La montagna di polvere incantata ha partorito venti
topolini, ventuno per l’esattezza, quasi ventidue.
Dopo quattro mesi di gestazione ufficiale, più tre
d’indiscrete vociferazioni, il Colle delle Finestre ha dato alla luce i suoi
adepti che per l’Empolitour rappresentano un’altisonante moltitudine, un
rumoroso volgo disperso in sette autovetture e una motocicletta. Dalle Prealpi
al Colosseo, dal Tevere al Ticino, il neonato e anacronistico colle ha radunato
intorno alla sua aura curiale e selvaggia, lusinghevole e terrifica, una folla
di pretendenti, talmente variopinta per stazza ed allenamento, da lasciare
ragionevolmente supporre distacchi nell’ordine dei fusi orari. Materia prima
per l’ars amalgamandi del presidente Caparrini che dovrà spianare
l’impervio cammino di conciliazione fra l’irruenza del transgenico Boldrini
e la flemma del batraciano Baricci, tanto per cominciare a citare quelli che
alla vigilia sono collocabili sulle antipodiche sponde di questa oceanica
spedizione.
Opinionisti e preveggenti, tuttavia, si sono
cimentati in questo tredicesimo Giro d’Italia dell’Empolitour con minori
certezze del solito. Se ai tempi ormai embrionali delle terne o delle quaterne
in auto singola, tutto era già scritto in partenza, ora dobbiamo maneggiare un
grosso icosaedro irregolare che alle solite facce degli autorevoli patriarchi
(Caparrini, Bagnoli L., Nucci e Chiarugi), dei partecipanti d’elite (Bertelli,
Bitossi, Boldrini, Tempestini e Torcini), degli juniores (Baricci, Giunti,
Malucchi e Masini), degli allievi del secondo anno (Bagnoli F. e Garosi alias
Zio), mescola quelle di esordienti con curriculum (Seripa), di esordienti di
buone speranze (Salani) e di carneadi, di cui possiamo certificare soltanto il
possesso di una bici (Cucinotta, Gracci, Marforio e Vezzosi).
Tutto regolare se si andasse ad abbordare la
blandizie femminina di un Pordoi. Dal momento che questo Colle delle Finestre,
quantunque a tutti sconosciuto, viene descritto dai vati del luogo con rime
aspre e chiocce, la faccenda diventa molto più interessante per un narratore
che ebbe a scrivere: “Lo sport fin da Nerone annoia e langue, se non si versan
lacrime con sangue”. Interessante è dir poco se si pensa che stavolta lacrime
e sangue s’impasteranno con verace polvere di montagna. Non stiamo alloggiando
al Sestriere per respirare clima di tappa o profumi olimpici ma per immergerci
con le nostre anime di agiati ciclisti in otto chilometri di epica gleba
alpestre, ancora incontaminata dalla civiltà del bitume.
Una salita segnata dallo sterrato batte nei cuori
della nostra squadra che bagnerà i suoi solchi di servo sudore e la sua cruenta
polvere a calpestar verrà.
Scrisse il presidente nell’almanacco
dell’Empolitour che questo 2005 sarebbe dovuto essere l’anno dello sterrato.
E lo è stato. Dopo cinque mesi possiamo già chiudere i bilanci. Altro non
possiamo chiedere alla stagione che verrà, se non immagini e ricordi di quella
fugace immersione in un passato in bianco e nero.
In questi momenti di languida rimembranza vorremmo
sostituire la tastiera del computer col calamo di Bruno Roghi che così
descrisse il passaggio indenne di Alfredo Binda su una salita sterrata: “La
fata benigna che protegge i campioni prediletti ha ripulito col suo magico
piumino da cipria, il solco invisibile che la ruota di Binda deve percorrere e
Alfredo asseconda l’operazione della fata, galleggiando sulla strada con
l’armoniosa leggerezza dei suoi colpi di pedale.”
Forse a distanza di ottanta anni, anche il grande
cantore di ciclismo della Gazzetta si troverebbe in difficoltà se la materia
della sua poetica non fosse Binda ma uno Zio, o un Nucci, o peggio un Boldrini,
al quale nessuno scrittore sobrio potrebbe attribuire un’armoniosa leggerezza
dei suoi colpi di pedale. Per di più, la fata col piumino da cipria si
sentirebbe un po’ inutile guardando quella strada che, giorni addietro,
schiacciasassi per niente magici hanno terribilmente levigato per renderla
compatibile con le delicate bici da gala dei professionisti.
La poetica lascia spazio alla pratica, e così
scopriamo che quella scabrosa via crucis è stata ridotta a soffice manto di
polvere scura, tant’è liscia che poco è più asfalto, con la differenza che
i tifosi non la possono imbrattare di faceti graffiti e sono costretti a
scrivere sulla neve.
Ma questo i nostri paladini ancora non lo sanno e stanno scendendo dal Sestriere, già dispersi nella valliva brezza e negli irrefrenabili desideri di velocità, pronti però a radunarsi a Susa in prossimità del roseo cartello del non ritorno, dove ancora per poco sono vegliati dagli sguardi assistenziali del centauro binomiale Torcini-Masini che testimonia questo raro momento di ecumenismo ciclistico. Dopo anni di fughe, fazioni e separatismi, finalmente il presidente può celebrare ad un pulpito unanime la liturgia di inizio salita che consiste nel solenne annunzio: “Signori, il Colle delle Finestre.” Subito seguito da: “Ci si vede in cima.”
Infatti, meno di un minuto dopo il gruppo è già
esploso in decine di frantumi che si dissipano nella inesorabile corrente
ascensionale dei ciclisti eterodossi, quest’anno più lenti e ingombranti del
solito, perché sentendo parlare di sterrato, molti hanno pensato bene di salire
con un’inutile e dissacratoria mountain-bike. L’occhio del cronista si perde
alla ricerca di maglie Empolitour in questo gurgite vasto, e non potrà
essere d’aiuto l’occhio filmico del centauro bicipite, respinto dopo tre
chilometri dalle guardie forestali nonostante l’esibizione di un lasciapassare
fasullo.
S’intravedono vari gruppuscoli, in genere formati
da un vociante sfollagente che si trascina a ruota un codazzo di timidi. Ad
esempio, Nucci con Zio, Boldrini con Chiarugi e Salani, Bertelli con Seripa,
Malucchi con Bagnoli F. ecc.. La concorrenza con bici tardigrade e zigzaganti,
con raffiche di pedoni zavorrati e con rare ma fastidiosissime jeep della
polizia, costringe a pedalare con gambe, gomiti ed occhio ai precipizi. Per
dieci chilometri la strada sottile e glabra s’avvita ripida nell’umbratile
foresta, da cui ad un certo punto cominciano ad effondere fiocchi di bianco
polline che fingono una nevicata. Ma l’unica vera perturbazione è la pioggia
di sudore dei ciclisti che ghermiscono la silenziosa salita per guadagnarsi il
suo petroso viatico.
Tante storie ed emozioni, pubbliche e private, si
affacciano al balcone delle Finestre per farsi vedere. Possiamo soltanto
immaginare il loro inizio che in tempi molto diversi è segnato da uno stesso
confine, quello tanto atteso fra il banale asfalto e l’arcano sterrato. Anche
se poi si tratta per davvero di un tratturo molto addomesticato, rimarrà per
sempre nei nostri cuori e nei nostri lombi, l’insolita percezione che le ruote
sprigionano mentre solcano quel docile e primitivo terreno. E quando le fragili
gomme passano su una fila di pietre scampate al livellamento, ci torna in mente
Bruno Roghi e gli eroi del suo tempo coi tubolari a tracolla. Poi ci svegliamo e
ci rendiamo conto che gli eroi a nostra disposizione sono un Boldrini, un Nucci
o uno Zio, e chiediamo chi di loro sarà il novello Binda che galleggia sulla
strada, dando per assegnata la parte della fata benigna col piumino da cipria
alla Bertelli, anche perché la Cucinotta ha deciso di scalare le Finestre dal
versante sbagliato, asfaltato e con ritorno palindromo, su consiglio, si dice,
della Bertelli medesima che non gradirebbe rivali scalatrici.
Il Binda che non t’aspetti è invece l’atavico
Conte Zio che ad un tratto s’apre la cerniera e coi lembi della maglietta
spiegati come ali di farfalla, spicca un volo leggero e irreparabile che Nucci
può solo osservare passivamente dal profondo della sua crisi. Non meglio
s’agita Boldrini che nell’impaccio dell’invisa folla si scrolla di dosso a
fatica il dimesso Chiarugi e l’ingenuo Salani, staccato sul più bello delle
spiraliformi pendenze per colpa di una telefonata, e comunque tagliato fuori nel
tratto sterrato a causa dell’affondamento provocato da una specie di
ventiquattrore appesa sotto il sellino.
Altre Finestre interessanti sono quella su Tempestini
che pedala gastritico e digiuno, e quando in vetta si rianima dallo stato
vegetativo, per prima cosa si avventa famelico su un piatto di pasta e fagioli
preso chissà dove, e quella sulla Bertelli che dopo innumerevoli attacchi di
bottone su malcapitati astanti, piomba in debito d’ossigeno e di consonanti,
riprendendosi solo dopo una mezz’ora di silenzio.
Se fosse invece per i regolaristi come Giunti,
Caparrini, Bagnoli L. o Seripa, la letteratura rimarrebbe spoglia di
quell’esemplare pathos ciclistico che ogni lettore ama sentirsi raccontare.
Costoro infatti sbandierano con fierezza la loro incolumità sull’affollato
cacume, senza aver lasciato gradite tracce di vermiglio sudore sulla polvere.
Giunti e Seripa non sembrano proferire verbo ma appaiono sani e soddisfatti,
Bagnoli L. sprizza regolarismo da tutti i pori. Da lui ci aspettavamo una delle
sue spettacolari crisi cartesiane e invece va a sfiorare addirittura
l’ondeggiante schiena dell’emergente atleta Caparrini. Il quale Caparrini
perlomeno rompe un raggio, unica vittima meccanica del temuto fondo stradale, se
si eccettua una ferita lacero-contusa sulla ruota della Bertelli, scoperta però
il giorno dopo poiché la fata, è risaputo, ripulisce i solchi invisibili delle
ruote ma non sa distinguere un fascione vecchio da uno nuovo.
Chi spera in una crisi esplosiva dell’implume
Bagnoli F. rimarrà deluso, perché un anno dopo il Vivione visto in
televisione, riesce a progredire fino alla ruota dello yogin Malucchi che si fa
largo tra la turba di pellegrini con karma, vocalizzi e moccoli, ma alla fine
porta anche sulle Finestre i suoi inamovibili manicotti bianchi.
Caparrini, che per anni è stato il fin de course
dell’Empolitour, al giorno d’oggi recita invece il ruolo di baricentro
temporale, anzi, per la prima volta in vita sua attende molto più di quanto sia
stato atteso.
Attende l’indecifrabile Bitossi che come sempre
sfugge ad ogni tentativo di localizzazione, e siccome definisce poco dura la
scalata del colle, non è escluso che sia passato da un’altra parte. Sembrava
però talmente fiducioso dei propri mezzi, da portarsi direttamente in albergo
una miss con la bottiglia di spumante.
Attende il suo proselita Marforio che a sua volta
attende invano la mantellina sagacemente sbolognata al centauro interruptus,
meritando così una memorabile discesa da brividi.
Attende il neofita Gracci, la cui facies agonica
parlerebbe più di qualsiasi accademica definizione della fatica.
E attende con giustificata ansia l’emigrante
Baricci che alla vigilia era l’incontrastato favorito per la successione alla
carica di fin de course. Per una volta evitiamo salaci riferimenti al
vitello grasso che per la maggiore gloria dell’Empolitour s’immola
sull’ara sassosa e insanguinata delle Finestre, e parliamo di lui come la
principale rivelazione di questo Giro, alla presentazione del quale aveva con
risolutezza dichiarato di non ambire al penultimo posto. Il suo distacco di
cinquanta minuti da Caparrini non fa rimpiangere gli assenti, poiché anche
Marchetti con la sciatica, Pagni con l’ascesso o Pelagotti con la pancia non
sarebbero stati capaci di arrivare più tardi. Il bello è che arriva davvero
penultimo, staccando di quasi mezz’ora un altro ciclista dei nostri, Vezzosi.
In molte parti d’Italia il termine ciclista indica
anche il meccanico che ripara le biciclette e di ciò troviamo riscontro pure
sul vocabolario. In questo senso Vezzosi è un abile ciclista, e lo dimostra
aggiustando con perizia il raggio di Caparrini e il fascione della Bertelli.
Spesso il ciclista meccanico è anche ciclista pedalatore, ma tale nesso
terminologico non è automatico. Per esempio, Brando, il meccanico
presidenziale, non è pedalatore, nonostante alcune millantate spedizioni
palindromiche lungo la piatta Val di Pesa. Il buon Vezzosi non fa altro che
sfruttare questa equivoca sinonimia per tutta da discesa dal Sestriere e per
gran parte del Colle delle Finestre. Poi, quando si accorge che l’allenamento
con chiavi e tiraraggi non è bastevole, scende dalla bici e l’accompagna per
mano, ricevendo gli applausi di sollievo del presidente e dei pochi altri
sopravvissuti all’attesa.
In questo momento infatti un roseo cartello indica
venticinque chilometri al traguardo e l’Empolitour si trova fiacca e
disgregata lungo il percorso. È storica la decisione di abbandonare gli spalti
naturali del colle per visionare al Sestriere l’arrivo dei ciclisti veri. Una
serie d’irripetibili concause logistiche consente di tornare in albergo e,
belli freschi e profumati, di assistere all’epilogo del Giro vero quasi
affacciati alle finestre, quelle coi vetri, mentre quelle maiuscole con ghiaia e
polvere erano gremite in ogni ordine di sasso da spettatori molto più genuini e
meno sibaritici degli Empolitour. Se poi fossero davvero tutti belli freschi non
è dato a sapere, ma le facce e gli eventi registrati sulla conclusiva salitella
del Sestriere sembrano testimoniare il contrario.
Non sono stati soltanto Simoni e Di Luca a fare qui
la botta dopo una superba ascesa delle Finestre: Bertelli, Nucci e Zio sono
deflagrati completamente, Chiarugi e Giunti parzialmente, e di molti altri
sappiamo che hanno preferito ripartire in modo equanime la botta su entrambi i
colli. Ovviamente Boldrini è in fuga e Bitossi scomparso. Il solo a
distinguersi sembra dunque il rinvigorito Tempestini che grazie alla propulsione
meteorica indotta dai fagioli stacca tutti i presenti, o forse sono loro che
preferiscono stare a distanza di sicurezza da lui.
Ora i topolini partoriti dalla sublime montagna
possono poggiare le stanche code nel transennato fragore della corsa rosa dove
viene premiato un topolino vero di nome Rujano. Poi s’intrufolano e
squittiscono fra le celebrità per mendicare un po’ di fama televisiva sul
proscenio di T-Giro dove a sorpresa ricompare Bitossi che porge il
telefonino a Gigi Sgarbozza per farlo parlare col Bitossi vero. Siccome Giunti e
Bagnoli F. non si sentono citati abbastanza, giocano la carta della disperazione
mescolandosi fra gli avvinazzati e canori tifosi della maglia rosa Savoldelli,
che stanno ricevendo qualche furtivo sguardo da una telecamera. Così Giunti,
che era partito come fedele membro di un fan club dell’esploso Basso, vince
per distacco la gara di salto sul carro del vincitore. È questo l’ultimo
trofeo assegnato dall’Empolitour, ma al collo di ciascuno brilla sopra ogni
altra medaglia il Colle delle Finestre, come premio inestimabile da conferire,
honoris causa, anche ai due sventurati motociclisti che l’hanno visto soltanto
in TV.
L’Empolitour va così a dormire ornata di trofei,
come una squadra vera in un Giro vero, col presidente, i corridori, il
meccanico, i motociclisti e le miss. E per il prossimo anno c’è già chi
parla di pullman.
In effetti potevamo anche finire qui. Dopo il Colle
delle Finestre ogni pedalata ci sembrerà banale, ogni strada dozzinale, ogni
salita facile, ogni paesaggio noioso. Questo breve giro delle due nazioni coi
colli di Monginevro ed Echelle rischiava d’essere una mera appendice
esornativa. E lo è stato.
Appurato che al centro della scena di questo
tredicesimo Giro, e forse di tutti e tredici messi insieme, ci debba stare il
Colle delle Finestre a rifulgere col suo irripetibile sterrato, onoriamo per
completezza cronistica anche questa domenica del villaggio voluta, come
tradizione, dalla mente organizzativa presidenziale per smaltire l’ebbrezza
dai fumi della tappa ufficiale e per rafforzare l’unanimità in squadra.
Unanimità che vuole andare anche al di là dei fisicamente presenti, come
dimostrano le tre telefonate dell’egro arconte Pagni che dice d’essere
diventato un lettore assiduo della Gazzetta per esserci almeno culturalmente
vicino. Si lamenta però di non riuscire mai a trovare le classifiche, e il
presidente gli spiega che deve comprare la Gazzetta dello Sport, non la Gazzetta
Ufficiale.
Dal villaggio del Sestriere, divenuto fantasma dopo
l’evacuazione dal Giro, si passa al quartiere di tappa di Cesana per
rispettare il programma originale dell’almanacco, non tanto, come pensano i
maligni, per evitare la risalita finale del Sestriere. E comunque, anche senza
Sestriere, Gracci, Marforio e Vezzosi chiedono ed ottengono l’esenzione dal
giro, non tanto, come pensano i maligni, perché non ce la fanno più, quanto
perché si sentono talmente appagati dall’abbacinante esperienza delle
Finestre, che ogni altro metro di salita oltraggerebbe la memoria di questo loro
trionfale esordio.
La rimanenza, stanca ma coesa, compresa la moto
stavolta regolarmente cineoperante, compresi Baricci e Cucinotta a serio rischio
d’esplosione, comincia il lentissimo decollo sul Monginevro, ove al chilometro
zero svanisce la coesione per l’inevitabile fuga a chiorba bassa di Boldrini.
La salita del Monginevro è appassionante come un cantiere con le ruspe che i
pensionati del paese vanno ad osservare in una domenica assolata d’agosto
sporgendosi dal parapetto di un cavalcavia. L’unico aneddoto da segnalare
riguarda la Bertelli, giunta sul passo urlando ai quattro venti e ai venti
ciclisti che la Cucinotta ha compiuto tutta la salita con un attacco d’asma e
che quindi gli insensibili maschi sono tenuti a salutarla come una santa
vittrice bandiera. A parte il fatto che la Cucinotta fa un po’ capire che
avrebbe preferito un po’ di privacy riguardo i suoi malanni, tutti i maschi
insensibili fanno a loro volta un po’ capire che è comunque preferibile un
attacco d’asma ad un attacco di Boldrini o ad un attacco di bottone della
Bertelli. Insomma, dopo aver discusso sul rapporto usato da Boldrini per battere
Nucci in volata, tutti ripartono, indifferenti all’asma, verso la valletta
della Clarée dove Bitossi stranamente scompare e Tempestini pure.
L’ultimo sforzo, più narrativo che ciclistico, è
quello del Col de l’Echelle, buono per farci al massimo un pic-nic, non una
salita. È un’amena e docile stradina che quando comincia a salire è già
finita, buona almeno per farci la foto conviviale, turandosi opportunamente le
orecchie per non udire la polemica di Boldrini sullo sprint succhiaruote di
Nucci. Il transgenico si fa riconoscere anche da due ciclisti torinesi che ci
accompagnano e poi ce lo additano quando va in fuga per l’ultima sospirata
volta.
Ora siamo proprio all’epilogo. Manca solo un
ristorante ecumenico di Cesana dove si rimaterializza anche Bitossi col gaio
Tempestini che freme per la gara di alcolemia già vinta l’anno precedente. Ma
intorno al sacro desco non ci saranno più né vincitori né vinti.
L’immeritata fame materiale è surclassata dalla sazietà spirituale di cui il
presidente si fa portavoce, sollevando il calice simbolico del pieno successo
organizzativo e sorseggiando con soddisfazione la consapevolezza di aver
rispettato alla lettera tutto il programma, pur governando una moltitudine così
esigente e difforme. Poi saltano fuori anche calici reali pieni di grappe e
limoncelli che danno il colpo di grazia a questo tredicesimo Giro d’Italia
dell’Empolitour, con l’ultima preghiera della montagna: “Beati coloro che
hanno le bici chiuse nel bagagliaio, perché il vento dell’autostrada non le
ripulirà e porteranno fino a casa l’incruenta polvere del Colle delle
Finestre.”