame.
Con queste
premesse e promesse sorge il mattutino Col d'Ornon e Pisaturo va in fuga dopo
cento metri. Ormai nessuno è più così ingenuo da appellarsi all'unanimità di
scalata, e con occhi divisi fra le verdi malghe e le schiene degli anteriori si
creano tre approssimativi gruppi di lavoro: quelli che ambiscono a Pisaturo,
quelli che non vogliono essere staccati dalle scatenate femmine e un residuo di
nostalgici presidenziali. Quel poco d'Ornon conferma le impressioni dell'Alpe d'Huez
cioè che Nucci Ri non vuole più essere il fratello scarso, che Chiarugi e
Scardigli sono battaglieri, che non ci sono più le mezze stagioni e il sesso
debole, che Giunti è il solo a tollerare i fiati caparriniani e che Bitossi, se
localizzabile, è ultimo.
Tra dolci
panorami e aspre battaglie non si dimentica il tema degli elementi primordiali.
Siccome acqua e terra generano fango, i ruscelletti tracimati lungo la discesa
dell'Ornon lasciano le prime vestigia sulle bici già sottoposte a prelavaggio.
Ma basta scendere un po' più a valle per incrociare un fiume di poltiglia che
costringe all'avventuroso guado con eroico sacrificio delle calzature.
Provvidenziale è la sosta-Pagni a Valbonnais in un supermercato dove molti
acquistano incomprensibili cibarie e la Maltana una confezione di salviette
intime che dispensa ai compagni per ripristinare un minimo d'igiene ai lotulenti
telai.
Il percorso
giallo s'avvicina e non è bello entrarci tutti sudici. La Maltana ancora motosa
non ispira fiducia ai lanciatori di magliette verdi e i gendarmi di La Mure
prima indicano a Caparrini la strada sbagliata per il Col de Malissol e poi
cercano d'appiedare il gruppo in un modo che pare più canzonatorio che
autoritario. Sono comunque le prime avvisaglie di un’interessante tenzone con la
celeste milizia nonostante l'ora precoce e l'insignificanza del passaggio della
corsa. A Lavaldens infatti, dopo il Malissol digerito in fretta e furia, un
gendarme mite ma appiedante costringe i ciclisti a un'altra plateale camminata
che si conclude dietro la prima curva. Da lì a La Morte la scalata è guardinga
ma ininterrotta e comunque Pisaturo non perde il vizio d'andare in fuga alla
chetichella.
Sul Col de La
Morte, altrimenti detto Alpe du Grand Serre per non scoraggiare i turisti, a
mezzogiorno non c'è proprio un mortorio ma nemmeno la vitalità attesa in una
visione di tappa. Agevole è per Caparrini espugnare un tavolo da quindici posti
ove ingannare le scarse tre ore d'attesa con un pasto obbligatorio. È il tratto
più duro di tutto il percorso perché la scelta verte tra un'inconcepibile
impepata di cozze montane e un inquietante piatto di spaghetti scotti sul quale
galleggia una coscia di pollo lesso. Tertium non datur, o almeno così
sembra perché dopo qualche appello alla commestibilità saltano fuori anche
alcune normali omelette ingentilite da patatine fritte. Per Caparrini è però
troppo tardi e a nulla vale l'estremo tentativo di riversare al suolo un po'
della viscida pastasciutta che in molti piatti giacerà tristemente inalterata
col suo sormontante femore.
Superata tale
asperità il programma scorre liscio e prevedibile, con Chiarugi e Caparrini
unici raccoglitori dei volatili cadeaux
pubblicitari, con la corsa che passa rapida e indolore in visione su spalti
naturali e col ritorno in albergo che sarebbe anch'esso rapido e indolore se non
fosse per una foratura anteroposteriore di Muritano che per insipienza cede a
Seripa la briga della doppia riparazione. Con l'estinzione o la defezione dei
meccanici storici dell'Empolitour egli è uno dei pochi che è bene avere alle
spalle quando la bici falla. Però sulla successiva frattura di raggio da parte
di Bitossi nulla può la tecnica itinerante e gli ultimi venti chilometri si
sviluppano per lui con moto elicoidale ma stabile. Al Terminus Caparrini con
sollievo appura che i professionisti non sono ancora arrivati a destinazione
nonostante avessero da percorrere solo settanta chilometri in più e può
conciliare, come avviene di rado, visione e televisione di tappa. Con molto
tempo ancora a disposizione per ripulirsi dal fango.
Ferro
È il più lungo
palindromo, o anda-e-rianda, la più
alta visione e il più corto percorso di tappa. La Croix de Fer induce nei
patriarchi Caparrini e Nucci Ro ricordi contrastanti, da quello ustionante del
1992 a quello raggelante del 2011. Quella odierna sembra davvero una mezza
stagione ma l'incertezza non altera l'equilibrio vestizionale del presidente.
Mentre qualche sventurato sta empiendo lo zainetto, egli inzeppa nella tasca
destra una maglietta di ricambio, più come amuleto che per intenzione d'uso.
L'albergatore Chris ha sostenuto che non pioverà mentre Caparrini sostiene che i
gendarmi saranno inflessibili presso la biforcazione del Glandon, proprio
all'inizio dell'unico pezzettino di percorso giallo che spetta all'Empolitour.
Pertanto sancisce che la corsa sarà neutralizzata a tale crocevia con obbligo di
attesa plenaria, forse sperando di poter poi forzare il posto di blocco con
l'intera massa di sedici ciclisti.
Tutti hanno
udito la declamazione serale della salita da parte del supremo recensore e sanno
che non possono attaccare prima della diga di Allemont. E infatti per
quattordici chilometri il gruppo è compatto e confabulante sopra un'ascesa
impercettibile. Quando la percezione si fa dura e duratura Chiarugi preme la
catena per evitare la solita scappatella di Pisaturo che però staziona a ruota
insieme al non più sorprendente Nucci Ri.
Una parvenza di Bitossi compare scattante d'improvviso. Potrebbe essere
il giorno buono per liberarsi dall'indolenza e invece dopo una rampa decente
accosta e posteggia come se volesse rimirare il paesaggio. Da allora cesserà
d'essere localizzato.
Il colle
s'avvicina con le discese ardite e le risalite che rianimano l'orgoglio di Nucci
Ro, incapace di pareggiare il fratello ma almeno affrancato dalle femmine.
Quest'andamento altalenante della salita e il pensiero dell'interruzione
poliziesca inibiscono i forti e rinvigoriscono i deboli cosicché al termine del
percorso propedeutico Caparrini ottiene davvero la riunificazione del plotone,
eccezion fatta per i disobbedienti Chiarugi e Pisaturo che superano subito lo
sbarramento con la solita accondiscendente passeggiata. La vera Croix de Fer
svincolata dal Glandon e la vera tappa del Tour durano duemilacinquecento metri
lordi al termine dei quali mancheranno cinque ore nette al passaggio della
corsa.
Ignorato da
tutti il ferro della croce, sull'affollato cacume si apprezzano altri elementi
fondamentali: l'aria fresca, la terra sotto i culi, il fuoco del sole quando si
fa largo tra le nubi, e l'acqua ipotetica, per ora condensata in certi nembi
scuri che vigilano. Per questa ipotesi e per assecondare fami e seti anch'esse
ipotetiche, Caparrini adotta la solita tattica dell'espugnazione di due tavoli
non sparecchiati nell'angusto rifugio. Nonostante il numero di sedie necessarie
si riduca di un quarto per la fuga subitanea dell'appagato Alotto, del
gastroenterico Malucchi, dell'insubordinato Muritano e del pavido Ulivieri,
occorrono turni di seggio a rotazione alternandosi nello svolgimento di funzioni
corporali in agro publico. E comunque alla fine delle immeritate
consumazioni tutti, dallo spartano Chiarugi al sibarita Pagni, convengono che la
pennichella e la visione di tappa si espletano più felicemente distesi tra aria,
terra e fuoco, anche se l'arconte Pagni, noblesse oblige, preferisce
trafugare una sedia del rifugio. Non c'è da stupirsi se quando passa la carovana
si muova alle transenne solo Chiarugi, seguito da Caparrini e pochi altri quando
è la volta di Rolland e Nibali.
La discesa in
albergo, che dopo tre ore di salita e cinque d'attesa potrebbe sembrare una
formalità, si rivela un patimento continuo. Dopo i due chilometri e mezzo di
percorso giallo i gendarmi, talora utili, lasciano la giurisdizione della strada
all'anarchia: biciclette, pedoni, automobili e camper, discendenti e risalenti,
formano un denso bolo che si muove a singulti, e quando sembra finalmente
digerito, cade contro il parere del meteorologo Chris un cospicuo acquazzone.
Chiarugi, che in discesa non è penultimo a nessuno, comincia a frenare coi
tacchi mentre qualcuno è contento per il lavaggio intensivo delle bici dopo i
fanghi di Valbonnais. Quella che all'andata era una discesa ardita e che ora
diventa una risalita verso la Riviere d'Allemont, è accolta con sollievo e
conduce al primo centro abitato dotato di televisore davanti al quale in decima
fila i più alti degli Empolitour possono intravedere la vittoria di Nibali.
Sembrerebbe
una storia a lieto fine e lieto Terminus, anche perché la strada e i panni
stanno asciugando ma il fato degli impicci non è contento e dopo la doppia
foratura di Muritano ne propina una simultanea di Nucci Ro e Pagni che costringe
Seripa a riparare due ruote contemporaneamente. Poi non c'è bisogno nemmeno che
si lavi le mani perché il temporale ricomincia a valle con immutata portata
idrica. Tanta acqua dovrà ancora passare sotto i ponti di Bourg-d'Oisans e tanto
olio sopra il ferro delle catene.
Vento
La notte sopra
al Terminus è fresca e rumorosa, e da tuoni e scrosci anche Chris può indovinare
che piove. Ma l'acqua è già stata citata abbastanza e al mattino della vera
tappa d'Alpe d'Huez i numi del Tour regalano aria soffiante che spazza via nubi
e cattivi pensieri. Non quelli però del presidente che in questa notte illune ed
insonne ha continuato a rimuginare sul percorso nonostante sia quello già
collaudato nel 2011. Colpa di un volantino raccolto in edicola che annuncerebbe
la chiusura dell'aggirante Col de Sarenne anche a
les velos. E colpa anche di Chiarugi
che ha fomentato una variante di percorso su stradina perigliosa. Nel frattempo
era già decaduta l'allungatoia palindromica delle Deux Alpes che sarebbe servita
per non giungere troppo precocemente nel sito di tappa.
Caparrini
cerca invano informazioni. L'oracolo Chris non rilascia auspici. Due gendarmi
interpellati all'alba non sanno che cosa sia quest'editto di chiusura del
Sarenne, anzi non sanno nemmeno che cosa sia questo Sarenne. Sull'argomento
della stradina chiarugiana glissa per non vietare, ma trattandosi di appendice
esornativa sembra concedere libertà di coscienza. Si raccomanda di procedere
tutti insieme perché se i gendarmi placcassero ciclisti prima del Sarenne
sarebbe necessario ripiegare sul palindromo delle Deux Alpes e poi tornare a
visionare la corsa al traguardo volante davanti al Terminus. Una roba molto
invereconda, insomma.
Per questo
timore che ogni indugio rende più assillante, Chiarugi al primo sentore di
pendenza nelle Gorges de l'Infernet viola le raccomandazioni presidenziali
spezzando il gruppo in pochi ma decisivi tronconi. S'illude forse di cooptare
per emulazione qualche ardimentoso in più nella sua
dangerous road ma al bivio di Rivoire
svoltano soltanto Pisaturo e Nucci Ro mentre Ri, Maltana e Bertelli proseguendo
per la retta via intravedono una ghiotta occasione di supremazia. Infatti la
stradina deviante, che corre più alta, più stretta e più impervia di quella
ortodossa, punisce i tre eretici con quattro chilometri di handicap sui ligi
caparriniani che comunque si godono la loro larga statale, chiusa da mesi al
traffico per frana e ignorata dai ciclisti convogliati sull'Alpe d'Huez. In
definitiva Chiarugi, Nucci Ro e Pisaturo al Lac du Chambon passano da fuggitivi
a inseguitori con buona lena e poche speranze di ricongiungimento.
Il Sarenne
possiede virtù antipodiche all'Alpe d'Huez: è stretto, variegato, brullo,
selvaggio e sopratutto deserto. Inoltre non invoglia al cronometraggio anche se
Chiarugi e Pisaturo lo prendono seriamente mollando Nucci Ro affranto o esploso.
Dopo Clavans-le-Haut Caparrini scopre che il temuto baluardo anticiclista è una
sbarra incustodita e facilmente eludibile. Può quindi rilassarsi e ponzare in
mezzo alla scorta regale di Malucchi, Pagni e Ulivieri. In testa la situazione
diventa emozionante perché Bertelli e Maltana ingaggiano l'alleato Scardigli per
staccare Giunti, Seripa e financo Nucci Ri mentre Chiarugi e Pisaturo cominciano
a puntare le inopinate code risalendo la lenta corrente che inizia
dall'indolente Bitossi e dai dolenti Muritano e Alotto. Senza salutare i
sorpassati che ignoravano di averli dietro, i due inseguitori si esaltano in
questo conto alla rovescia ma quando giungono a Giunti si accorgono con
rammarico che mancano all'appello le quote rosa. Bertelli e Maltana sono già in
quota e non disdegnano una malcelata soddisfazione, coronata dall'abbraccio col
fustacchione Juan Antonio Flecha sul palco delle premiazioni.
Quest'epilogo
della corsa, che si rivelerà molto più interessante di quella dei
professionisti, è ben lontano dall'epilogo vero che dovrà per forza passare da
un brusco rientro nella civiltà. Perciò Caparrini concede una sosta lunghissima
al pacifico rifugio del Sarenne prima di affrontare i cogenti problemi della
tappa gialla, innanzitutto la nutrizione obbligatoria. È già deciso come nel
2011 a considerare pranzo e visione come due istituti separati confidando nel
rientro sul Tour da strada laterale non pattugliata. Scartato l'usato ristorante
dell'altiporto che dopo quattro anni ha addirittura cambiato menù, il presidente
individua uno spazioso locale sulla riva di uno stagno dove sembrerebbe agevole
garantire l'umanità, a parte Malucchi che è già fuggito palindromicamente dal
Sarenne. Invece anche qui rischia la scissione fra umbratili, capitanati da sé
medesimo, e solativi, rappresentati da Bitossi. Il compromesso è una tavolata
per metà esposta al sole e per intero esposta al vento diaccio che scompiglia
animi e tovaglioli. La commestibilità di pizze, insalate e lasagne attenua un
po' il disagio ma i caffè e i superalcolici di Pagni e Alotto saranno consumati
in un assolato reconditorio ove fa capolino pure l’eliofobico Caparrini.
L'appostamento
di tappa è preceduto dalla constatazione del vero arrivo e da un fugace ripasso
della Boutique du Tour già saccheggiata nei giorni precedenti, poi si consuma un
indolore scisma ad opera del solito sovversivo Muritano che guida la fazione dei
televisionatori con Alotto, Maltana e Nucci Ri che per desiderio d'informazione
decidono di rimanere segregati in qualche bar dell'Alpe d'Huez. Per i puri di
spirito e di tappa Caparrini offre dopo quattro chilometri la visione viva su
un'aiuola multifiorita e multietnica presidiata da un esercito di gendarmi e da
un terrifico erogatore di musica a duecento decibel. Non è prevista alcuna
trasmissione di segnali analogici o digitali dalla corsa gialla che quindi è
ancora vissuta nella primordiale ignoranza, con terra erbosa come giaciglio,
aria fredda come vento e fuoco in faccia come sole. L'unica acqua è quella
sparata sulla folla dai carovanieri della Vittel. L'unica pioggia è quella di
oggetti attivamente conquistati da Chiarugi contro i tifosi di Froome e
passivamente ricevuti addosso dal sonnacchioso Pagni. Si divertono con e come
bambini, la Bertelli balla di musica e Ulivieri di freddo, e quando sfilano i
giovani ciclisti Pinot, Quintana e Froome sembrano vecchi di fatica e sudore.
Non sanno quei
giovani acclamati, lavati, massaggiati e trasportati che la fatica dei ciclisti
acclamanti inizia adesso. Erano schierati e addensati ai margini e a un cenno
liberatorio si riversano allo stato brado in mezzo alla strada con la speranza
subito vana di sciogliere le bici in balia della discesa. In realtà si scoprono
pedoni ammucchiati in orde calanti mescolati in modo strombazzante ad
ammiraglie, motociclette e veicoli della carovana con rari momenti di seduta in
sella, incontrando a ritroso molte altre tipologie di ubriachi oltre ai ruttanti
olandesi. Nonostante lo scarso uso della bici Nucci Ro riesce ad andare oltre la
foratura con un’esplosione del metallico cerchione che l'alacre Seripa può solo
dichiarare deceduto. Cambia poco ai fini cinematici perché Nucci arriverà al
Terminus come i suoi compagni a velocità pedonale. Eppure soffia aria di
soddisfazione su questi ciclisti.
Cacca
Il Col du
Sabot, dedicato ai saluti e ai titoli di coda, è terra incognita per Tour ed
Empolitour. È alto, snello, forte, misterioso e insensato, ma ciò non basta per
preservarlo dal rischio di cassazione. Caparrini incassa dubbi, stanchezze e
appagamenti e la scadenza mattutina delle camere comunicata dal ciclista e
meteorologo Chris. Dopo attenta audizione serale e mattutina delle parti, il
supremo custode del programma prefigura diversi scenari: scalata completa del
Sabot con retroversione immediata (integralismo solipsistico); scalata completa
del Sabot con attesa degli ultimi (integralismo solidale); scalata fino al
Collet de Vaujany con retroversione immediata (Sabot interruptus); scalata fino
al Collet de Vaujany con riunione decisionale (Sabot consultivo); scalata
dell'Alpe d'Huez (bitossismo); ricovero in albergo (muritanesimo).
A parte gli
estremismi di Bitossi e Muritano, personaggi notoriamente insoliti, ogni altra
soluzione consente di salvare la dignità e le camere, anche se lo sbrigativo
Vaujany ha acquisito nei patriarchi dell'Empolitour una strana nomea di
blandizie dovuta alla predilezione che gli riservava l'estinto Tour femminile.
La strada fino alla diga di Allemont è ancora un preludio di riflessioni, comune
ad ogni futura decisione scalatoria. Ci sono i ciclisti inflessibili
sull'integralismo, come Chiarugi, Pisaturo, Nucci Ri e Scardigli, e quelli
flessibili come Caparrini che si riserva la prognosi in base alla quantità di
ghiaia che troverà sulla via del Sabot. Alotto è invece già inflessibile sul
Sabot interruptus mentre gli altri pencolano e sembrano orientati a rimettersi
alla volontà presidenziale.
Il
pencolamento non è soltanto un fenomeno spirituale perché sul bistrattato
Vaujany molti corpi tentennano penosamente sulla bici senza distinzione di
sesso, e di questo passo l'interezza del Sabot sembrerebbe tramontare. I quattro
integralisti certi non indugiano ad entrare nel vivo della salita che in effetti
somiglia molto ad un tratturo agreste, con sassolini, crepe, ciuffi d'erba,
rulli trasversali e soprattutto bovini al pascolo. È il loro territorio e si
disinteressano placidamente dei ciclisti che devono però zigzagare abilmente in
mezzo alla mandria. L'equilibrio è garantito non solo dall'elusione di quelle
moli ma anche dall'attenzione alle viscide deiezioni che il bovaro difficilmente
provvederà a raccogliere. In quest'Arcadia ove vacche e ciclisti convivono in
armonia c'è spazio anche per un sano agonismo. In tema di ritorno alle origini
Chiarugi, come quando infliggeva ai patriarchi distacchi orari, ottiene il colle
che più si adatta alla sua indole georgica, libero dal fiato di Pisaturo che
ormai sazio si fa castigare anche da Nucci Ri e Scardigli.
Dall'alto
silenzio del Sabot si traguardano la Croix de Fer e l'Alpe d'Huez e questo
potrebbe valere come sugo e compendio di tutto il Tour. Ma qualcosa manca ancora
nell'aria tersa. Quando i quattro belligeranti sembravano rassegnati a un
isolato finale, incede solennemente un plotone che così folto non si è mai visto
al termine di una salita: otto Empolitour stretti attorno al caracollante e
sbuffante Caparrini che evidentemente non si è fatto intimorire da sassi e
cacca, anche se è sempre sceso dalla bici sulle infide grate rullanti. Questa sì
che è una degna fin de course et de Tour. Vanno bene la terra, l'acqua, l'aria e il
fuoco, ma il vero elemento fondamentale del Tour resta sempre l'amato
presidente.