Giro
2012
Tirano
25 – 27 maggio
Il
Giro dello Stelvio
Alla ricerca dello Stelvio perduto
Il ventesimo Giro d'Italia dell'Empolitour si apre con la speranza
d'altitudine e la certezza di moltitudine. L'altitudine è ambita sullo Stelvio,
magnanimo evocatore di elevati ricordi. Per la prima volta Caparrini e la
Gazzetta si sono trovati d'accordo: salita da pedalare e tappa da visionare
nello stesso giorno. Al Sacro Scrittore del Programma è bastato aggiungere
all'astro gigante della Valtellina due satelliti per redigere la strategia delle
manovre di Tirano: Santa Cristina e Bernina ruoteranno intorno allo Stelvio, il
Mortirolo è sconsigliato, quasi vietato. Eppure se andiamo a ricercare il tempo
perduto nelle memorie dell'Empolitour Stelvio e Mortirolo compaiono fatalmente
coniugati.
Nel 1994 Caparrini guidò cinque soci della neonata squadra su uno Stelvio
senza tappa che fu raggiunta a Merano con la prima vittoria di uno sconosciuto
Pantani. Il giorno dopo moriva Massimo Troisi e nasceva per il grande pubblico
Marco Pantani sul Mortirolo dove gli Empolitour per un attimo lo scambiarono per
Vona, transitato per primo proprio sullo Stelvio. Pantani poi s'involò sul
valico di Santa Cristina che così oggi giustifica l'aderenza al tema della
spedizione.
Il vero Stelvio perduto fu però quello del 2001 quando gli Empolitour
andarono a violarlo nel suo sonno di glaciazione, furono respinti da un baluardo
nevoso e poi castigati degnamente in discesa. Era la Val Venosta e non la
Valtellina ma la sete di vendetta non soggiace alla commutazione dei versanti.
Questi due episodi di storia sono preceduti da un curioso aneddoto di
preistoria quando nel 1988 i patriarchi Nucci e Chiarugi, dopo avere perduto
l'esiziale tappa del Gavia partirono il giorno dopo da Bormio nonostante
l'annullamento della tappa dello Stelvio e si ritrovarono in mezzo a una nube
nevosa additati dai professionisti che li sorpassavano in macchina.
Tre casi diversi di Stelvio perduto, o per difetto di tappa, o per difetto
di cima. Tre esperienze incompiute che meritano l'attuale rivalsa in altitudine.
E qui entra in gioco la moltitudine. Un bersaglio difficile e incerto merita una
faretra piena di frecce, allo stesso modo vengono sparati milioni di spermatozoi
perché almeno uno arrivi a destinazione. Caparrini, supremo regolatore dei
piani e dei conti, che aveva finora limitato il numero d'iscrizioni in
riferimento al volume critico d'affastellamento di bici e borsoni nell'autobus,
quest'anno decide di ricorrere all'istituto del furgone ausiliario con
automedonte non professionista assoldato per coercizione. Con quest’appendice
volumetrica si riescono a caricare trentuno ciclisti pedalanti ai quali si
aggiungono quattro membri con mezzi propri, il tutto così enumerabile:
il lavativo Bagnoli F, il recidivo Bagnoli M, la loquace
Bertelli, il transgenico Boldrini, il supremo Caparrini, l'ascetico Chiarugi,
l'atletico Cocchetti, l'ispanico Cordero, l'artistico Giunti, il feroce Malucchi,
il rocciatore Marconcini, il rigoroso Muritano, il famelico Nucci, il
gastronomico Rinaldi, lo zavorrato Salani, il faceto Tempestini, il pacato
Traversari, il marsupiale Ulivieri, l'illocalizzabile Bitossi, il camminatore
Buglione, il roccioso De Rienzo, il barbuto Gelli, lo stentoreo Goti, il tecnico
Vezzosi, l'ospite Marforio, il serafico Seripa e i due che loro malgrado sono
costretti al ruolo non pedalante di accompagnatrice e centauro, Cucinotta e
Alotto.
A costoro, già noti ai venticinque lettori dei Giri dell'Empolitour,
si aggiungono sette quasi ignoti esordienti arruolati nella cerchia di
familiari, amici, colleghi o fidanzate da qualche membro esperto che si fa
garante della loro idoneità ciclistica. Abbiamo perciò Buglione F garantito da
Buglione A in quanto padre, Corsinovi da Tempestini, Donati da Ulivieri, Maltana
garantita da Nucci Ri che è garantito dal più titolato fratello Nucci Ro,
Ramerini garantito da Caparrini e Starnella da Malucchi.
La salita che non c'è
L'Hotel Bernina è posto davanti a una fontana e alla
stazione di Tirano utili rispettivamente per bere e per barare, non oggi però
perché il treno arriva sul Bernina ma non sul valico di Santa Cristina. Ed è
già tanto che vi arrivi la strada, finora ignota ai cartografi e probabilmente
anche agli abitanti dell'eponimo paesino che la scoprirono per la prima volta in
televisione nel 1994. Caparrini, supremo custode dell'unanimità, per tutto il
viaggio si è appellato al rispetto del percorso che è pieno d'insidiosi bivi,
proiettando le immagini di quella tappa e leggendo le scarne testimonianze su
quel valico, con la speranza d'essere ascoltato almeno da qualche capogruppo.
L'unità in salita può essere infatti intesa solo come somma di molteplicità
discrete e molto distanziate fra loro, sebbene qualche inguaribile ottimista ci
provi sempre con la proposta del "si-sta-tutti-insieme". Anche
normalizzando per sesso, età e massa corporea il chilometraggio nelle gambe
varia in gruppo di almeno tre ordini di grandezza, dalle migliaia di Boldrini,
alle decine di Malucchi e alle unità di Goti che è notoriamente considerato il
punto di massima arretratezza al di sotto del quale si resta in albergo come
Marforio.
Pertanto, una volta scongiurati i desideri di Mortirolo di
una subito resipiscente minoranza, Caparrini si gode quattro chilometri di
compattezza sulla statale prima del bivio più facile, per tacer di Chiarugi
attardato per motivi tecnici. A Stazzona già si delineano per ambizioni
decrescenti quattro categorie di aggregati: quelli che ambiscono a staccare
Boldrini come i prevedibili Cocchetti, Tempestini, Salani, Marconcini, Gelli,
Cordero e Chiarugi spolmonatosi per rientrare, e con gli imprevedibili Corsinovi
e Starnella; quelli che ambiscono alla schiena presidenziale come Giunti,
Bagnoli F, Muritano, Traversari, Ramerini e Rinaldi; quelli che ambiscono a non
mettere il piede a terra come Bagnoli M, i due Buglione, Vezzosi, De Rienzo,
Malucchi e gli affiatati Nucci Ri e Maltana, scortati a scopo umanitario da
Nucci Ro e Bertelli; e per finire quelli come Goti che ambiscono al furgone. A
completare i quadri ci sono i vaganti ma coesi Donati e Ulivieri, il
disinteressato Seripa e l'illocalizzabile Bitossi fedele al suo appellativo.
Questa stradina umbratile e silenziosa diventa per un'ora un ricettacolo di
sudori, bave, rantoli, fischi e sibili perché i deboli si debilitano e i forti
non si fortificano: forse credevano che Cristina fosse simile a Baronto e invece
si ritrovano su un pendio che rasenta il Mortirolo, evidentemente distratti
durante le letture e gli ammonimenti caparriniani. Prova ne è il fatto che
cercano di sbagliare strada verso l'ingannevole paese eponimo, salvati
dall'onesto Boldrini che avrebbe potuto approfittare delle sue conoscenze
topografiche per staccarli tutti in un colpo solo. E invece per tutta
riconoscenza è lui staccato da Cocchetti e Tempestini.
Uno alla volta i battuti si consolano con prove d'eccellenza non meno
virili. Salani è il miglior sbavatore, Marconcini il più ondulatorio, Cordero
il più ricurvo, Corsinovi il primo degli asociali e Gelli il primo dei barbuti.
Quando arriva Caparrini, primo dei saggi, comincia a guardare l'orologio, non
tanto per sancire il record personale di scalata abbastanza scontato, quanto per
stimare il divario fra l'arrivo di Goti e quello della tappa televisiva posta a
pochi chilometri in un bar dell'Aprica. Siccome l'ipotesi più propizia prevede
che Goti debba comparire oltre la fine del Processo alla Tappa Caparrini,
supremo attendista degli ultimi, delega al centauro Alotto l'opera di soccorso
dei derelitti e si fionda in discesa come Pantani nel 1994 seguito da un lungo
codazzo d'interessati. Così al prezzo di una trentina di chinotti Lurisia
altrettanti ciclisti schiamazzanti si godono gli ultimi chilometri dell'Alpe di
Pampeago e quando Kreuziger taglia il traguardo, il desiderio d'albergo pare
prevalente sulla misericordia per il drappello ritardatario che comprende oltre
a Goti anche Malucchi, l'intera componente femminile e alcuni dispersi ancora
non identificati. Quando il supremo attendista sta per decidere di abbandonarli
al loro destino e agli aiuti umanitari del centauro e dell'automedonte, arrivano
tutti quanti freschi e gaudiosi, accompagnati da un boato d'ilarità per la
visione di Goti seduto a cassetta sul furgone ausiliario. Il buonumore generale
crea un'insperata compattezza nel ritorno, vanificata da due carabinieri che
vorrebbero multare il gruppone per difetto di velocità. Un'ammonizione che
sortisce l'effetto di diaspora in discesa con attacchi e fughe verso le docce:
la tradizione è salva, la prova superata e lo Stelvio meritato.
Il sole che trafigge i nevai
Comunque lo si voglia affrontare, lo Stelvio deve per forza incutere qualche
forma individuale di soggezione. Anche i lupi di montagna che non temono i
ventidue chilometri di salita si sentono vulnerabili. Chiarugi per esempio teme
la discesa, Nucci Ro il freddo, Caparrini il caldo, ma per tutti il timore
principale è quello dell'incompletezza. Oltre ai tre sommi patriarchi ci sono
altri reduci del 2001 memori ancora dell'onta dello Stelvio interruptus:
Boldrini, che già allora era l'atleta da staccare, Bitossi, Tempestini e
financo Goti, che già allora era l'atleta da aspettare. Ci sono quelli come
Bertelli e Rinaldi che vantano Stelvi asociali nei loro curricula, molti come
Giunti e Salani che vantano altitudini anche maggiori ma non lo Stelvio e quelli
come Nucci Ri e Maltana che vantano qualche San Baronto: tutti accomunati dal pavor
intermissionis. L'idea di dover sospendere la scalata per pioggia, neve,
folla o sfinimento non garba a nessuno e la partenza è perciò ricca
d'espedienti. Goti e la squadra femminile salgono sul furgone che li esenta
dall'ascensione di valle fra Tirano e Bormio, ma per molti altri il problema non
sta nei chilometri che aumenteranno ma nei gradi che diminuiranno. Caparrini lo
risolve con una maglietta e un cappellino in tasca, seguiti dopo angosciose
consulte da clamorosi gambali. Chi invece è dotato di un normale sistema
termoregolatorio riempie schiena o appendici con indumenti invernali. Per dare
un'idea del timore reverenziale verso l'altitudine basti pensare che pure lo
spartano Chiarugi, che soleva deridere i portatori di zaino, ora si presenta con
un basto pieno di roba pesante.
Tanto per cominciare comunque sono quasi tutti a maniche corte e socialmente
colorati ma la realizzazione d'uniformità da parte del supremo aggregatore
appare improbabile. Paesi come Tovo, Mazzo, Grosio, Grosotto evocano sollievi o
rimpianti di Mortirolo acuiti dalle frecce rosa che lì deviano senza seguito.
Il faro della corsa è il cranio di Boldrini che cerca libertà su ogni rampa
mentre in coda la pesante eredità di Goti è raccolta da un gruppo affiatato
dove non mancano mai Vezzosi, Bagnoli M e Malucchi. L'illocalizzabile Bitossi
chiede al presidente il permesso di una fuga verso parenti inesistenti e sarà
rivisto a cena. Quando la valle sembrerebbe placata e il gregge radunato, le
frecce del Giro puntano verso un'inferriata invalicabile che costringe i
ciclisti ad effettuare una gimcana su pendenze peggiori del Mortirolo. Caparrini
però consola gli afflitti ricordando che quella è una salita che non conta e
che lo Stelvio deve ancora cominciare. A Bormio finalmente si respira il clima
della tappa rosa ma senza quei caratteristici incagli di macchine, bici e
gendarmi che si vedono al Tour. Sebbene l'abile Cocchetti abbia tentato di
fungere da posto di blocco per partire tutti insieme, nessuno può computare con
esattezza presenti e assenti, e a questo punto anche il supremo docente
Caparrini rinuncia all'appello, riempie la borraccia e parte. È lui l'origine
del sistema di riferimento lungo lo Stelvio consentendo di classificare i
ciclisti in pre-caparriniani e post-caparriniani.
Alla prima categoria appartengono ovviamente le femmine partite con due ore
di vantaggio. Possono permettersi una salita al passo delle fioraie senza essere
raggiunte. Così Bertelli può vedere le genziane e Maltana le stelle ma non
alpine. Intanto il predatore Boldrini non si accontenta di staccare tutti ma si
ferma a concionare con un indigeno, si fa sorpassare dai primi per poi
risorpassarli con ghigno. Il mite Chiarugi tollera e resta sano mentre per foga
Cocchetti è colto da epistassi, Corsinovi da capogiri e Tempestini è costretto
a fermarsi per soccorrerli. Ne approfitta il savio Giunti, ultimo degli scampati
a un terrificante motoraduno che fagocita i ciclisti e impedisce di stilare
ulteriori classifiche. Al postutto comunque la montagna innevata partorisce
pochi topolini infreddoliti e tutti i timori d’interruzione risultano
sostanzialmente infondati, a parte 75 metri di deviazione che si possono
abbuonare alle coscienze più pignole. Quando arriva il presidente si stimano
ancora circa venti post-caparriniani fra i quali l'inclassificabile Goti che
all'improvviso sbuca dai nevai a braccia alzate. Siccome è partito prima ed è
arrivato dopo senza che nessuno dei presenti si sia accorto di averlo
sorpassato, per ingannare la gelida attesa i ciclisti formulano alcune ipotesi
sul suo curioso caso.
Quella eroica. Al bivio per la Svizzera Goti ha sbagliato strada, è sceso
in Val Venosta e risalito dall'altro versante lasciato incompiuto undici anni
prima.
Quella truffaldina. In salita alcuni autobus hanno sorpassato i ciclisti e
qualche maligno sostiene di avervi intravisto un'argentea chioma ricciuta.
Quella ragionevole. Goti ha fatto il massimo consentito dalla sua leggerezza
di allenamento e dalla sua pesantezza d'anni e di chili, cioè si è fermato su
ogni tornante nascondendosi per pudore al passaggio di ogni Empolitour.
Non c'è comunque tempo per interrogare Goti perché Caparrini senza
ammetterlo constata l'insufficienza del suo abbigliamento e sostiene che la
tappa sarebbe meglio visionarla dieci chilometri più in basso, contravvenendo
ancora una volta al principio d'attesa plenaria degli ultimi che sono ancora
parecchi. E infatti in discesa si può assistere ad inconsuete esibizioni di
lentezza e sofferenza disperse negli algidi chilometri finali: il fraterno e
commovente viatico di Nucci Ro a Nucci Ri, la società di mutuo soccorso fra
Ulivieri e Donati, la plastica staticità di Bagnoli M, l'abnorme curvatura di
De Rienzo e la tenace spettralità di Malucchi.
Quando Caparrini individua il sito idoneo per completare il rito ortodosso
della tappa c'è molto tempo a disposizione per redigere bilanci parziali.
Un'immensa fila tridimensionale divide infatti il supremo dispensatore di
vivande dalla conquista di panini con suole di prosciutto e durante l'attesa
alcuni testimoni gli riportano notizie sui renitenti alla vetta. Pare infatti
che non siano mancati casi di Stelvio interruptus, alcuni programmati come
quello mai cominciato di Marforio, alcuni inevitabili come quello di Vezzosi,
alcuni incomprensibili come quello dei Buglione fermi sul più bello a tre
chilometri, si dice per evitare la chiusura delle cucine di un ristorante
prenotato a Bormio. I casi riprovevoli non si esauriscono però con questa
amenità perché Caparrini impegnato a sgomitare non può dedicarsi al
proselitismo e soltanto un'esigua ma valorosa minoranza s'offrirà per seguire
tutta la corsa da De Gendt a Cavendish senza in verità soffrire abbastanza
perché il cielo è asciutto e regala possibilità d'escursione termica da
estate a inverno quando passa una nube. Il palcoscenico naturale della strada
che si avvita sulla montagna è uno spettacolo in sé a prescindere da quello
offerto dai corridori, e per i fieri integralisti Bagnoli M, Bertelli, Caparrini,
Chiarugi, De Rienzo, Giunti, Maltana, Nucci Ri, Nucci Ro e Salani vale il prezzo
di uno zaino o di un paio di gambali. Sul resto della comitiva cala un pietoso
silenzio anche perché pochi avranno poi il coraggio di confessare le proprie
malefatte. Tranne sporadici avvistamenti, come quello di Ulivieri in discesa
vestito da foca monaca, molti ciclisti riescono a farla franca ripercorrendo a
ritroso il percorso di tappa. I nomi di Bagnoli F, Cordero, Tempestini,
Traversari e di quello che un tempo era l'ortodosso Muritano compaiono nel
rapporto di una pattuglia della polizia stradale che li avrebbe scortati per
sette chilometri di galleria della superstrada. Sic transit gloria Empolitour.
Il treno dei deleteri
In un epico passato ormai remoto i ciclisti riportavano a Empoli i sudori
delle Alpi come prova solubile e odorosa delle loro imprese. Poi è subentrata
l'usanza della doccia anche l'ultimo giorno che il supremo garante delle
abluzioni suole contrattare ogni anno coi gestori dell'albergo pagando un
copioso quanto superfluo pranzo. Questo ha comportato l'introduzione di
provvedimenti draconiani per il rispetto degli orari, come recentemente
l'istituto della salita a consumo temporizzato. In pratica si va sul Bernina e
chi torna dopo le 12.30 non si lava. Prima di partire però il supremo giudice
Caparrini deve comminare alcune sanzioni. Per Vezzosi c'è la sospensione
cautelativa, per Goti gli arresti alberghieri, Muritano dopo la degenere visione
di tappa è costretto all'appiedamento, graziato però dalla più grave pena del
Bernina Express, Chiarugi dopo l'illecito trasporto di zaino sullo Stelvio è
obbligato a trasportarne un altro sul Bernina, Malucchi infine è obbligato a
partire in anticipo. Gli altri dovranno misurare le gambe residue, confrontarle
col rapporto fra il desiderio di salita e quello di doccia, e poi decidere lì
per lì quanto Bernina scalare.
La salita non è molto emozionante e i ciclisti non sembrano intenzionati a
migliorarla con la loro condotta. Il solito Boldrini tenta una fuga precoce ma
tituba davanti ai doganieri che comunque lo lasciano passare nonostante
l'aspetto truce. Il drappello dei pre-caparriniani è unito dalla volontà di
staccare il transgenico. Insieme a Cocchetti, Tempestini e Corsinovi torna anche
Nucci Ro dopo gli impegni assistenziali. Boldrini si sente osservato e si
lamenta perché nessuno gli dà cambi in pianura. Nel frattempo infatti la
salita si adagia lungo il lago di Poschiavo dove termina anche il vantaggio di
Malucchi che sta pedalando al passo del pescatore di trote. Il trenino del
Bernina che poteva essere considerato semplicemente evitabile si dimostra invece
piuttosto dannoso non solo per gli infidi solchi delle rotaie ma anche perché
entra continuamente in mezzo alla strada e Boldrini non può prenderne la scia.
Quando la via ferrata e quella asfaltata si separano definitivamente i ciclisti
non perdono però la compagnia degli altri veicoli che prosegue fino in cima
costante e petulante. Mancano soltanto autosnodati e autoarticolati per
completare l'ampio spettro di motorizzazione. Questo clima autostradale e
l'ampiezza della carreggiata sottostimano la pendenza della salita che invece si
mantiene sfibrante. Boldrini è il primo a farne le spese a vantaggio di
Cocchetti e Tempestini mentre Corsinovi e Nucci pagano le brame boldriniane col
sorpasso dei risalenti Chiarugi e Gelli. Gli altri pre-caparriniani arrivano
isolati, come Cordero o Bitossi, o in idilliache coppie come Marconcini e Salani
o Giunti e Bagnoli F. Sulla vetta invece di un prevedibile autogrill c'è un
misero cartello e un ricco vento che sconsiglia soste prolungate. Ma anche il
supremo custode delle soste aveva giudicato sconveniente il rispetto del dovere
d'attesa perché il rapporto uno a dieci fra numero di docce disponibili e
numero di ciclisti lavabili avrebbe provocato pericolosi ingorghi in caso
d'arrivo ecumenico all'Hotel Bernina.
Sul passo Bernina si genera perciò un bel viavai di ciclisti ascendenti e
discendenti. Lo spartiacque Caparrini giunge con l'esordiente Ramerini
finalmente adeso alla sua schiena dopo due giorni di tentativi fallimentari. I
post-caparriniani sono però in notevole difetto di presenza. Si computano
soltanto la Bertelli con le genziane, Starnella con Malucchi, e Nucci Ri con
Maltana, soggetti che sono molto a rischio di rimanere all'asciutto. Per questo
motivo la strana coppia Rinaldi - Traversari preferisce essere additata ma
lavata e indietreggia a dieci chilometri dal passo, senza però oltrepassare la
soglia d'inverecondia perché tutti gli altri innominabili si fermano sulle
sponde del lago e poi scendono a girovagare per il mercato di Tirano. Ma la
giustizia scalatoria finirà per trionfare. I post-caparriniani che strenuamente
hanno fugato ogni lusinga di retroversione per conquistare un passo pieno di
macchine dove nessuno li aspettava per immortalare la loro impresa, con una
discesa velocissima e disperatissima riescono a rientrare per un minuto nel
tempo massimo guadagnando la meritata abluzione. La conclusione è degna, il
fine lieto e l'autobus già onusto di gloriose bici.
Profumati ma affamati, stanchi ma rumorosi, felici ma frettolosi tutti gli
uomini del presidente sanciscono il successo ufficiale di questo Giro seduti
all'ultimo desco sociale, acquistato per la pulizia dei loro corpi. I ricordi di
questi giorni potranno poi contribuire anche a pulire i sudori delle loro anime.