Giro 2011

Pinerolo 27 – 29 maggio

Il Giro delle Finestre

 

 

Come l’acqua di un fiume anche la polvere che scorre lungo le salite del Giro non è mai la stessa. Se i ciclisti di Empoli e di Empolitour non si stancano di ripetere con indefinita ricorrenza le quattro o cinque varianti del San Baronto, possiamo immaginare che la rivisitazione dopo sei anni del colle delle Finestre sia accolta come gradevole novità, anche senza appellarsi al pensiero filosofico eracliteo. E comunque Caparrini, supremo custode dell’ortodossia e dell’innovazione, ogni anno è capace di aggiornare le sacre scritture del programma con qualche particolare inedito affinché non somiglino troppo a litanie già recitate dai molti adepti che, come o più delle salite, sembrano sempre gli stessi. Anche qui si potrebbe filosofeggiare sostenendo che non siamo mai uguali a noi stessi e che quindi non è mai possibile che un medesimo ciclista scali una medesima salita, ma questo ci porterebbe fuori tema, e il sugo della premessa è che anche il diciannovesimo Giro d’Italia dell’Empolitour, come il tredicesimo, sarà intitolato al colle delle Finestre. Sarà perché è un po’ sterrata, sarà perché è un po’ dura, questa sinuosa stradicciola ha vinto a novembre il ballottaggio con le nobili Dolomiti per diventare l’emblema di questa spedizione piemontese imperniata su Pinerolo, non sul Sestriere perché altrimenti, a prescindere da Eraclito, sarebbe parsa troppo uguale a quella del 2005.

Come la componente geografica anche quella umana, sotto forma di vertiginosa lista di partecipanti, soggiace a confronti spaziali e temporali. Lo spazio è discriminante non tanto per la composizione volumetrica dei ciclisti, dal momento che l’hotel Barrage è ampio e capiente, quanto per l’ingombro sterico delle biciclette che nel ventre della Sita non possono oltrepassare una soglia numerica prestabilita. Il supremo custode delle prenotazioni conosce bene questo numero rapportato all’abilità d’affastellamento dell’auriga sociale Giuseppe, ma non ha mai negato a nessuno la promessa di un’iscrizione soprattutto davanti al congruo acconto. Sa che le fluttuazioni statistiche delle intenzioni e della sorte sono imprevedibili e che la probabilità di defezione è molto maggiore di quella di aggregazione, tanto più ci si avvicina all’ora di partenza. Così dall’overbooking di trenta si è trovato a varare un carico di ventisei ciclisti che è ragguardevole ed equilibrato anche se non comprende per fato o per scelta alcuni storici protagonisti.

Questa lista da enumerare con la tradizionale e doverosa prolissità si confronta inevitabilmente anche col tempo. A parte Caparrini e Chiarugi presenti in tutte le liste dal 1993, la tassonomia dei rimanenti non è agevole. Per evitare tediose classifiche di partecipazioni al Giro possiamo adottare la numerazione di certe tribù amazzoniche che distinguono soltanto uno e molti: sette esemplari al primo Giro (Alotto, Bagnoli M., Buglione, Cordero, Gelli, Lisi M. e Piacenti) e altri diciassette ripetenti (Bagnoli L., Bitossi, Cocchetti, De Rienzo, Giunti, Goti, Lupi, Malucchi, Marconcini, Muritano, Rinaldi, Rossi, Salani, Tempestini, Traversari, Ulivieri e Vezzosi). Rimossa ogni tentazione di presentazione individuale, si possono annotare alcune brevi descrizioni.

Novizi. A giudicare dall’età media potrebbe sembrare una generosa concessione terminologica. Alotto e Lisi M. si sono già visti al Tour, Buglione e Cordero si sono già visti in qualche Classica, Gelli si è già visto in qualche corsa podistica, mentre Bagnoli M. e Piacenti si sono già visti in qualche cena che per l’Empolitour è un’attività molto allenante.

Recidivi, redivivi e superstiti. Alcuni hanno già una definizione apodittica come l’illocalizzabile Bitossi, il marsupiale Ulivieri, il carlone Rinaldi, il feroce Malucchi, lo zavorrato Salani, lo stentoreo Goti; alcuni persistono, alcuni a volte ritornano come il patriarca Bagnoli L. inscrivibile nella lista dei superstiti delle prime Finestre insieme a Bitossi, Caparrini, Chiarugi, Giunti, Malucchi, Salani, Tempestini, Traversari e Vezzosi.

A questo punto i venticinque lettori, calcolati non sull’imitazione manzoniana ma sul numero dei ciclisti meno lo scrittore, possono cominciare a pedalare guardando il cielo non solo dalla finestra principale ma anche da una finestra d’apertura chiamata Pramartino e da una vetrata panoramica di chiusura chiamata Monviso. Ma questa era soltanto l’anteprima.

 

 

La finestra sul cortile

 

Il supremo topografo Caparrini ha preso ispirazione da una passata tappa del Giro e da una futura tappa del Tour nel proporre questa salitella di Pramartino utile per sciogliere i muscoli e le prognosi che per alcuni ciclisti sono riservate. Infatti è già dimostrato che lo stato d’allenamento di Goti e Malucchi è pietoso mentre è da dimostrare che alcuni partecipanti come Bagnoli M., Gelli e Piacenti siano davvero ciclisti. Diverso è lo stato dell’altro più famoso Bagnoli L. che è un pianificatore cartesiano e conosce bene i suoi limiti scarsi a cui tendere. Sebbene le sue crisi siano rinomate e illuminate, egli vuole riservarle al colle delle Finestre, non a un semplice Pramartino che dichiara preventivamente di eludere.

Con un anellino di venticinque chilometri si potrebbe in verità chiudere subito questa pratica introduttiva ma il supremo imprenditore vuole che sia rispettato il minimo sindacale di cinquanta. Quindi bisogna diluire con pianura un brodino già annacquato. L’acqua non manca e non è quella pluviale che blandamente inaugura i lavori ma quella di Chisone, Pellice e Lemina che formano un vasto bacino irriguo ricco di coltivazioni di cereali e di rotatorie. Circolando su queste diffuse intersezioni a raso si ha l’impressione che tutte le strade immissarie e emissarie portino dappertutto, secondo un macchinoso inviluppo cartografico che riesce a collegare ogni località con tutte le altre. E siccome da queste parti ogni trittico di case assurge a dignità di paese con cartello, si capisce perché Caparrini si trovi un po’ disorientato nel guidare la folta carovana verso Cavour che è il punto scelto per l’inversione di marcia con ovvio simbolismo risorgimentale.

Gli sguardi oscillano dubbiosi fra cartelli e cartine. Poi ci sono gli evoluti dotati di GPS come Chiarugi che ha le mappe ma non vede lo schermo o Buglione che vede lo schermo ma non ha le mappe. Questo stradario a ragnatela consente comunque di girare attorno a Cavour e tornare nei pressi dell’albergo per vie impreviste e senza mai ripassare per lo stesso punto, e soprattutto adempie allo scopo prefissato con trenta chilometri di diluizione.

Ora però bisogna scovare Pramartino fra qualche decina di combinazioni con ripetizione. In mancanza di meglio si seguono le indicazioni per Prarostino confidando nell’assonanza, come se Empoli fosse vicino ad Eboli. Visti i fallimenti di mappe e satelliti, Caparrini ricorre allora all’atavico metodo della domanda al passante che consente di arrivare orientati e compatti  a Villar Perosa. Non senza soste però. Con le prime brevi rampe cominciano le prime dispersioni di Goti e il supremo unificatore esige che si arrivi tutti insieme ai piedi della salita. Il gruppo è tanto preso da questa missione che dopo un dosso si ferma cinque minuti ad aspettare Goti prima di accorgersi che non si è mai staccato.

A Villar Perosa dopo qualche bivio infruttuoso si scorge l’indicazione per Pramartino ma Caparrini tira dritto perché gli sembra strano che si sia trovata così facilmente. Infatti deve fermare altri due passanti per convincersi che è proprio quella giusta. Il gruppo mormora ma non si dissipa perché ha fiducia nel condottiero e aspetta la sua frase ufficiale per potersi scatenare in salita. Quando la frase s’ode, i forti insorgono sui pedali e le catene salgono sui denti, ma un omino con la paletta rossa ha chiuso la strada per attraversamento di scolari. Esiste una deviazione che però fa dileguare ogni certezza su Pramartino che ora dovrebbe trovarsi genericamente dove la strada sale. E con questo criterio rimangono imbottigliati in un cul de sac finché non passa un ciclista indigeno a guidarli sulla retta via.

In pochi chilometri si svelano finalmente gli animi reconditi. Si scopre per esempio che Gelli sotto una barba afgana e una livrea eterodossa cela anche inopinate virtù pedalatorie e che Cordero vuole fugare subito ogni riferimento a Montezemolo per onorare in salita le sue ispaniche origini. Insieme a loro Cocchetti fa la chioccia, Tempestini il gallo, Chiarugi e Lupi pigolano ma il Pramartino è già finito, senza case né cartelli in uno spiazzo assolato idoneo ad attendere lungamente Goti col prevedibile Lisi M. e l’imprevedibile Bitossi che si conferma ciclista antipodico, ultimo quando non primo.

Caparrini, supremo mediano, ora cerca di amalgamare il plotone per due prossimi difficili obiettivi: la visione televisiva della tappa e il ritorno in albergo per la via più breve. Entrambi falliti, ma di poco. La tappa di Macugnaga termina infatti molto prima di Goti ed alla via breve si preferisce una divagazione dolciaria per rispettare anche in assenza dell’arconte eponimo l’istituto della sosta Pagni.

Il supremo nutrizionista deve ora organizzare la meritoria alimentazione dei suoi affamati proseliti, e in realtà il menu è già tutto organizzato e concordato da gennaio. Scorgendo nella tavola limitrofa i denutriti ciclisti del Team Leopard che stanno cenando con pasta scondita e verdure grigliate, Caparrini e il pio Buglione con sincero slancio di misericordia regalano ai fratelli Schleck, insieme a consigli tecnici per affrontare il Pramartino al Tour, anche un bel sacchetto di brigidini. Commossi da tanta munificenza i due giovani lussemburghesi si prestano a mescolarsi con gli Empolitour per una storica foto di gruppo da cui si evince che sembriamo i loro zii anziani e soprappeso. Noi però domani scaleremo il colle delle Finestre e loro no.

 

 

Affacciati alle finestre

 

Avevamo conosciuto il colle delle Finestre asciutto e sereno e così lo ritroviamo. Dalle finestre del Barrage l’orizzonte luminoso ci fa presto intuire che mancherà il pathos dello sterrato bagnato. La perfida musa della botta che pregustava un’ecatombe di ciclisti nella fanghiglia, ora può soltanto confidare nell’inanità di alcune attese prede, De Rienzo, Goti, Lisi M., Malucchi, Piacenti e Vezzosi, tanto per non fare nomi. Goti e Vezzosi sono già espunti in partenza perché optano per la scalata dal versante sbagliato tutto asfaltato. A loro si aggiunge il pavido Ulivieri che teme il dileggio per la botta incerta, ma non quello certo per l’abbigliamento deviante. Così armato di marsupio e zaino perde un’altra buona occasione per redimersi.

Anche dalla parte giusta delle Finestre si notano però scostamenti dal modello di riferimento rappresentato da Caparrini. A lui s’ispirano i patriarchi Bagnoli L. e Chiarugi, e i saggi Giunti, Rinaldi, Tempestini e Traversari che mantengono la schiena sgombra da orpelli. Nella maggioranza prevale invece l’inopportunità di ammantare il dorso con varie tipologie di zainetto come quello a prosciutto di Cordero o quello con imbracatura di Marconcini o il sacco di patate di Alotto. La purezza dorsale di Caparrini e Bagnoli L. può essere ammirata dal lungo strascico di partenti che confidano nella loro cognizione direzionale fra semafori e rotonde di Pinerolo. In realtà per non correre rischi il presidente si premura di assoldare un ciclista locale che sembra una specie di Mastro Lindo abbronzato e che traghetta il gruppo aldilà dell’intreccio dei primi quadrivi. Poi intervengono alcuni colleghi più normali diretti alle Finestre che risparmiano all’Empolitour un sicuro annegamento nei gorghi di Avigliana.

Il percorso di tappa con le frecce rosa è così servito su un piatto d’argento ma lo spettro dello sterrato, visto dagli inesperti come luogo desertico e inospitale, incute il desiderio dell’ultimo caffè prima dell’immolazione, e il supremo dispensatore di soste acconsente nonostante le rimostranze dei più impavidi che fremono nell’imminenza della salita. A Susa scocca l’ora della decisione irrevocabile: arrivare in vetta senza mai poggiare il piede a terra. L’obiettivo è nobile e ambizioso sia per i forti che per i deboli. Ai più veloci si richiedono doti d’equilibrismo e abilità nel sorpasso. La fauna ciclistica che popola la salita non si è infatti evoluta in questi sei anni e consta di ansimanti bradipi, perlopiù in mountain bike, che si dispongono per naturale empatia in triplici o quadruplici filari, sorpassabili soltanto con volteggi lungo l’orlo del precipizio o sfollabili con urli minacciosi non equivocabili coi sospiri, pianti e alti guai che risuonano lungo questo difficile sentiero. La tattica migliore sarebbe quella di mettersi a ruota di un urlatore e pedalare rilassati, per quanto possa rilassare una pendenza media del nove percento. Il più veloce, e quindi potenziale spartiacque, oggi però decide di essere Bitossi che oltre ad essere imprevedibile e illocalizzabile è anche piuttosto silenzioso. Tempestini e Chiarugi preferiscono perciò non accodarsi a lui ma sfidare da soli il moto dei gravi, almeno finché non s’incontrano e rischiano di cadere nella volata per la piazza d’onore. Si formano molte altre coppie o terne improvvisate come Gelli, Giunti e Salani, o Caparrini, Cocchetti e Rinaldi, o Buglione e Muritano.

La transizione fra asfalto e sterrato non altera l’impostazione delle traiettorie, semmai le rende più agevoli perché, superato un coacervo di bubboni nei pressi di un’ambita fontana, gli spazi si aprono magicamente. Si chiama sterrato solo nel senso che è fatto di nuda terra, ma è privo di sassi, tutti sminuzzati all’infinitesimo per salvaguardare le ruote professionali. Le bici da corsa scivolano in modo leggiadro su questo suolo soffice e glabro. Ma anche se l’insidia della ghiaia è stata rimossa, la musa della botta aleggia costantemente sulle schiene ricurve dei lassi nei quali la fatica dell’erta prevale sul misticismo della gleba.

Storie di botta e di appiedamento possiamo raccontarle anche noi, a partire da quella inopinata del mite Salani. Si è allenato con la memoria delle passate Finestre scoprendo in corso d’opera che i ricordi non alimentano i muscoli. La cruenta polvere che viene a calpestare a tre chilometri dall’arrivo gli consente però d’effettuare un ottimo reportage fotografico. L’esordiente Buglione pensava invece che l’accurato studio della scalata in autobus col soporifero DVD di Cassani lo rendesse immune da ogni cottura: l’hanno trovato seduto su un paracarro pensando agli affari suoi come se aspettasse Bartali. Malucchi è stranamente riuscito a preservare le suole dal suolo, ma in cima al colle non si rendeva conto se fosse in crisi di fame o di sete. Dopo poche parole più simili a lallazioni è precipitato in discesa alla ricerca di un ristorante.

Questo è quanto emerso da dichiarazioni spontanee o testimonianze dirette, ma non possiamo escludere la realizzazione di molti altri inconfessati appiedamenti. Su Piacenti, De Rienzo e Bagnoli M. ci sono molti sospetti, mentre siamo garanti dell’integrità morale di Bagnoli L. che pur viaggiando col passo del raccoglitore di mirtilli è stato capace di descrivere oculate traiettorie sinusoidali per schivare la pendenza e i bradipi in mountain bike. Lisi M., che ha concluso le epifanie di ciclisti sociali sull’affollato cacume, anche se è scomparso senza rilasciare dichiarazioni lo possiamo sicuramente collocare fra i pedoni delle Finestre, a meno che il suo geologico ritardo non si giustifichi con lunghe soste in surplace come i pistard.

Dopo l’onore a tutti i meriti dei nostri scalatori, interamente ciclistici o parzialmente podistici, il supremo custode della visione di tappa deve ora tutelare l’ortodossia del programma dalle lusinghe della fuga in albergo. Caparrini rammenta a tutti il dovere istituzionale della visione, a dispetto dell’interesse scarso della tappa per il dominio di Contador e dell’unico precedente che vide tutti gli Empolitour adempiere a tale dovere nell’albergo di Sestriere. È difficile contare i superstiti nel marasma dell’attesa ma sembrano incredibilmente tanti, fra quelli in fila per bere, mangiare o pisciare, quelli seduti sui sassi e quelli stesi sui dirupi. Fra gli ortodossi sbuca Ulivieri incurante del pubblico ludibrio per la scalata asfaltata e incurante del sole ustionante da cui si protegge indossando in cinque sfoglie concentriche maglietta, maglia, gilet, mantellina e incerata. Poi si contano gli integralisti d’annata Bagnoli L., Bitossi, Chiarugi, Cocchetti, Giunti, Muritano, Rinaldi, Tempestini e Traversari, e quelli di ultima generazione Alotto, Cordero, Gelli e Rossi.

Il supremo ministro dell’attuazione del programma esulta a siffatta numerosità e si adopera per radunare tutta la greggia dietro al camioncino della porchetta ove risuona nell’aere terso un tonitruante alimentatore a combustibile mefitico. E dopo qualche timida disapprovazione sposta tutti a raccolta sul versante del pendio dove soffia il vento più diaccio. Ma si sa che la visione di tappa deve avere una finalità espiatoria e sarebbe troppo facile aspettare Kiryienka stesi su un prato erboso senza cacche di vacca.

Anche tornare in albergo sarebbe troppo facile se si seguissero i precetti caparriniani ispirati alla prudenza: aspettare la fine della corsa, discendere con tante frenate e terminare la pedalata nella valle a velocità controllata senza inseguire i ciclisti eterodossi. E invece si scende a rotta di collo, in mezzo alle ammiraglie e alle ambulanze, e a valle, dopo un breve periodo di tregua, il longevo e saggio Rinaldi fa esplodere il gruppo con un attacco a cinquanta all’ora sulla scia di un eterodosso. Grazie a questa saggia accellerazione alcuni riescono a tornare in tempo per la merenda mentre altri sbagliano strada e il vagante Cordero rincasa a mala pena per cena. I tre patriarchi Caparrini, Bagnoli L. e Chiarugi, unici a non rispondere alla provocazione, si lasciano allora andare in un lento ritorno con rimpianti per il tempo che fu e rimproveri per questa gioventù moderna.

 

 

La finestra di fronte

 

Le finestre affacciate ad occidente si svegliano con la piramide del Monviso. Il bersaglio stavolta è visibile e la direzione è guidata dal Po che scorre lineare senza rotatorie o semafori. Lo scopo del gioco senza tappa è l’abbeveraggio alle sue sorgenti con verifica delle condizioni atletiche residue di ogni ciclista. Oggi nessuno può nascondersi tra la folla, nessuno può sbagliare la strada, che è una e palindromica, e finalmente tempi e classifiche saranno chiari e distinti. Ma anche il supremo saldatore del conto del Barrage ha un serio problema di tempi. Come tutti gli ultimi giorni degli ultimi Giri, Caparrini ha contrattato la fruizione delle docce in cambio di un pranzo ecumenico, ma il contratto prevede il ritorno entro le 13.00. Senza bisogno del supremo calcolatore e alla luce delle scadenti prestazioni scalatorie di alcuni membri, si può facilmente inferire che non ce la faremo mai partendo alle non anticipabili ore 8.00. E non basta nemmeno l’efficace tentativo di dissuasione nei confronti di Goti. Bisogna ricorrere al drastico e rivoluzionario decreto del tempo massimo. Il supremo cronometrista decide dunque che, per il bene dell’abluzione e della nutrizione sociale, chi non arriverà a Pian del Re entro le 11.00 sarà obbligato ad un Monviso interruptus. In altre parole, alle 11.00 chi c’è, c’è, chi non c’è, torna indietro.

Di fronte a questa deliberazione d’imperio, per evitare di subire l’ignominiosa scure del tempo massimo Cocchetti, Bagnoli M., Piacenti e Vezzosi dichiarano retromarcia programmata. Gli altri hanno umori ondulatori. I tranquilli sono quelli che possono ambire alla schiena presidenziale o anche più in su. I rassegnati sono quelli consapevoli di potere ambire a Crissolo o al massimo a Pian della Regina, come Lisi M. e Malucchi. I riservati sono quelli che meditano colpi di mano. Fra questi è Muritano che a Barge parte in fuga senza salutare. Nel gruppo serpeggia una reazione mista di stupori, titubanze e improperi, ma sapendo che prima di Paesana c’è una dura salita che non conta, nessuno si muove alla caccia sperando che il temerario notaio sia risucchiato indietro dalla sua stessa vanagloria. Invece arriva la foratura che non t’aspetti. La ruota di Marconcini s’affloscia nel bel mezzo dell’indecisione. Caparrini a sangue freddo stabilisce di fermare i veloci e di lasciare andare i lenti, ma nel gruppo degli affrancati s’intrufola anche qualche pezzo grosso, mentre Bitossi, Chiarugi, Rossi, Salani e Tempestini rimangono a vegliare su Marconcini. Quando s’accorgono che la foratura si sta risolvendo e la situazione di classifica compromettendo, Chiarugi e Tempestini abbandonano Bitossi che ovviamente è illocalizzabile e Caparrini che guarda l’orologio con molta preoccupazione.

Chiarugi e Tempestini si prodigano in una cronoscalata ad inseguimento ingaggiando per strada un tiratore eterodosso. Ogni schiena avvistata è accolta con esultanza ed incitamento, ogni sorpasso con lo scorporo del sorpassato dalla lista degli avvantaggiati. Piacenti, Malucchi, Lisi M., Bagnoli M., Bagnoli L. e De Rienzo sono i più facili da scorporare. A Crissolo viene depennato anche Ulivieri che con un impeto d’orgoglio sopito decide di portare il marsupio fino alle sorgenti. I due cacciatori s’accorgono a questo punto d’avere sopravvalutato i tempi d’inseguimento perché alzando gli occhi verso il Monviso scorgono un brulichio di sagome caracollanti fra cui quella più desiderata di Muritano. La pietà potrebbe indurre Chiarugi e Tempestini a patteggiare con gli illeciti fuggitivi per un arrivo conciliare, ma la foga accumulata non recede alle suppliche di Giunti, Gelli, Cordero, Alotto, Rinaldi e Traversari che vengono staccati con rapide e ultrici pedalate. Lo spirito di fratellanza dura poco anche fra i due inesorabili sorpassatori poiché l’insaziabile Tempestini, al romantico traguardo mano nella mano con Chiarugi preferisce un’estrema accelerazone solitaria che suggella il suo predominio.

Quando i primi arrivati s’incamminano verso la scaturigine del Po il campanile scocca lentamente le undici e sul Pian del Re si contano meno di dieci ciclisti. Fra gli illustri assenti s’annovera anche il supremo giudice di gara Caparrini che però con un’ordinanza itinerante, a metà fra la legge ad personam e il riconoscimento dell’evento eccezionale, abroga l’editto del tempo massimo consentendo anche a Bagnoli L. e De Rienzo di fregiarsi di un’insperabile integralità. Poco male se Lisi M. e Malucchi ligi al decreto primordiale si erano già fermati a Pian della Regina a mangiare formaggi.

Si scopre soltanto alla fine che il tempo massimo era un pungolo morale più che un obbligo contrattuale giacché i lavaggi e il pranzo del Barrage possono essere dilazionati di mezz’ora senza clausule penali. Il tempo supplementare non basta per trovare il masso con la scritta “Qui nasce il Po” dove raffigurare il quadretto finale di questo Giro. Ci si accontenta perciò di qualche sparuto brindisi con le borracce piene di Po preso da uno dei tanti suoi rivoli senza principio, o da una rupestre fontana. Come disposizione transitoria e finale Caparrini, che è pure supremo classificatore di fontane, stabilisce che quella di Pian del Re, come la fontana Bedini del monte Cimone, merita cinque stelle. Come d’altronde questo suo e nostro Giro d’Italia.

 

 

Fotogiro 2011