Tour 2018
Mende - Malaucène 20 - 24 luglio
Il Tour della mezza montagna per tacer del Ventoux
In medio stat virtus
Dopo essere stata attivamente partecipe per ventotto anni a tappe alpine,
pirenaiche e pure vosgiche del Tour la Ciclistica Empolitour va alla scoperta
dei monti della Lozère nel Massiccio Centrale. La collezione d’alta montagna
volgeva ormai al completamento quando il supremo presidente Caparrini prese la
storica decisione di eludere più nobili ed elevate vette per recarsi a Mende al
seguito di una tappa di mezza montagna, rischiando di emulare le comitive
geriatriche che in Toscana si recano in villeggiatura a San Marcello Pistoiese o
financo a Prunetta. Comunque il desiderio di novità sembra prevalere sulla mera
constatazione che dopo questi attivi ventotto anni il più vecchio di allora è
molto più giovane del più giovane di ora e che innesti, esordi e sostituzioni
hanno contribuito ad innalzare l’età media del plotone a scapito del tasso
atletico. È poi ormai istituzionalizzata la bipartizione tra pedalatori e
camminatori che invita alla partecipazione esemplari d’ogni età, vigore e
tonnellaggio inimmaginabili fino allo scorso anno. Avanti perciò con mezza
montagna, mezza pensione e mezzo autobus vuoto, segno evidente della decimazione
ciclistica.
L’appiedato presidente non ha dimenticato le esigenze dei ciclisti ma è tenuto a
conciliarle con quelle dei suoi accoliti podisti, loro invece sulla via
dell’incremento, per tentare di raggiungere un improbabile sincretismo già
complicato in sua assenza tra gli aventi bici. Nove sono quest’anno i telai
stivati nella Sita e appartenenti nell’ordine rigorosamente alfabetico a:
Bertelli, Boldrini, Chiarugi, Giusti, Nucci, Scardigli, Seripa, Vezzosi G e
Vezzosi R: dove Bertelli è quella che bubbola, Boldrini è quello che fugge,
Chiarugi è quello che tace, Giusti è quello che esordisce, Nucci è quello che
non si rade mai, Scardigli è quello che non invecchia mai, Seripa è quello che
non protesta mai, Vezzosi R è quello che non pedala mai e che da un anno ha
lasciato l’onore in eredità a Vezzosi G. Per loro le sacre scritture del
programma hanno in serbo tre giorni di Lozère e due di Provenza con l’estrema
unzione del Mont Ventoux. Gli obiettivi da perseguire in sella sono gli stessi
da decenni: visionare le tappe, schivare i gendarmi, accaparrarsi cadeaux
pubblicitari, placare l’arsura e staccare Boldrini. Più lineare è il programma
della fanteria caparriniana che oltre agli sperimentati Caparrini C e Soldaini
annovera l’inedito Pucci e il riciclato Masini. Per loro non c’è bisogno di
tante tabelle di marcia, basta inquadrare e seguire pedissequamente la schiena
presidenziale.
Con questi bei proponimenti l’autobus semivuoto con lo storico auriga Coletti
pensa di arrivare a Mende in undici ore e finisce per arrivarci in tredici
vanificando il vernissage ciclistico di periferia che sarebbe stato utile per
acclimatarsi all’aria di mezza montagna sulla Croix Neuve e per saggiare la
condizione psicofisica del transgenico Boldrini che si annuncia belligero. C’è
tempo solo per prendere possesso dell’Hotel GTM, scelto da Caparrini col
criterio dell’unico disponibile, e rifugiarsi nella gotica cattedrale di Saint
Privat per ripararsi da un copioso acquazzone sotto lo sguardo benedicente della
statua di papa Urbano V.
Cornucopia
Nel giorno consacrato alla visione di tappa, anche se si tratta di una mezza
tappa, il programma caparriniano condensato nel suo set cartografico diventa un
atto notarile che non ammette ermeneutica. Esso contiene tutti gli elementi che
lo rendono adeguato all’ortodossia dell’Empolitour con molti dettagli d’eleganza
formale come la circolarità, la prevalenza di percorso di tappa con frecce
gialle, la visione all’arrivo e il ritorno celere in albergo. Manca solo
Caparrini sui pedali ad impartire la scansione dei colli e dei mezzi colli da
scalare. Egli governa la passeggiata ascensionale sulla cosiddetta Montée
Jalabert (più o meno la Croix Neuve cassata il giorno prima) imperniata
sull’espugnazione del ristorante dell’aerodromo nei pressi dell’arrivo di tappa,
giacché l’attesa sarà lunga e i suoi palafrenieri sono commensali piuttosto
esigenti.
Con queste linee guida e con questi strumenti nelle tasche gli otto ciclisti non
dovrebbero andare allo sbando. Anche nel peggiore ritardo ipotizzabile in
itinere dovrebbero evitare l’appiedamento da parte della gendarmeria e comunque
in tal caso si ricondurrebbero alla condizione dei caparriniani. E siccome il
temporale di ieri ha scongiurato l’arsura, l’interesse dei partenti può
concentrarsi sulla carovana pubblicitaria e su Boldrini. Il transgenico è
adocchiato fin dai primi chilometri. La sua andatura canonica è quella del
fuggitivo a chiorba bassa che con accelerazione inconscia guadagna sempre un
centinaio di metri sul gruppo quando viene raggiunto. Sul Col de la Tourette, il
primo di quelli che non contano, con questo metodo tenderebbe a bucare il bivio
per Bagnols-Les-Bains. Di contraltare Giusti lascia trapelare che al suo primo
Tour non vuole essere penultimo a nessuno.
Per ora però nel gruppo spirano favorevoli venti di concordia. Il paesaggio è
nuovo e silenzioso. Il rumore è tutto sul percorso giallo che dista da loro un
Col de Finiels da scalare, e lui potrebbe anche contare qualcosa visto che è il
più alto di tutta questa Lozère. Difatti bipartisce iniquamente nel quintetto di
Boldrini mansueto, Chiarugi, Nucci, Scardigli e Vezzosi, e nel terzetto
bradicinetico di Bertelli, Giusti e Seripa attesi a tempo indeterminato per la
foto unanime al cartello. Sarà l’ultimo segno d’unanimità. A Le-Pont-de-Monvert
iniziano le ambite frecce e le plaudenti folle, e termina dopo una parvenza di
salita la ritrovata unità. Col volontario travaso di Nucci i due gruppi sono
però equipartiti, anche se sul Col du Pont sans Eau, dove non c’è acqua ma
nemmeno ponte, e sulla Baraque de l’Air, dove non mancano né baracche né aria, i
ciclisti si schiccolano e si ricompattano con alterne vicende.
Boldrini misericorde attende Chiarugi, Scardigli e Vezzosi e li trascina seco
giù dal Col de Montmirat, che non conta, fino al ritorno a Mende. Così facendo
può fare sfoggio della sua possanza al cospetto degli spettatori che sono
concentrati sui tre chilometri della salita di Jalabert. Vezzosi G che tenta un
disperato appaiamento rimbalza indietro su Scardigli mentre Chiarugi capisce
subito che è meglio risparmiare le forze per la carovana pubblicitaria. La
parata del transgenico termina a seicento metri dal traguardo di fronte a un
mite ma risoluto gendarme che sembra deviare i ciclisti verso il ristorante già
espugnato dalla fanteria presidenziale. Ma l’auspicato ricongiungimento fra
ciclisti e podisti è rimandato giacché Boldrini, Scardigli e Vezzosi G, esperti
nel salto della tappa, tornano in albergo, mentre Chiarugi, esperto nel salto
del pranzo, vaga nei campi aprichi per scegliere la migliore posizione d’incetta
dopo il tradizionale saccheggio oneroso della Boutique du Tour. Il quartetto di
retroguardia, regolato dalla velocità pedonale di Giusti su tutti i GPM, giunge
all’aerodromo quando i camminatori sono già in fase avanzata di digestione e
medita retroversione. Non si conoscono gli aspetti reconditi di questa
meditazione al termine della quale li ritroviamo tutti e quattro a Mende a
visionare la tappa prima della salita, dove la consumazione di gelati Carpigiani
rappresenta una minima attenuante di reato.
Forse temevano una perturbazione pomeridiana ma non potevano immaginare la
pioggia d’opulenza che stava per rovesciarsi sul pertinace Chiarugi col casco e
sui cinque fanti col cappellino. Disposti dietro la transenna dei quattrocento
metri priva di concorrenza osservavano con cupidigia l’arrivo della Caravane du
Tour guidata dal ciclista gigante in maglia gialla della LCL.
Acqua gratuita ne avevano già ricevuta in bottiglia e addosso in spruzzi
pressurizzati da quelli della Vittel, e presto arriverà anche il cibo per il
digiunatore sotto forma di salamini Cochonou e madeleine St Michel.
Provvidenziali sono le sporte per la spesa lanciate da quelli della Mc Cain che
diventano indispensabili contenitori di tutta la messe di cadeaux presi al volo
o raccolti senza tema di conflitto: cappelli della Krys, maglie della Skoda,
caramelle Haribo, detersivi Xtra in quantità da supermercato. E poi penne,
pennarelli, ventagli, spille, calamite, galletti di peluche, tubetti di mastice,
e ancora cappelli e magliette in duplice, triplice e quadruplice copia.
Caparrini a un certo punto si sbraccia quasi implorando di smettere ma i
carovanieri fraintendendo saluti continuano ad inondarlo di roba. Quando tutto
sembra finito e i raccoglitori cominciano a godersi il meritato riposo arriva
una donna che vorrebbe sbolognare loro una decina di cappelli celesti in
esubero. Primo caso in ventinove Tour di materiale rifiutato.
È inutile dire che l’arrivo dei corridori è accolto con l’indifferenza degli
appagati, anche perché il vincitore è un carneade dell’Astana e il gruppo dei
migliori arriva con un distacco degno del miglior Giusti. Agli altri esordienti
o quasi, durante la camminata del commiato Caparrini e Chiarugi spiegano che le
cornucopie sulle loro groppe non sono la normalità ma rappresentano il
coronamento di una carriera di visionatori di tappe costellata di raccolti magri
e sudati. Con un sentito ringraziamento ai succitati partenaires e al pilota
dell’autobus del vincitore che in serata concede agli Empolitour riuniti nel
dopocena l’ebbrezza della perlustrazione del veicolo, qualche caffè e qualche
borraccia risciacquata.
Hic sunt grifones
Con la seconda tappa c’è addirittura il rischio d’incrementare l’epocale
bottino. A chi gli faceva notare che la visione della partenza della
Millau-Carcassonne ricordava altre rare e insignificanti esperienze italiche,
Caparrini ribatteva con la lusinga d’altri accaparramenti. Sostiene il
presidente che nel villaggio di partenza l’incetta avviene a moti invertiti, è
lo spettatore cioè che si muove verso gli oggetti e non viceversa, ma è pure
possibile essere avvicinati da procaci fanciulle che offrono gratuitamente la
propria merce. È comunque un modo per convogliare le due anime dell’Empolitour
verso un obiettivo comune: per i ciclisti tramite una tappa lineare da Mende
lungo le Gorges du Tarn, per i camminatori tramite autobus autostradale ma con
maggiore libertà e tempo di manovra.
L’ottetto pedalante dovrebbe avere quale massima ambizione di giornata il
mantenimento della retta via vergata dal supremo topografo. In assenza di
Caparrini è Chiarugi a prendere le redini della mappa e istruisce i compagni a
dirimere ogni bivio con l’indicazione per le Gorges du Tarn qualora la foga
boldriniana lo costringesse ad un inseguimento isolante. Nessuno vorrebbe mai
lasciare sola la Bertelli, i cui ammonimenti all’unità pedalatoria generalmente
risuonano gradevoli alle orecchie come acufeni, ma quando Boldrini tenta
l’evasione sulla côte de Sauveterre nessuno dei suoi avversari resiste alla
tentazione d’ignorarlo. Opinano che la strada sia univoca e che il fiume Tarn
scorrente in gole profonde non dovrebbe passare inosservato. Male opinavano,
giacché la Bertelli rimasta indietro ad accudire Seripa e Giusti esita di fronte
ad una specie di bivio di Buridano che gli altri avevano ignorato per troppo
agone: a sinistra Gorges du Tarn - Ispagnac, a destra Gorges du Tarn - St.
Enimie. Colui che riceve la sua telefonata conoscitiva ode un prolungato effetto
Larsen al termine del quale ella classifica i fuggitivi a guisa di parti
definite di materiale fecale, imboccando però la strada giusta per St. Enimie.
È sottinteso che da Sauveterre in poi il gruppo manterrà una compattezza
esemplare nonostante alcune soste forzate di Boldrini. Il transgenico è infatti
un noto tecnico con competenze di tuttologia meccanica. Quando il giorno prima
ha terminato la tappa col tubolare afflosciato, ha subito diagnosticato un
difetto di valvola invece di una troppo scontata foratura. Così lo ha
semplicemente rigonfiato confidando nella correttezza della sua intuizione. Ma
il tubolare, evidentemente non convinto di questa diagnosi, all’ingresso delle
Gorges s’affloscia di nuovo annullando l’ennesimo tentativo di fuga. Boldrini
allora analizza meglio il problema, scorpora le variabili confondenti e giunge
alla conclusione che si tratta di un difetto di pompaggio d’aria. E stavolta per
ristabilire la pressione perduta utilizza le pompette di Scardigli e Vezzosi G.
A chi gli fa notare che l’ipotesi della foratura non sembra così peregrina, egli
ribadisce con prove inoppugnabili che il tubolare è nuovo e quindi non forabile
in barba all’esistenza di oggetti puntuti. Con l’aria così insufflata percorre
altri cinque chilometri fermandosi in uno slargo panoramico, non per guardare
uno stormo di rapaci che plana sopra due guglie che si ergono sul profilo delle
gole. Ma nemmeno per cambiare il tubolare che continua a ritenere ostinatamente
integro. I compagni tentano di offrire pretesti alle loro pazienze, tranne
Giusti che scongiura futuri distacchi con un allontanamento preventivo.
L’argomento più gettonato è quello della natura dei rapaci che svolazzano sopra
le loro teste e che potrebbero quindi essere avvoltoi anche se nessuno dei
ciclisti sembra avere un aspetto cadaverico. Alla fine prevale l’ipotesi dei
grifoni lanciata da Seripa che, per quanto improbabile, aggiunge un tocco di
mitologia a questa bella tappa. Nel frattempo Boldrini ha deciso d’inoculare
nella ruota una strana mistura densa usata finora come integratore energetico.
Con questo escamotage la locomotiva transgenica riprende vigore e traina a
chiorba bassa il convoglio ciclistico fino a Millau nonostante qualche stridore
del vagone femminile.
La trenata di Boldrini recupera il ritardo sulla tabella di marcia e la speranza
d’arrivare al villaggio di partenza quando è ancora rigoglioso. Ma dopo un
sudaticcio rivestimento in autobus e una celere camminata verso il caos della
partenza, una cruda realtà si legge nelle facce dei cinque ritrovati podisti:
l’agognato villaggio è blindato e accessibile solo agli invitati. Alla plebe è
consentita la visione dietro le sbarre in decima fila dei corridori alla firma
seguita dalla transumanza indolore d’auto, moto e bici che sancisce la fine di
quest’inizio addolcito solo da qualche caramella Haribo afferrata da Caparrini
nel sequel sparagnino della carovana pubblicitaria. Un pranzo obbligatorio da
Don Giovanni a base di pizze e carbonare ottenute dopo lunghissima fase di
latenza è il trampolino di lancio dell’autobus verso Malaucène dove le mezze
montagne lasceranno il posto a una montagna intera.
Labor omnia vincit
Termina la mezza montagna ma non la mezza pensione che si trasferisce al
Blueberry di Malaucène che minaccia calura, assenza di bagni in camera e cucina
tipica provenzale. Questa ridente cittadina fin dai tempi di Petrarca vive
sull’indotto artigianale del Mont Ventoux con cinque negozi di biciclette e
cinque ristoranti meta di ciclisti discendenti, affamati e assetati. Nelle sacre
scritture Caparriniane la convergenza sulla vetta imbiancata di pietre lascia
ampi margini d’interpretazione. Per lui il percorso è già stato scritto nel
1336, da Malausana fino al Mons Ventosum scarpinando coi quattro servi ai quali
allieterà il cammino leggendo in latino l’epistola che Petrarca scrisse a
Dionigi da Borgo San Sepolcro. L’ascensione sarà emulata come esperienza
ascetica anche se il poeta omette di raccontare la discesa mentre il presidente
ha cooptato l’auriga Coletti per un malagevole sevizio di autobus ricompensato
da un lauto pasto ecumenico al ristorante Vendran sulla sommet, invece di un più
consono menu con pane, cacio e meditazione come Petrarca. Il servizio consente
alcune varianti al programma petrarchesco, come la staffetta fra Caparrini C e
Pucci, o l’intero trasbordo di Vezzosi R.
Dal punto di vista ciclistico le intenzioni sono invece ancora indefinite a
pochi minuti dalla partenza. Per tutti gli otto candidati l’unico punto fermo è
la scalata dal versante più nobile di Bédoin ma l’eccessiva brevità del giro
induce a una ridda d’interpretazioni discordanti.
Secondo il famelico Nucci si arriverebbe troppo in anticipo per partecipare al
lauto pasto.
Secondo lo spartano Chiarugi si arriverebbe giusto in anticipo per evitare il
lauto pasto.
Secondo l’ipertrofico Boldrini occorre aggiungere almeno un altro versante di
Ventoux per rendere degna l’impresa.
Secondo il purista Chiarugi l’aggiunta di un versante implicherebbe un
ignominioso anda-e-rianda.
Secondo il primiparo Giusti, ultimo per ultimo, tanto vale scalare due Ventoux
come già dichiara di aver svolto in gioventù.
Alla fine di siffatte angosciose consulte prevale per sfinimento una mozione
chiarugiana che sembra mettere d’accordo ogni esigenza di atletismo, di appetito
e di condizione clinica, compresa la dolorante chiappa della Bertelli: un anello
preliminare sulle colline di Malaucène per perdere un’ora sulla tabella d’attesa
senza inficiare in teoria i desideri di molteplicità. Tutti sanno che per
definizione una strada chiarugiana è caratterizzata da strettezza, carenza di
traffico e assenza di pianura. E anche questa non tradisce le attese: c’è subito
il Col de la Chaine e a seguire La Roque-Alric, misurabili toscanamente come
porzioni di San Baronto. Nemmeno il pervicace Boldrini tradisce le attese e col
suo moto di asocializzazione spontanea guadagna quei cento metri che gli
consentono di tirare dritto per Carpentras. Sulla voglia d’abbandonarlo al suo
destino prevale però la flebile speranza di staccarlo sul Ventoux che costringe
la Bertelli a richiamarlo all’ordine.
A questo punto il turno preliminare apre la strada al vero e inconfondibile
Ventoux che giganteggia all’orizzonte incredulo dei ciclisti. Si aprono pure le
scaramucce boldriniane già sull’inatteso e blando Col de la Madeleine, e quando
il transgenico accenna ad una sosta minzionale Chiarugi, Nucci e Scardigli non
esitano ad attaccarlo, poiché nel diritto di staccare Boldrini non esiste codice
etico. A Bédoin dopo i primi vagiti di salita Boldrini carpisce i fuggitivi con
indifferenza. Anche Vezzosi G pare volitivo col casco sul manubrio e cappellino
nero alla belga per un migliore surriscaldamento craniale. Più indietro il
gluteo della Bertelli ispira prudenza pure a Seripa mentre Giusti comincia già a
pedalare col passo del ciclista dormiente.
Anche Nucci si toglie il casco ma non la barba e Boldrini lo segue con strano
impaccio, come se tentasse di capire se il barbiere che rade solo quelli che non
si radono da soli può radersi o no. Grazie a questo paradosso Chiarugi lo
sorpassa a Les Bruns quando le pendenze diventano ombrose ma cattive. È un gesto
istintivo che deriva dalla frustrazione di avere rimirato per due giorni la sua
schiena, ma gli dà un sollievo temporaneo giacché Boldrini quando smette di
pensare all’insieme degli insiemi normali e si concentra sulla strada lo
risorpassa in maniera che sembra definitiva e Chiarugi ormai demotivato si fa
sorpassare anche da Scardigli mentre Vezzosi G con andatura alla Van den Bossche
gli mette il fiato sul collo.
Gli spettatori si aspettano ora che l’ultore Boldrini vada a riprendere Nucci
con sprezzante facilità, e invece chilometro dopo chilometro la sua sagoma
grigia tende a retrocedere fino alle grinfie del baldanzoso Scardigli che allo
Chalet Reynard non lo sorpassa solo per un residuo sentimento di soggezione. Sul
territorio lunare del Ventoux la complessione ingobbita e dolente di Boldrini
non è quella di un ciclista che ha intenzione di raddoppiare o addirittura
triplicare, soprattutto quando il mai domo Chiarugi lo rivede, lo affianca e fa
in tempo ad udire qualche bofonchiamento sul mal di schiena prima di staccarlo
insieme a Scardigli. E siccome Boldrini quando fa la botta la fa in modo
professionale, subisce anche l’onta di Vezzosi G che lo costringe a rimirare la
visiera del cappellino.
Labor omnia vincit: sulla vetta petrosa e non molto ventosa c’è già l’autobus a
scandire i loro arrivi, tutti degni dell’intramontabile frase di Virgilio,
citata da Petrarca e poi da Caparrini. La classifica è solo un pretesto per
ironizzare bonariamente sull’affranto Boldrini che coi suoi puntigliosi
allenamenti si è fatto staccare da uno che è stato fermo un mese, uno che corre
solo a piedi, un ultrasessantenne e uno col cappellino invertito. Poi arrivano
Bertelli e Seripa a ricordare che il ciclismo è uno sport di dolore e
sopportazione. Poi arrivano anche i camminatori caparriniani a ricordare che le
vie per salire al cielo sono infinite. E poi dovrebbe arrivare anche Giusti,
vincitore incontrastato dell’ambito titolo di fin de course et de Tour:
Caparrini non tenta nemmeno di frenare i ciclisti che dopo un’ora e mezza
d’attesa lunare decidono di farsi raccontare il suo arrivo a Malaucène.
Ovviamente nessuno bisserà il Ventoux ed anche la nutrizione come la salita sarà
bipartita: ristorante per i podisti, bar per i ciclisti. A ricordare che l’Empolitour
ha non solo due anime ma anche due stomaci.
Ite missa est
La sazietà atletica dei partecipanti impedisce di pensare all’ultima uscita
ciclistica che era stata timidamente ventilata nel programma. L’ultimo giorno e
l’ultima pagina sono perciò dedicati al viaggio e ai saluti con un intermezzo
d’impacciato turismo ordinario nelle viuzze di Saint-Paul de Vence che Adriano
de Zan avrebbe chiamato San Paolo di Venza. Per saluti, ringraziamenti e pagelle
basta attingere e copiare dal sacco di farina del presidente:
“Cinque giorni di buoni pensieri.
Non voglio imitare l'inarrivabile Gianni Mura, diciamo che mi ispiro a lui e
alla sua rubrica domenicale su Repubblica per alcune considerazioni sul nostro
Tour.
La spedizione si è caratterizzata per due distinte parti. La prima ci ha fatto
conoscere il Massiccio Centrale e bella città di Mende (voto 7,50) con al centro
la cattedrale (voto 8). Siamo stati accolti da un fragoroso temporale che ha
impedito l'uscita ciclistica ma non la visita della cattedrale. Difficoltoso il
ritorno in hotel, pur distante solo 100 metri, perché la pioggia tardava a
cessare.
Il giorno successivo la tappa di Mende con arrivo all'aerodromo di Brenoux
situato su un grande altipiano (voto 8). La tappa, pur essendo previsto un bel
percorso adatto ai colpi di mano, è stata snobbata dagli uomini di classifica
(voto 2 per l'impegno) che si sono limitati a uno scattino sulla salita finale.
Il trasferimento in Provenza ha visto come tappa intermedia la città di Millau,
dove partiva la tappa. Questo ci ha consentito di essere dei veri suiveurs,
visto che abbiamo fatto lo stesso trasferimento dei professionisti che come noi
erano alloggiati a Mende.
L'incontro con l'autista del team Astana la sera precedente ha confermato la
spontanea solidarietà tra suiveurs del Tour: ci ha fatto visitare il pullman e
offerto il caffè come se ci conoscessimo da anni (voto 10 per la gentilezza).
La parte provenzale della nostra trasferta è stata caratterizzata dalla scalata
del Ventoux (voto 10 per l'unicità e la bellezza di questa salita) affrontata da
tutti i partecipanti pur con mezzi diversi (in bici, a piedi, in bus). La
riunione di tutto il gruppo sulla vetta ha suggellato l’unicità d'intenti di
tutti i partecipanti e ha coronato una giornata da incorniciare. È stata per
tutti impegnativa, ma come dice il sommo poeta citato dal Petrarca nella sua
lettera al Ventoso, l'ostinata fatica
vince ogni cosa (Virgilio, Georgiche).
Si è confermata per l'ennesima volta la maggiore unità del gruppo rispetto al
Giro e un senso di comunanza e di condivisione non sempre facili da trovare,
vista la diversità delle personali inclinazioni.
Concludo con le parole di Gianni Mura, uno dei pochi inviati al Tour che può
definirsi un vero suiveur (oggi la maggior parte dei giornali fanno scrivere i
commenti dalle immagini televisive, comodamente seduti sui divani di casa). In
un suo recente libro intervista (Tanti amori, Feltrinelli editore) si è
soffermato sulle sue passioni e ha parlato delle cene post-tappa-Tour quando,
dopo la frenesia delle operazioni di giornata, ci si può abbandonare al dialogo
alla tranquillità e alla riflessione nonché alla degustazione delle specialità
locali. Con riferimento a tutto questo ha così intitolato un capitolo del citato
libro: la convivialità, il mangiare e il
bere, qualcosa che assomiglia abbastanza alla felicità.
Un ringraziamento a tutti i partecipanti e a chi ci ha seguito da casa e
appuntamento al Tour 2019.”
Caparrini A (WhatsApp 24/07/2018)
La conclusione della conclusione serve a ricordare che il voto con lode al
presidente non è mai troppo: prenotare, telefonare, interagire, organizzare,
gestire, pagare. Quando in cinque giorni di vacanza devi solo pedalare, mangiare
e bere, quest’ultima riga è qualcosa che assomiglia abbastanza alla gratitudine.