Tour 2017
Briançon
- Dronero 19 - 23 luglio
Presenza
Con la
riforma del codice di presenzialismo, in vigore dal Giro di quest'anno, il
supremo legislatore Caparrini ha potuto partecipare al suo ventottesimo Tour
senza doveri di pedalata ma con diritti di menzione pari a quelli dei ciclisti
attivi. Poi per semplificazione normativa e per il calo di adesioni ciclistiche,
il legislatore stesso ha ritenuto opportuno allargare questo diritto anche al
fedele auriga Coletti e a due neofiti accompagnatori, scelti dopo accurate
selezioni tra i frequentatori di cene sociali: l'omonimo Caparrini C e Soldaini
che ricopriranno il ruolo di assistenti di fanteria durante le camminate
presidenziali.
Nasce così
questo atipico ventottesimo Tour dell'Empolitour con undici biciclette e una
lista unica (Bertelli, Caparrini, Chiarugi, Cocchetti, Cordero, Muritano, Nucci
Ro, Ulivieri, Pisaturo, Scardigli, Seripa, Vezzosi G, Caparrini C, Soldaini,
Coletti) da cui scorporare undici probabili intenzioni di pedalare, giacché il
programma franco-italiano è alto e forte mentre il livello medio d'allenamento
sembra basso e debole, senza contare l'impietosa ascesa anagrafica e qualche
imprevisto ortopedico. Si prevedono perciò variabili transizioni numeriche fra
le due falangi, quella podistica e quella ciclistica, protese verso obiettivi
sostanzialmente comuni, quelle mete a cui in ogni Tour è tradizione ambire:
visionare tappe, schivare gendarmi, conquistare cadeaux pubblicitari,
mangiando senza fame e bevendo senza sete ma con allegrezza fanciullesca.
Imminenza
Senza
preamboli e senza passare dall'albergo l'Empolitour parte da Bardonecchia
all'attacco della prima visione di tappa. Esperienza insolita, mai praticata ma
praticabile solo nell'era dell'autobus. Mentre l'auriga trasborda i podisti a
Briançon passando dal Monginevro, gli undici ciclisti, scaricati, spogliati e
rivestiti in luogo aperto e pubblico, dopo il varco della Dora di Bardonecchia,
si dirigono verso il Colle della Scala, italianizzazione del Col de l'Echelle,
già noto ai veterani di queste spedizioni per la sua breve amenità.
Il capitano
non pedalatore Caparrini manda subito in campo una formazione con tre attaccanti
di ruolo: il patriarca Nucci, il coriaceo Pisaturo e il cosciuto Cordero che
alla sua prima puntata transalpina dopo quattro Giri d'Italia non sembra
intenzionato a rimirare schiene o gropponi. Dietro le tre punte giocano l'altro
patriarca Chiarugi e il fuggevole Muritano, col supporto più arretrato e
ponzante di Scardigli e Vezzosi. La difesa è composta dal volubile Cocchetti,
dal pavido Ulivieri e dalla bubbolante Bertelli, a usbergo del portiere Seripa
che dopo un incidente in mountain bike deve imparare a pedalare con un omero
solo.
La partita
sembra già chiusa prima del confine di stato quando Pisaturo prende il largo
impercettibilmente. Cordero e Nucci lo braccano inquadrandolo nel mirino lungo i
cinque tornanti nella roccia mentre Chiarugi si accontenta di staccare Muritano
intento a rispondere al telefono. Scardigli e Vezzosi fungono da mediani di
spinta davanti al vuoto. Infatti sul Col de l'Echelle i primi sette attendono i
difensori con crescente apprensione, finché non li vedono arrivare calmi e
solidali davanti al dolorante Seripa.
Sul colle itinerante la Bertelli riesce ad attaccare un piccolo bottone a due neozelandesi bianconeri che si distinguono per un'ammiccante bici a fiori ma non c'è tempo per tergiversare oltre la foto. La visione di tappa incombe e a quest'ora i tre podisti sono già in azione. Devono sobbarcarsi dieci chilometri di statale D1091 da Briançon a La-Salle-les-Alpes senza pensare al ritorno. I ciclisti intanto si godono la placida valle della Clarée e la rampogna della Bertelli per un passaggio col rosso a Val des Prés, prima d'immettersi nella via di tappa. In verità per la prima volta nella storia il supremo cartografo Caparrini è riuscito a concepire una visone senza nemmeno un metro di percorso di tappa. Ed è quel che puntualmente si verifica presso una rotonda a cinquecento metri dall'arrivo, affollato ricettacolo internazionale di tutti i ciclisti che hanno avuto la stessa idea.
Il
presidente coi due palafrenieri, sorpassato nel finale di marcia, giunge per
impartire le disposizioni d'attesa, lasciando libertà di coscienza a chi vuole
saccheggiare la Boutique du Tour, assaltare la carovana pubblicitaria, giacere
all'ombra dei cespugli del carrefour, o addirittura pranzare.
Quest'ultima attività è naturalmente invisa dallo spartano Chiarugi che
digiunante tenta di afferrare gli oggetti meteorici che piovono dai veicoli e
che sono conquistabili a colpi di tacchetto sulle mani degli avversari grandi e
piccini. Dopo sole tre ore di queste occupazioni moratorie, con ventotto occhi
occasionalmente puntati sul maxischermo della TV francese, gli Empolitour
possono finalmente apprezzare le abilità centrifughe di Roglic e dei seguenti
professionisti sfreccianti nella rotatoria, e possono poi fuggire in albergo
dopo una decina di queste rotazioni senza che i gendarmi li sequestrino fino
alla voiture balai. Il secondo lieto evento riguarda il destino dei tre
marciatori che sembrava segnato da un ritorno notturno e che invece è
abbreviato da un automobilista italiano persuaso dalle loro dichiarazioni di
mansuetudine professionale.
L'albergo
svelato solo dopo la tappa genera emozioni uniche. Si tratta del bistellato
Hotel de Paris gestito da M. Noiret che presso la reception non fa
mistero dei suoi 135 chili, del suo diabete mellito e della sua bisunta
maglietta bianca. È affabile, biascica italiano e tiene nella hall la
sua poltrona personale che mostra antichi e stratificati sedimenti di grasso
fossile. Forse per queste ingannevoli apparenze nessuno protesta quando scopre
che le cene non si terranno in loco ma nel casinò municipale a mezzo chilometro
di distanza.
Prepotenza
Si
svegliano con tre confortanti considerazioni:
1. Se c'è
una truppa di tifosi venuti apposta dalla Colombia per soggiornare all'Hotel de
Paris, questo non può essere così scadente come sembra.
2. M.
Noiret non si occupa delle colazioni ma incarica un tizio dall'aspetto meno
adiposo che non lesina sul rifornimento del buffet.
3. La
pioggia che doveva cadere per promessa meteorologica, alle nove ha già
rispettato il contratto.
Sazi e
asciutti possono così iniziare l'avventura della tappa regina, quella dell'Izoard,
in tre distinte fazioni: i caparriniani verso il villaggio di partenza, gli
ortodossi verso l'Izoard da Guillestre e i pavidi verso l'ignoto. Nel gruppo
degli appiedati il presidente, oltre ai due fedeli sodali, incamera anche il
sinistrato Seripa, che nottetempo ha deciso d'essere definitivamente
ricondizionato, e l'imprevedibile Cocchetti che ha deciso di pedalare quando gli
pare e piace. Loro finalità dichiarata è l'incetta dei cadeaux
meteorici seguita da immeritato pranzo in Briançon. Non pervenuta è l'ipotesi
dì scalare a piedi l'Izoard per ricongiungersi all'arrivo con gli ortodossi. È
l'opzione vagheggiata in bici dai pavidi Ulivieri e Vezzosi, poco avvezzi alle
asperrime disfide coi gendarmi.
L'arrivo
sull'Izoard non è infatti temuto come salita in sé, hors categorie
comunque, ma come campo di battaglia. I sette impavidi, Bertelli, Chiarugi,
Cordero, Muritano, Nucci, Pisaturo e Scardigli entrano nel percorso di tappa
consapevoli di dover conquistare la meta contro il volere dell'autorità
giudiziaria. A rendere più ardua l'impresa ci si mette anche una gara femminile
che passa quando sarebbe necessario passare per anticipare il coprifuoco della
gendarmeria.
Un primo
accenno dell'aria che tira è respirato alla periferia di Guillestre quando una
mite gendarmessa intima la discesa dalle bici per ordini superiori. È
l'occasione per sette minzioni contemporanee seguite da rapido riassetto per
ripedalare lontano dal suo sguardo innocente. Nelle Gorges du Guil le pedalate
sono invece fresche e ininterrotte. La Bertelli sbraita più impetuosamente del
torrente Guil medesimo. Sta con i compagni più per trascinamento che per
convinzione e giura vendetta in caso di Izoard interruptus o deletus.
Ciclisti che pedalano mesti in senso contrario non corroborano il suo ottimismo
e nemmeno gli echi di fermée o interdit che risuonano nella
valle.
La seconda
sosta, giusta e doverosa, è quella che consente il transito del Tour delle
femmine. L'Izoard inizia ufficialmente al bivio per il Colle dell'Agnello dove
una calca assolata di corpi e metalli è tenuta a bada da una squadriglia di
feroci gendarmi. Se potessero respingerebbero a randellate tutti quei ciclisti
ma si limitano a diffondere notizie minacciose. La Bertelli dopo un litigio per
parcheggio della bici in zona vietata attacca bottone al milite più autorevole
che infine le enuncia alcuni interessanti postulati: l'Izoard è ormai chiuso ad
ogni forma di vita dotata di movimento; la famosa Casse Deserte, che deve
rimanere tale agli occhi dei telespettatori, è stata meticolosamente minata; ai
ciclisti stoppati che volessero aspettare il passaggio della corsa, sarà
riaperto l'accesso a Briançon dopo il tramonto. Come tutore della legalità
egli pertanto offre agli Empolitour tre possibili soluzioni: ritorno con torcia,
bivacco con tenda o aggiramento con Colle dell'Agnello e Monginevro in poco più
di duecento chilometri. In verità fra i sette difensori dell'ortodossia aleggia
una quarta spettrale soluzione: la retroversione. Un terrificante anda-e-rianda
lungo la statale N94 riporterebbe a Briançon gli impavidi becchi e bastonati, e
pure sbeffeggiati dai due pavidi che a quest'ora dovrebbero avere già scalato
l'Izoard in modo diretto e palindromico. Senza contare l'invettiva della
Bertelli, dissuasa sostenitrice di questo palindromo.
Con tali allettanti alternative, quando sfila l'ultima donna in gara e si apre la diga dei gendarmi, la fiumana di ciclisti inonda la salita e accetta lo scontro confidando nella superiorità numerica e nelle vie della montagna che sono infinite. In sella resistono tre chilometri. Ad Arvieux un corpulento gendarme con manganello sfoderato ribadisce con voce bellicosa e sintetica i concetti espressi prima dal suo collega: nemmeno a piedi. Placca i pochi ribelli e sembra costringere alla resa. Un manipolo d'irriducibili capitanati da Chiarugi apre però la via del campo. Nascosti dalle case e dall'erba medica aggirano Arvieux e l'irascibile baluardo guadagnando un altro prezioso chilometro di pedalate. Dopo Arvieux c'è La Chalp e dopo La Chalp Brunissard: ogni paese è presidiato da due pattuglie e ogni pattuglia implica i piedi a terra ma stavolta con l'attenuante del ripristino inosservato della pedalata. Altri gendarmi isolati sono dislocati lungo i tornanti nel bosco prima del deserto ma ormai il gesto atletico dello sgancio e riaggancio dei pedali è diventato automatico.
Dopo una
ventina d'intermittenze tutti gli Empolitour e gli eterodossi più tenaci
approdano alle transenne. Mancherebbero ancora tre chilometri potenzialmente
infiniti. Qui i gendarmi sono di quelli incorruttibili. Quattro ore prima del
Tour la strada non può essere solcata da ruote impure. Acconsentono però al
cammino d'espiazione: fra le transenne e la parete rocciosa i ciclisti possono
scarpinare lungo dieci centimetri di corridoio sassoso tenendo le bici sollevate
sopra le teste. Sarebbe anche una pena irrisoria se non si scorgessero le divise
di altri castigatori all'imbocco della Casse Deserte. Accade invece
l'imponderabile: i tre soldati di guardia invece di sparare a vista ai ciclisti
li lasciano liberi. Chissà, forse nell'intimità sono ciclisti anche loro o
forse riconoscono il giusto merito a chi è arrivato fin lassù in quelle
condizioni. Fatto sta che in quella conca ombrosa scavata nella pietraia
centinaia di biciclette scivolano via col sollievo dello scampato pericolo. Per
i sette eroi c'è anche il tempo di una foto commemorativa al cippo di Coppi e
Bobet, con circospezione però, prima che i gendarmi cambino idea.
Gli ultimi
cinquecento metri a piedi su sassi e sterpaglie sono pure piacevoli pensando al
successo. La vetta dell'Izoard in quel momento è il posto più inospitale della
Francia: caos, polvere e rumore sono però agognate conquiste a dispetto dei
prepotenti gendarmi. A questo punto la visione di tappa è solo un'appendice
esornativa, tant'è che i ciclisti più informali, Cordero, Pisaturo e Scardigli
preferiscono scendere subito a Briançon prima del ventilato sequestro notturno.
Bertelli, Chiarugi, Muritano e Nucci rispettano l'ortodossia caparriniana, anche
perché il presidente sarebbe rimasto lassù mangiando panini di gomma, bevendo
Orangine ad libitum e camminando qualche altro chilometro alla ricerca
d'un cespuglio libero per orinare. Il tentativo d'emulazione è ben riuscito e
culmina in una visione di tappa sulla linea del traguardo e in una dettagliata
assistenza a tutte le premiazioni giacché gli altoparlanti fanno capire ai
ciclisti spettatori che saranno gli ultimi a scendere.
La discesa veloce, rilassante e nemmeno tanto tardiva è un premio alla pertinacia, come insegnano ventotto anni di Tour e varie generazioni di gendarmi sfidati. Caparrini ornato dei trofei pubblicitari a Briançon può essere fiero dei suoi diadochi. Anche di quelli che non hanno visionato la tappa all'arrivo, anche di quello (Pisaturo) che ha scalato il Granon al posto del pranzo e anche dei due ingenui pavidi che, come l'asino di Buridano, incerti se scalare l'Izoard da Guillestre o da Briançon, sono stati respinti e rimasti digiuni di ambedue i versanti.
Dissidenza
Per l'Empolitour
il Tour vero è finito quando comincia il ciclismo vero, quello delle salite
pedalate senza tacchetti sull'asfalto. Il programma dei tre giorni a venire
punta sempre in alto, a partire dai 2645 metri del Galibier. Anche in questo
caso il presidente aveva previsto qualche elemento espiatorio perché il
ciclismo è comunque uno sport di sofferenze: prima l'autostrada del Lautaret da
condividere coi mezzi più ingombranti e rumorosi, poi l'anda-e-rianda e infine
la tartiflette a Briançon. Alla luce della nota riforma e della
riorganizzazione dei partecipanti, Caparrini aveva annunciato in serata una
revisione del testo originario senza rinunciare al fulcro della tappa, cioè
alla tartiflette. La novità sta nel l'assistenza dell'autobus sociale
che può salire fino al Lautaret consentendo l'attuazione di quattro programmi
complementari:
1.
Scarpinata da Lautaret a Galibier e ritorno.
2. Pedalata
da Briançon a Galibier con ritorno a Lautaret.
3. Pedalata
da Briançon a Galibier con ritorno a Briançon, come in origine.
4. Pedalata
commemorativa da Lautaret a Galibier e ritorno, come i patriarchi del 1990
(ipotesi invero non formulata da nessuno per eccessiva inverecondia).
Il piano
sarebbe facile e adattabile ad ogni tipologia dì Empolitour se non si
verificasse la peggiore sventura decisionale che può capitare in un Tour: la
pioggia a colazione.
Al primo
scroscio s'ode una ridda di propositi inquietanti: posticipazioni, riduzioni,
cassazioni e desistenze. Rimane in piedi solo la tartiflette. Quand'anche
il patriarca Nucci arriva a proporre la gita in autobus ad Embrun per assistere
alla partenza della tappa, l'altro patriarca Chiarugi s'ammutina. La sua anima
poco propensa agli anda-e-rianda e ai pranzi, che già provava una cert'uggia,
ora lo dirotta verso il rivoluzionario e incognito Col des Gondrans: un circuito
suppletivo per evitare d'incappare nella temuta tartiflette senza però
temere scivolamenti sull'asfalto bagnato, poiché è una strada definita
butterata se non proprio sterrata. Fra l'incauto e il fiducioso lo segue il solo
Pisaturo. I due partono fra gli interrogativi e le commiserazioni dei compagni
che però scrutando il cielo diventano sempre meno disfattisti. In mezz'ora si
riaprono le opzioni insieme al cielo. La prima è colta da Seripa che viene
accolto nella triade dei camminatori presidenziali. La seconda ottiene la quasi
totalità dei voti ciclistici, tranne quello di Cordero che medita una variante
della terza opzione anch'egli per malcelato timore di tartiflette.
Ulivieri e Vezzosi stavolta non si fanno fregare, mentre Cocchetti non sa dove
andare, comunque ci va e inforca la bicicletta.
A conti
fatti avviene in ritardo quel che era lecito attendersi. Il Col du Lautaret è
una FI-PI-LI in leggera salita. Nucci in assenza di Chiarugi e Pisaturo
ambirebbe al predominio ma viene castigato da Cordero al quale avanza pure
parecchia energia per scalare un Granon al ritorno. Il cireneo Cocchetti si
occupa dell'assistenza a Ulivieri per giustificare la sua attuale lentezza. Con
un premio di 150 euri raccolti per strada, Seripa stacca a piedi il presidente e
le sue guardie del corpo mentre stanno sopraggiungendo i due reprobi reduci
dallo sterrato. La tartiflette sul Lautaret si dimostra il solito gustoso
assemblaggio di avanzi sciolti nel formaggio che riesce a riunire in un solo
desco quattro quinti di squadra, auriga compreso, Chiarugi e Pisaturo asociali
non compresi. Socializzeranno qualche ora più tardi davanti alla TV attorno a
M. Noiret assiso nel suo bisunto trono che aggiunge gratuita ilarità a questa
tappa fin troppo seria.
P.S.
Se un dì
l'Empolitour tornasse a Briançon probabilmente non soggiornerà all'Hotel de
Paris ma se volesse scalare il Col des Gondrans queste sono alcune notizie
utili.
-
Non c'è nessun
cartello indicatore, né all'inizio, né alla fine, e non si sa nemmeno se il
Col si chiami des Gondrans o du Gondran. Per trovarlo bisogna imboccare una
sinistra deviazione sulla via dell'Izoard con un divieto d'accesso.
-
Una volta dentro
non bisogna farsi scoraggiare dalle buche. Esse diminuiscono con l'aumentare dei
sassi erratici. La carreggiata è stretta ma deserta e consente di decidere se
pedalare a raso delle frane o del precipizio.
-
A guardar bene la
strada è deserta anche perché è militare e vietata a ogni veicolo sauf
autorisation. Comunque, a parte la presunta illegalità, permette di
pedalare in ameni scorci di montagna come tunnel nella roccia, fortini e
strapiombi con marmotte fischianti.
-
Alla luce di
queste caratteristiche è sconsigliabile tornare a Briançon scendendo per la
medesima strada, a prescindere dall'ignominia intrinseca dell'anda-e-rianda.
Meglio raggiungere Monginevro con sei chilometri di via naturale: un buon
sterrato è sempre preferibile a un cattivo asfalto. Non bisogna farsi
condizionare dai pochi recensori nel web: la bici adatta a questo giro è quella
da corsa. E può essere riusata tranquillamente il giorno dopo per il colle
dell'Agnello.
Resistenza
Pare che
questa sia la centoquattordicesima tappa in ventotto anni di Tour e che per la
prima volta sia stata concepita a immagine e somiglianza di quelle invidiate del
Tour vero, dove i ciclisti pensano solo a pedalare partendo da un albergo e
arrivando in un altro, preceduti dal bus della squadra che trasporta dirigenti e
bagagli. Nella fattispecie il supremo dirigente Caparrini ha previsto anche
l'ebbrezza dello sconfinamento dall'altissimo colle dell'Agnello, in una tappa
che si può denominare Guillestre-Dronero di 115 onorevoli chilometri, senza
tacere del trasferimento in autobus da Briançon perché anche i professionisti
lo fanno.
Oggi non ci
sono mezze stagioni o mezze misure. Il cielo è unico e terso, le opzioni sono
due: bici o bus, tertium non datur. Da Guillestre in poi non sono ammessi
ripensamenti o riduzionismi. La retrocessione di Seripa è ormai irreversibile
mentre Ulivieri vacilla come ogni mattina. Cocchetti si offre di portargli
ancora una volta la croce ma la prospettiva non lo rinfranca. Anche la Bertelli
lo minaccia di fungere da crocerossina ma sicuramente se ne dimenticherà salita
facendo. L'Agnello è lungo e Ulivieri in cuor suo spera di poter soffrire in
solitaria pace, perciò abbandona la pavidità e accetta il rischio. Caparrini
congeda i dieci ciclisti con appuntamento al Cavallo Bianco di Dronero e i
ciclisti promettono di andare d'accordo come se ci fosse lui, stare insieme
almeno nelle Gorges du Guil e aspettarsi in cima all'Agnello.
Insomma, se non ci sono dubbi su chi sarà l'agnello sacrificale, le previsioni di supremazia sono molto più incerte. Non si erano mai confrontati a ranghi compatti e senza interruzioni militari su una salita ipertrofica. Sembra che Cordero e Pisaturo siano i più quotati, ma Nucci annuncia belligeranza, Chiarugi s'impegna in silenzio, Scardigli è immarcescibile, Vezzosi sornione e Muritano potrebbe giocare la carta della fuga bidone. Si spera di ravvivare la corsa con qualche pugnace eterodosso ma vanno tutti sull'Izoard per scalarlo decentemente senza la tappa. Dopo un blando interludio dove si sprecano le moltipliche superiori, l'Agnello emette quasi subito i suoi verdetti. A Molines-en-Queyras Pisaturo si isola lentamente e, più Nucci prova a rimanerci attaccato, più rincula verso la rete di Chiarugi. Cordero invece si sintonizza sulle onde più corte di Vezzosi mentre Scardigli si disconnette da loro di pochi minuti.
A 2748
metri di altitudine l'Italia li attende con un vento assolato ma gelido che
sublima i sudori versati negli ultimi cinque chilometri piuttosto cattivi. La
resistenza dei primi all'addiaccio sull'angusto e petroso valico è improbabile.
Muritano li aiuta giungendo in largo anticipo sulla tabella di crisi. La
Bertelli dopo aver lottato per la vita, intesa come schiena, s'adagia sul
confine in posizione carpiata. Dietro di loro si spalanca l'eternità. Ulivieri
divide il suo patimento fra l'implacabilità della salita e la presenza di
Cocchetti che gli ronza intorno durando pure fatica per non staccarlo. Però
resiste, anche perché non ha altra scelta, e resistono Bertelli e Nucci, unici
ad acclamarlo e fotografarlo in vetta con la sua ombra pedalante.
Il paesino
di Chianale, dove tornano definitivamente il caldo e l'Italia, sveste i ciclisti
e aggiorna le loro intenzioni. Quando Chiarugi sente parlare di soste e pranzi
ha gia deciso di tirare dritto per Dronero coadiuvato dal colluso Pisaturo e da
Vezzosi che alla fine ha capito la differenza tra virtù e mollizie, anche se
nessuno ha capito la funzione del suo basto dorsale. Annusando l'odore della
stalla i tre fuggiaschi galoppano velocissimi verso il Cavallo Bianco e riescono
ad anticipare anche la dirigenza. Che giungerà al traguardo con un mezzo
improprio.
Quintessenza
Sic Transit.
Con questo veicolo commerciale guidato dall'auriga e generosamente noleggiato
con la cassa sociale, si compie l'epopea del ventottesimo Tour. È l'unico mezzo
pensato dal presidente per radunare la variegata quindicina sul colle di
Fauniera, rendere omaggio al monumentale Pantani e ridiscendere al Cavallo
Bianco in tempo utile per il pranzo obbligatorio. Caparrini ha voluto in questo
modo distribuire equamente le sofferenze fra pedalatori e camminatori. Si sa
infatti che la via del Fauniera è stretta, infida e ripida: affinché due
veicoli provenienti in sensi contrari di marcia possano scambiarsi è necessario
che uno dei due si sacrifichi nel precipizio. Normalmente guidatori o passeggeri
sudano più dei ciclisti e sono soliti sostare a farsi benedire presso il
Santuario di San Magno prima che cominci il tratto più esile.
A queste
condizioni si pensava che le adesioni ciclistiche al Fauniera sarebbero state
numerose e che anche i pedoni avrebbero pensato bene di noleggiare una
bicicletta. E invece si deve registrare anche il ritiro di Ulivieri e di
conseguenza quello di Cocchetti, privo della vittima da molestare. Ai disonori
della cronaca rimangono perciò soltanto i tafferugli per la conquista del
colle, con gli espliciti proclami di Nucci disposto ad attaccare in qualsiasi
occasione per far saltare il banco di Cordero e Pisaturo. I primi ad attaccare
sono in realtà Bertelli e Muritano, che finora non si era mai esibito nella sua
specialità delle fughe bidone. Il loro velleitario tentativo viene però
rintuzzato a Caraglio e come avviene nelle fughe professionali si staccano
appena la Valle Grana prende parvenza di salita. È una valle ad eliminazione: a
Pradleves rimangono in quattro e a Campomolino il podio sembra già deciso.
Cordero e Pisaturo si sbarazzano di Chiarugi e tengono Nucci accodato a loro con
la bava. Intanto passa l'ammiraglia con dirigenti e ritirati, e senza
interferire sulla dinamica della corsa si ferma al santuario per rifornimento
d'acqua e santini.
Nessuno
degli otto ciclisti ha però bisogno d'aiuto laico o religioso. Vanno piano e
soffrono elencando i cartelli indicatori di pendenza, ma con questo sentimento
contrastante di fatica e piacere attraversano spazi sempre più immacolati. In
questi sovrumani silenzi e profondissima quiete s'ode d'un tratto un'esplosione
netta ed echeggiante: è la botta di Nucci che dopo aver ambito alle schiene dei
paritetici Cordero e Pisaturo viene sorpassato in tromba da Chiarugi. Troppo
lontani per approfittarne sono ormai il regolare Scardigli e lo zavorrato
Vezzosi, ma l'episodio è accolto dagli spettatori con benaugurante ilarità,
come un tappo di spumante che salta.
Nel
frattempo il Transit è arrivato miracolosamente a destinazione con l'intatto
contenuto di passeggeri e passeggiatori che simbolicamente hanno raggiunto a
piedi il Fauniera partendo dal vicino Esischie. In uniforme o in borghese sono
tutti riuniti per conferire l'ambito titolo di fin de course et de Tour
con un ballottaggio fra Bertelli e Muritano. Dopo mezz'ora di consultazioni la
nomina spetta alla Bertelli, staccata cavallerescamente da Muritano di pochi
metri.
Ora è impossibile distinguere fra lacrime e sudore. Il Tour è unanimemente concluso sotto la bici granitica di Pantani in memoria dei tanti episodi vissuti con lui a bordo strada dall'Empolitour nel secolo scorso. La compattezza dura pochi scatti di foto. Furgone e pavidi, incuranti dell'immoralità dell'anda-e-rianda tornano a Dronero per la stessa valle mentre Chiarugi, Nucci e Pisaturo onorano la circuitazione del programma scendendo dall'Esischie. È un altro modo per dividersi e ritrovarsi, discordare e condividere, mangiare e digiunare, dormire e vegliare, pedalare e camminare. Il sincretismo caparriniano funziona anche senza il presidente pedalante. Non sarà una conclusione originale ma questa miscela di tante animelle differenti in una grande anima “c'è parsa così giusta, che abbiam pensato metterla qui, come il sugo di tutta la storia”.