Tour 2009

Albertville 19-23 luglio

Il Tour dell’autobus

 

 

Forse tutti non sanno che…

 

C’è qualcosa di nuovo oggi nel Tour, anzi di seminuovo. I venticinque lettori dell’Empolitour sanno che l’istituto dell’autobus fu introdotto al Giro 2006 per sopperire all’inarrestabile crescita demografica. Al Tour ci sono volute venti edizioni per raggiungere la massa critica, un complicato equilibrio tra numerosità antropica e tariffario della Sita. Il Supremo Contabile Caparrini ha computato e reputato conveniente l’utilizzo del mezzo unico e capiente, guidato dal fedele auriga Giuseppe, nonostante la bassa densità d’occupazione dei sedici viaggiatori che comunque rappresentano la più alta quantità di titolari partenti poiché, come fanno notare i più fini aritmetici, l’anno scorso erano quindici più due riserve.

In ordine d’anagrafe partecipativa salgono a bordo ciclisti di tutte le età, contati e ricontati come alunni in gita dal ventenne professor Caparrini: il coetaneo Nucci, il diciannovenne Chiarugi, la decenne Bertelli, il novenne Bitossi, l’ottenne Giunti, il cinquenne Seripa, il quattrenne Muritano, i duenni Boldrini, Cocchetti e Rinaldi, e un’interessante cinquina di unenni (Caponi, Lisi D, Lisi M, Rossi e Vezzosi) privi di referenze in corse a tappe tranne Vezzosi, meccanico e ciclista terminale degli ultimi Giri. Tali matricole soggette alle dure regole dello ius primae Galliae sono attese con letteraria curiosità, perché Caponi alla vera anagrafe è un implume settantenne, Lisi D fa rima con crisi, mentre Lisi M e Rossi sono direttamente promossi dall’anonimato al Tour con la sola credenziale di possessori di bicicletta.

Con questo bagaglio umano e tecnologico l’autobus sbarca alla stazione di Albertville onusto di telai, ruote, borse e buoni propositi, i propositi che animano ogni buon ciclista in ogni buon Tour: scalare montagne, visionare tappe, procacciarsi cibo, schivare gendarmi e staccare Boldrini.

 

 

Parole crociate facilitate

 

Le gare cominciano alla gare, cioè alla stazione, nell’hotel più antico di Albertville dedicato al patriarca fondatore Carlo Alberto di Savoia. Il patriarca Caparrini ha concordato telefonicamente un succulento menu di sedici croque monsieur, ritenuti più che sufficienti per sostenere il facile Col de Tamié e molto apprezzati nella loro odorosa componente casearia da uno stormo di silenziose mosche. Con la stessa flemmatica smania i ciclisti cominciano a ronzare attorno alle bici, pronti a sfogare l’atletismo represso da sedili e tavolini.

Il sottinteso patto di belligeranza con Boldrini indurrebbe a guastare la compattezza anche sul colle pomeridiano notoriamente inerme, ma il ritmo da pattinatori sull’amena pista ciclabile e l’inaugurale foratura della Bertelli riescono a rabbonire temporaneamente gli impeti agonistici. Almeno finché Boldrini non inserisce la coscia automatica e a chiorba china allunga percettibilmente le fila del recalcitrante gruppo. Così con scientifica perfidia Chiarugi evita di avvertire la locomotiva che i vagoni stanno deviando a sinistra per il Col de Tamié. Se non intervenisse la misericordia telefonica di Caparrini a risanare lo scisma, Boldrini sarebbe già disperso e innocuo senza sudore versare. E invece il Tamié, pur nel versante facilior, diventa per i contendenti un affare alquanto difficilior, perché il vilipeso Boldrini con una progressione transgenica abbatte ad uno ad uno tutti i compagni che lo avevano atteso, tranne il reo Chiarugi che si sderena per allinearsi orgogliosamente al suo mozzo. Beati gli ultimi perché senza acido versare saranno menzionati. La carica di fin de course è ambita e vacante da quando l’evoluto Caparrini predilige le mezze posizioni, ma i novizi che anelano alla successione arrivano in un conglomerato unanime e anonimo che chiude la prima tappa apparentemente senza vinti. Apparentemente, perché Caparrini alla fine della discesa si accorge dell’assenza dell’illocalizzabile Bitossi, non per effetto della sua virtù di smaterializzazione sui colli ma semplicemente per superlativo distacco. Questa inarrivabile dimostrazione di bradicinesia sembra porre una seria ipoteca sul titolo, anche se ci aspettano ancora molte salite per solutori più che abili.

 

 

Incroci obbligati

 

Longtemps, je me suis couché de bonne heure. Mentre il Tour dorme l’Empolitour piglia colli. La Madeleine come il dolcetto di Proust evoca memorie di Tour lontani, quando c’era ancora Pantani, e Caparrini rischiò di soccombere al placcaggio dei gendarmi. Siccome la sua pendenza è ancora viva e ripassata in un nocivo DVD itinerante, il presidente opta per un altro versante facilior, quello di Notre Dame de Briancon. La facilità è comunque quella di un colle hors categorie che potrebbe regalarci emozioni anche senza gendarmi.

L’animo della squadra è naturalmente pugnace dalla testa alla coda. In testa c’è da neutralizzare Boldrini, e Nucci pare predestinato. In coda l’indolenza di Bitossi pare senza pari ma nessuno dei bradicinetici abbassa la guardia conoscendone l’imprevedibilità. Boldrini non aspetta il cartello e in un preambolo di Madeleine affonda i primi colpi trascinando un codazzo di Nucci, Cocchetti e, udite udite, Caponi. Il settuagenario infatti, che già sul Tamié aveva dato ad intendere di non essere venuto al Tour per giocare a briscola, qui puntualizza il concetto e lascia i presbiteriani Rinaldi e Vezzosi a rimirare le schiene. Chiarugi e Giunti inseguono perplessi e il gruppo in pochi chilometri è già dissipato. Nel mezzo sta la virtù di Caparrini che inzuppando la Madeleine nel suo sudore richiama alla mente le sensazioni di un ansimante passato, quando l’avvistamento della sua sagoma ondeggiante significava che non c’era più nessuno da attendere.

Intanto Nucci adempie al dovere sindacale di staccare Boldrini che se la prende con le discese, mentre Cocchetti e Caponi pagano con pochi sorpassi passivi il loro ardimento. Gli altri catecumeni Vezzosi, Rossi e i due Lisi evitano l’onore del fin de course soltanto perché l’attesa di Bitossi dura quanto la lettura di un tomo della Recherche.

Senza tappe da visionare la vita è facile e la nutrizione impera, anche se la ricerca di sedici coperti a La Chambre con qualche reminiscenza di veto incrociato equivale al tempo di scalata di Bitossi. Il difficile arriva quando l’ebbra e pasciuta sedicina deve ritrovare la strada d’albergo senza passare dall’autoroute. Ma qui dalle tasche esce un autorevole presidio istituzionale, il cosiddetto set caparriniano, costituito da una fotocopia sbiadita di una cartina sulla quale un pennarello spesso ha evidenziato occultandola la strada maestra che in questo frangente risulta essere un dedalo di fini viuzze pertanto illeggibili. La natura bidimensionale del sofisticato modello cartografico non consente di apprezzare l’orografia del territorio ma il redattore ha assicurato che si tratta di pianura e su questo convincimento molti si sono sovralimentati. La strada aprica e solitaria tende però ad allontanarsi dal fiume Arc e ad assumere un sinistro comportamento ascendente. Svanita l’ipotesi del dosso, comincia a farsi largo quella del Gran Coucheron che provocherebbe travagli ed eruttazioni. La salita inattesa e indeterminata è una delle pene più dolorose per il ciclista. Molti reagiscono con rassegnato silenzio, Boldrini evade e la Bertelli uggiola. In lieto fine Saint Georges des Hurtieres offre sollievo, discesa e abbeveraggio, e Boldrini che molti speravano già irraggiungibile aspetta tutti bofonchiando ad Aiguebelle. La Bertelli che esige un ritorno armonico e unitario mette in riga punitiva il plotone fungendo da direttrice d’orchestra, ma la segnaletica ambigua e la scarsa coesione degli orchestrali fanno sì che il concerto finisca al primo incrocio. Basta una distrazione e un indugio per tripartire l’Empolitour: alcuni vanno per la statale, alcuni per la provinciale e Boldrini a chiorba china imbocca l’autoroute impassibile ai clacson.

Al termine di venti chilometri di pianura più duri della Madeleine, lambiti dai TIR, decollati dagli esagitati Cocchetti e Muritano, sfibrati da sterrati, rotonde e incroci, i due sottogruppi si riuniscono alla stazione nell’ora del tè che in realtà diventa l’ora dell’Orangina al distributore automatico. Non distribuisce madeleines così l’oblio della notte illuderà le gambe d’essere pronte al vero Tour dell’indomani.

 

 

Il bersaglio

 

Non era facile organizzare una tappa di Tour da visionare senza percorrere nemmeno un metro di percorso ufficiale. Il Supremo Topografo Caparrini vi è riuscito appellandosi al postulato della Boutique Officielle. Poiché il fine di questa visione sta nella razzia della sua merce, tanto vale perciò mirare direttamente all’obiettivo rinunciando alle frecce nere in campo giallo che costringerebbero al rimpatrio. Finalità subordinata ma non secondaria è quella della ristorazione nostalgica a Bourg Saint Maurice dove si rammentano lasagne di diciassette anni fa che impressionarono i palati dei tetarchi fondatori per la loro termicità lavica.

Nostalgica è anche la scalata del Cormet de Roselend sotto il memorabile nubifragio del ’96. Forse per questo ricordo o forse per le attuali nubi sospette, Caparrini s’arma di dispositivi da poggia che per la sua tempra minimalista sono un cappellino, una mantellina e un paio di calzini di ricambio. Indotti da tanta previdenza i subalterni empiono giberne e tascapani con vari orpelli impermeabili che, è bene subito dirlo, si riveleranno un inutile basto a causa della prematura estinzione delle fallaci nubi.

Il Cormet asciutto, pur senza ambizioni d’epopea, è un altro valido arengo per saggiare le pulsioni agonistiche della squadra e naturalmente per non farsi staccare da Boldrini che pare ogni giorno più irrefrenabile. Cocchetti che in salita ha già verificato la sua inanità, tenta l’unica via percorribile alla bisogna, ossia l’agguato. Dopo tre chilometri sull’insulsa cote di Venthon, quando ancora molti croissant languono indigeriti nelle viscere, egli si lancia in rampa d’evasione con l’audace Giunti aizzando Boldrini a cuccia. Si creano tardivamente nuclei isolati d’inseguimento con Nucci convinto, Caponi volitivo, Chiarugi e Muritano sconsolati. Lontano è il gruppo di coloro che sempre s’illudono di potere arrivare uniti almeno ai piedi di una salita. Più indietro è Bitossi ma i più veloci si sono premuniti col secondo tomo della Recherche.

A Beaufort la salita è foriera di sorpassi e non solo quelli subiti dai fuggitivi Caponi, Cocchetti e Giunti. È uno sfarzoso festival del sorpasso. Manca il giallo e nero delle frecce ma sale lenta e inesorabile un’orda di esemplari ciclistici isocromatici. Dalle nostre parti si chiamano bubboni, qui sono marchiati come Ronanpensec Travel, un’organizzazione umanitaria fondata da un ex professionista francese che aiuta i ciclisti bisognosi in salita e li carica su un autobus al seguito prima che facciano la botta. Non è escluso che in futuro ciò possa accadere anche nell’Empolitour, che con la Sita oggi ha gettato le basi per un progetto del genere, tuttavia nel frattempo possiamo permetterci di sorpassarli con malcelato sbeffeggiamento e beninteso improperio all’autobus con rimorchio che osta ed appuzza. In questo defilé d’infanti, senescenti ed obesi l’Empolitour sembra una formazione di atleti e Boldrini sembra un ciclista normale. Stavolta non viene staccato ma neanche stacca e questo compromesso con Nucci è fonte di salvazione e sollievo per chi si deve sorbire un’ora di processo alla tappa prima dell’arrivo di Bitossi.

Laggiù si comincia ad intravedere Bourg Saint Maurice ornata di trofei, e il primo dei discesisti inconsapevolmente atterra per il rifornimento d’Orangina proprio all’Arssiban, il locale che nel ’96 rappresentò il monte Ararat dopo il diluvio col soffio della provvidenza sotto forma di caldo getto asciugatore nel cesso. Caparrini apprezza il revival ma non è pago. Prima ancora della sacra libagione assolda due palafrenieri per espugnare le due postazioni strategiche. Intanto saccheggia la Boutique con un breve assedio, poi conquista quattro tavolini panoramici nello storico lasagnificio Le Chamarel da cui si potranno ammirare i corridori sfreccianti a sessanta all’ora. Parrebbe una delle più insignificanti visioni di tappa del millennio, in compenso le lasagne, mutatis mutandis et gestoribus, hanno mantenuto quella primordiale natura organolettica e incandescente. Per non perdere gli scranni faticosamente riscaldati la digestione si fa molto lenta e una quindicina di sibariti ozia e meriggia ai tavolini, mentre il solo Chiarugi cerca di tenere viva l’atavica tradizione accaparrandosi i cadeaux della carovana pubblicitaria contro un’agguerrita concorrenza di bambini e donne incinte.

Passata la tempesta di professionisti perlopiù irriconoscibili capeggiati dal basco Astarloza, gli Empolitour di un tempo avrebbero solcato le folle plaudenti per intraprendere una lunga pedalata d’espiazione fino all’albergo. Oggi invece la mollizia li aspetta sulle rive dell’Isere in sembianza d’autobus che li trasborda tutti senz’onta apparente. Per carità, nessuno rimpiange cinquanta chilometri di pianura tirati da Boldrini, però cerchiamo di non farlo sapere a nessuno, soprattutto a quelli del Ronanpensec Travel.

 

 

Le differenze

 

Tutto bello, tutto nostalgico, ma mancano ancora l’arsura e i gendarmi, insostituibili protagonisti d’ogni Tour. L’ultima occasione per viverli è nella tappa di Romme e Colombiere, quasi tutta guarnita di frecce canoniche, quasi tutta in arsura, si opina quando ci si sveglia col cielo sopra Albertville terso e ottimista. Così Caparrini toglie i calzini ed inserisce la crema solare. La mantellina rimane per rispetto dell’altitudine e il cappellino è multifunzionale. Ancora fiduciosi nella saggezza presidenziale tutti lo imitano e partono. O meglio, parte l’autobus perché le bici sono rimaste dentro di lui e l’onta del trasbordo si patisce subito.

Il cielo sopra Megeve è lo stesso ma le strade odorano già di Tour, un aroma di gara che Cocchetti inala e assorbe, e dopo i soliti tre chilometri di gruppo compatto se ne va in discesa con l’accidioso Bitossi e il segugio Caponi. Caparrini e Bertelli non fanno nemmeno in tempo a pronunciare gli accorati appelli all’unità, che il terzetto è già con le pance sulle canne attraversando senza remore frotte di eterodossi e semafori rossi. Considerando la velocità del gruppo inseguitore composto da Chiarugi, Giunti, Nucci e Muritano, sorpassati da un adiposo trio d’americani, considerando la strana inanità di Boldrini rimasto insieme ai bradicinetici, s’inferisce facilmente che la fuga di Cocchetti avrà il suo immeritato successo. Boldrini è intruppato fino a Cluses fra l’incudine del socievole ciclista e il martello dell’ira funesta, ma quando inizia il Romme, che qualche avventato francese osa comparare al Mortirolo, il transgenico espira faville dalle narici taurine e mette in moto i poderosi femori per un’improbabile rimonta. Gli eterodossi si scansano per lo spavento, Giunti e Muritano percepiscono il suo passaggio solo dal risucchio d’aria, Chiarugi consuma il secondo polmone per resistere alla sua ruota ma gli altri sono andati. Il reprobo Cocchetti si bea sotto un gazebo col risorto Bitossi e l’incompiuto Nucci, e Caponi, emulo di Bitossi, è illocalizzabile.

Mentre si dibatte su quale dei Lisi possa vertere la sentenza del fin de course, con passo agile e svelto arrivano nuvole non pronosticate ed emettono un primo singulto d’idratazione. A Romme c’è il gazebo che con qualche accavallamento riesce ad accontentare ogni postulante. Ma sulla Colombiere la faccenda si complica perché Caparrini aveva approntato uno ed un solo piano: occupare con la forza quattro tavolini con quattro ombrelloni, quindi ordinare e mangiare molto lentamente per resistere a cinque ore d’arsura. Il piano di riserva in caso di pioggia consiste nella mera speranza che lassù non piova. Quando questa speranza si scioglie nell’insistenza della perturbazione e quando si osserva la popolazione della Colombiere guerreggiare alacremente per un lembo di tettoia, Caparrini ordina la discesa immediata a Le Grand Bornand con conseguenti scene di pathos misto a comicità. Durante lo sgombero la Bertelli ritrova Caponi sotto una catasta di ciclisti fradici e la sua prognosi appare subito riservata. Ognuno adotta lo stile discendente più redditizio: Caponi come una larva, incappucciato con mantellina senza cappuccio, Lisi D con la fermezza di un ammasso gelatinoso, Boldrini consuma i freni, Caparrini i pensieri. Il piano d’emergenza dovrebbe conciliare la visione di tappa con la salute sociale. Rimugina e immagina il conflitto tra l’ortodossia del programma e una raffica di veti individuali.

A Saint Jean de Sixt il gruppo è però soltanto pentapartito: i puri, Caparrini, Chiarugi, Giunti e Nucci, che rimangono fedeli al dogma della visitazione ed aspettano i corridori sulla panca di un bar; i solleciti, capitanati da Rinaldi che esortano alla fuga prima che Caponi si collassi; i bari, capitanati da Muritano che invocano l’autobus; i nutrizionisti, capitanati da Bitossi che invadono un supermercato; e Boldrini che bofonchia con moto di rivoluzione periodica attorno agli altri sottogruppi. Esiste per completezza di classificazione anche una sesta fazione costituita da Vezzosi che non è mai partito e aspetta gli undici disertori alla televisione d’albergo. Sulle sorti di costoro l’oblio è sacrosanto mentre i quattro virtuosi meritano l’onore della narrazione, non fosse altro per la resistenza di cinque ore pagata a caro prezzo. Non un prezzo di umidità perché la pioggia cessa e non lava via l’onta. L’asciuttezza vale quattordici euri di Assiette de Dany, scelta perché più costosa e speranzosamente più duratura e rivelatasi una composizione di dieci pezzi: tre foglie d’insalata, tre fette di saucisson, tre cetriolini sottaceto e un centimetro cubico d’incomprensibile burro. È un’equa tassa per meritarsi una curva di tappa in discesa dietro a cinque file di pubblico e accanto a un mansueto gendarme, unico membro dell’invincibile armata rammentato in questo Tour. Soddisfatti per aver intravisto vaghi figmenti di Contador e Schleck, i quattro puritani rincasano tranquilli e ordinati attraverso il Col du Marais come se avessero assistito al Gran Premio di Larciano ma consci d’aver scritto un’altra epica pagina di storia dell’Empolitour. Il record di visione di tappa più insignificante del millennio pare ora proprio imbattibile.

 

 

Se voi foste il giudice

 

La resa dei conti e del Tour è sul Col des Saisies dove finiscono le ultime spese sociali e le ultime energie per staccare Boldrini. L’imputato, pur senza le legnate prese nel 2008, non è riuscito ad estrinsecare appieno la sua possanza: con l’inganno o con l’affanno qualcuno lo ha sempre preceduto o affiancato. Così all’ultima chiamata ha risposto. Il temibile evento che aleggiava su tutte le salite alla fine si è verificato. Boldrini ha prevalso per distacco e il giudice infernale non ha nulla da ridire perché dopotutto ne era degno: ha rinunciato al Giro per prepararsi scientificamente al Tour, ha rinunciato a tutti i dessert del menu ufficiale e si è nutrito di pasta scondita e croste di formaggio. Dopo due anni d’insuccessi e beffe è diventato l’uomo solo al comando, così potrà raccontarlo alla figlioletta sulle ginocchia.

Il presidente lo ha aiutato. Siccome si ripassava dalla cote di Venthon, per dissuadere Cocchetti dai tiri mancini lo ha costretto a partire con un handicap di mezz’ora. Nucci e Chiarugi gli hanno steso un tappeto di blandizie e Bitossi si è ricordato troppo tardi dalla sua genealogia.

Il Saisies ha però illustrato tante altre storie, come la ribellione di san Seripa costretto a dormire quattro notti con Boldrini e a scalare quattro giorni con la Bertelli, o la resipiscenza del primiparo Rossi che per evitare d’essere additato come unico esploso al Tour ha preferito il Saisies interruptus. Poi c’è stato il regolamento di conti di Caparrini nel duello tra Wilier gemelle con Muritano, ed infine l’aspra disfida tra i due Lisi per il fin de course et de Tour terminata quasi a pari merito.

Compilando le pagelle il professor Caparrini indulge in giudizi meritori per tutti, perché tutti hanno pagato la stessa quota, hanno mangiato un’uguale quantità di pasta scotta, hanno bevuto gli stessi ettolitri di Orangina, hanno degustato lo stesso numero di gelati Carpigiani (cioè, ahimè, nessuno), hanno sonnecchiato per un uguale numero d’ore in autobus. Insomma, il Tour dell’Empolitour, primo per fondazione e diffusione, che vanta innumerevoli tentativi d’imitazione, termina la sua gita in autobus con unanime verdetto d’assoluzione, pronto a ripartire per un altro ventennio. E se la nostra senescenza non ci preserverà baldi ed atletici come Caponi e Rinaldi, e se la squadra involvesse in una fisiologica maturazione bubbonica, allora cambieremo ragione sociale per tornare al Tour in autobus come Andreacaparrini Travel.

 

 

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