Tour 2016

Morzine - Noasca 21 - 25 luglio

Il Tour delle tre nazioni

 

 

 

Formazione

 

Bertelli, Boldrini, Caparrini, Chiarugi, Cocchetti, Maltana, Muritano, Nucci Ri, Nucci Ro, Pagni, Ulivieri, Scardigli, Seripa, Vezzosi G, Vezzosi R, Sabatini, Bartolini, Coletti.

C'è qualcosa d'antico oggi nel Tour, anzi di nuovo. Cominciarono con pernottamenti duplici, triplici o financo quadruplici per adagiarsi sulla monolocalità quando il numero di ciclisti rese poco agevole la dislocazione. Nelle ultime otto edizioni il supremo prenotatore Caparrini ha dovuto perorare l'unità alberghiera a scapito della rifinitura con italica salita. Ma c'era un voto da osservare. Dal 1993 l'Empolitour si era imposta di celebrare il giubileo del Nivolet ogni dieci anni, trattabili. E così fu nel 2004. Poi arrivarono le mezze pensioni, gli autobus e gli adepti aggiuntivi, e il supremo cacciatore di camere imparò ad incassare veti con sportività e arrangiamenti ma mai dimenticò la promessa fatta in punto di partenza da Noasca: ritorneremo.

E ritornarono, approfittando d'una irripetibile congiunzione astrale fra lo Chalet Philibert di Morzine e La Cascata di Noasca, l'uno nel coprifuoco di una sede di tappa, l'altro in un comune nanometrico. Pazienza, costanza e perseveranza caparriniane regalarono questi privilegiati alloggi a quindici ciclisti, al fedele auriga Coletti, tesserato honoris causa, e al binomio coniugale Sabatini-Bartolini promosso dal rango di furgonista a quello di turista. Trattasi di ciclisti noti, usurati e senescenti, col culmine di Vezzosi R destinato a passare filiali consegne a Vezzosi G, unica novità umana di questo Tour. Si attendono invece novità orografiche anche per i tre patriarchi Caparrini, Chiarugi e Nucci Ro che dopo ventisei anni credevano che il serbatoio di salite alpine fosse già esaurito. Cinque giorni per cinque verbi essenziali: pedalare, sudare, mangiare, bere e dormire, con possibilità di esprimere almeno uno di cinque desideri: schivare gendarmi, placare l'arsura con l'Orangina, saccheggiare la Boutique du Tour, assaltare la carovana pubblicitaria e staccare Boldrini.

 

 

Deviazione

 

Dopo Massa e Cozzile, Capraia e Limite conobbero anche Morzine e Avoriaz. Da Morzine si vede Avoriaz: edifici della civiltà sciistica appostati su un crinale che dallo Chalet Philibert sembrano raggiungibili con un rettilineo. La salita è famosa e senza preamboli, da giocare a carte subito scoperte. Gendarmi, boutique e carovana sarebbero a Megeve, a un tiro di pedale ma il presidente non li ha mai presi in considerazione giacché inseriti in un'impraticabile tappa a cronometro che non merita nemmeno la televisione. I concorrenti possono perciò concentrare le loro ambizioni sull'Orangina e su Boldrini.

L'Orangina, bevanda ufficiale quasi obbligatoria del Tour, è motivo di disfida fra l'arconte Pagni e il presidente Caparrini che rinunciano per manifesta inanità a mirare la chiorba boldriniana. In verità le condizioni atletiche di Pagni non arrivano nemmeno alla schiena del presidente col quale può appunto contendere a mala pena il primato di bottigliette scolate. Difficilmente troverà qualcuno alle sue spalle, anche perché Vezzosi R è già partito con largo anticipo alla volta di Avoriaz. A distanza di molte tergiversazioni parte anche il transgenico a chiorba bassa col codazzo dei compagni fra i quali si distinguono Chiarugi e due Nucci in veste di sanguisughe.

La foga del quartetto è già alta dopo cinquecento metri quando una rotatoria propone una scelta fra AVORIAZ STATION a sinistra e una strada innominata a dritto. Pensando a chissà quale inganno toponimico, Boldrini tira dritto e tutti gli vanno a ruota, compreso Vezzosi R nel frattempo tornato indietro col timore di avere sbagliato strada. Perseverano nella convinzione di giustezza per tre chilometri di salita anche ripida condotta a passo transgenico, fino all'arrivo in un parcheggio. Scalarono senza saperlo l'onesta Route des Ardoisieres che non potrà essere inserita nella tabella dei colli ma in quella delle dabbenaggini. Tutto sbagliato, tutto da rifare. Vezzosi R al terzo tentativo imbocca la Route d'Avoriaz ma già capisce che gli basterà l'intermedio Col de la Joux Verte, ché tanto non era iscritto alla gara di Orangine. Per gli altri iniziano i veri dodici chilometri che li separano da un onirico tavolino a solatio ornato di bottigliette a pera. Boldrini persiste nel suo copione, Nucci Ro sembra l'unico che lo sopporta ma poi piomba Chiarugi a sorpassarli ambedue, almeno finché Nucci Ro smaltisce la sorpresa e lo riaggancia. Boldrini così rimane tra l'incudine dei due rivali e il martello del sopraggiungente Nucci Ri. Quest'Avoriaz permette un primo tentativo di classificazione: Muritano è volitivo e nettamente pre-caparriniano, al pari del giovine Vezzosi G e del navigato Scardigli. Le rosee Bertelli e Maltana sono post-caparriniane ed eleggono Seripa palafreniere unico. Cocchetti non sa dove andare, comunque ci va, mentre l'ambito titolo di fin de course è un affare tra Pagni e Ulivieri.

Il processo alla tappa potrebbe svolgersi a sorsi d'Orangina se solo esistesse un bar aperto nello spettrale centro d'Avoriaz. La ferale scoperta impatta il duello degli assetati e nemmeno la discesa offre possibilità di tempi supplementari fra Les Lindarets, paese di capre stradali, e il Lac de Montriond ove Pagni volentieri avrebbe sostato per gettare molliche alle anatre. Si consolerà da buon sibarita bevendo bottiglie di vino da ventotto euri munificamente offerte da Philibert.

 

 

Inondazione

 

Menagramo fu l'aruspice. Vaticini d'ogni sito non lasciavano speranze d'asciuttezza tanto che fra i ciclisti si vociferava di tagli e scorpori. Acqua per acqua, Pagni avrebbe preferito la bambinesca piscina di Philibert. Ma Caparrini fu incorruttibile. Già aveva dovuto sforbiciare questa tappa con arrivo a Le Bettex, inizialmente concepita come mostruoso anda-e-rianda e poi ridotta a più miti consigli con l'intervento dell'autobus. Era quindi necessario dare al cielo e non al calcolo delle probabilità la guida delle loro intenzioni. Flosci zainetti generati dalle ipotesi pluviali adornavano schiene inopinate, come quella di Chiarugi, ma la partenza fu regolare.

L'Encrenaz è un colle agreste con funzione pletorica. Non c'entra nulla col percorso di tappa ma consente di guadagnare chilometri e perdere tempo, altrimenti sarebbe troppo facile schivare i gendarmi giocando d'anticipo. È qui che la previsione si fa scienza e riversa sui disillusi scalatori la meritata pioggia. Bagna molto meno di una sudorazione caparriniana ma è poco promettente. I pensieri vanno alle discese ardite, alle cinque ore d'attesa all'addiaccio e ai bubbolii della Bertelli. Passano così in prescrizione il secondo divario fra Nucci Ro e Boldrini e l'insolito accoppiamento fra Chiarugi e Muritano, e nessuno ha voglia d'indagare sul vero nome del colle che nell'immancabile foto al cartello diventa Ancrenaz.

Taninges riserva invece un insperato premio alla perseveranza: cielo terso, asfalto asciutto, strada lunga e pedalare. A Cluses risale l'umore della truppa e quello dello scornato Boldrini che nei lunghi e piatti rettilinei verso Sallanches si diverte a giocare al tiremmolla: stacca i compagni, si fa riprendere e appena ripreso li ristacca. Un bel gioco che però dura poco perché a Domancy si celebra il fatidico e trionfale ingresso nel percorso ufficiale del Tour. Ed è subito salita, senza troppi fronzoli. Chi s'immaginava quest'incognita Le Bettex come ascensione turistica larga e dolce si rincuora con un'erta caprina stretta e acida. Purtroppo dura solo un chilometro e poi si normalizza ma è quanto basta per dissipare gli Empolitour.

Il Boldrini scalatore non è più quello che gigioneggiava in pianura. L'impressione comune è che ogni giorno se ne aggiunga uno nella lista di chi lo stacca, ed oggi Nucci Ri emula il fratello Ro ormai plurirecidivo. Chiarugi sale a passo di mentore con l'imberbe Vezzosi G e lo educa su alcuni temi di Tour a lui sconosciuti: l'incitamento dei tifosi accampati che può essere scambiato per dileggio, il sorpasso dell'eterodosso fogato che poi si ferma dopo cento metri, i bambini dell'asilo scortati ma non spinti da padri esigenti e i gendarmi che però stupiscono per latitanza. Soltanto a cinquecento metri dal traguardo un mite baluardo trasforma i ciclisti in pedoni. Qui s'infrangono in lenta sequenza anche l'evoluto Muritano, la schiera presidenziale col solo cireneo Cocchetti e il più cospicuo gruppo eterosessuale con le femmine, il palafreniere e i soliti due caudali.

Il sito di visione di tappa sembra scelto ad arte, né per il sito né per la tappa, ma è molto interessante per la nutrizione. Si trova presso un crocevia dove sorge l'unico esercizio commerciale attivo, a parte la Boutique du Tour. Dopo una modica fila oraria è possibile accaparrarsi viveri per almeno cinque ore di sopravvivenza, e tutti s'immolano senza remore, tranne Chiarugi che preferisce alimentarsi con castagne lesse, gratuitamente offerte e senza attesa per ogni costoso acquisto alla Boutique. Pagni invece, stufo d'arrivare ultimo, decide di sbaragliare la concorrenza caparriniana comprando e bevendo una bottiglia di Orangina da un litro e mezzo. A nulla valgono le rimostranze del presidente che pretendeva di calcolare il punteggio sulla base degli articoli acquisiti e non sul volume di liquido ingerito.

Insomma, con tutti i verdetti già scritti in anticipo, la tappa vinta da Bardet, il Tour da Froome e la gara di Orangine da Pagni, l'attesa dei corridori sembrerebbe molto noiosa. Per di più i veicoli della carovana, deviati per la tangente, sono poco propensi a lanciare oggetti. Il bottino è magro: qualche cappello giallo del Credit Lyonnaise e nemmeno una petit madeleine per dessert. In compenso si assiste a una miracolosa moltiplicazione di castagne con cessione plenaria agli Empolitour di un'intera scatola. Per tutta riconoscenza i ciclisti, stanchi per le estenuanti file al negozio ma opportunamente sazi, ignorano il contenuto ma si contendono il cartone per sedersi o sdraiarsi sull'erba umida.

Nel frattempo la nuvola dell'Encrenaz arriva a Le Bettex con un distacco di sei ore portando la solita pioggia petulante ma riparabile con la tettoia della bottega. La concorrenza è minima perché i francesi preferiscono bagnarsi piuttosto che perdere i posti conquistati nelle prime tre file alle transenne. Quando passa la corsa Caparrini e pochi altri partendo a gomitate dalla quarta fila riescono a intravedere anche le sbucciature sulla schiena di Froome. La vera innovazione di questa tappa è però una via di fuga non presidiata dai gendarmi che permetterebbe d'essere caricati sull'autobus in sosta a Sallanches prima che Kittel tagli il traguardo. Una lunga circonvoluzione a Saint Gervais impedisce tutta questa sollecitudine ma le bici sono comunque impacchettate prima del definitivo riverbero di quella perturbazione tanto annunciata quanto fortunosamente dribblata. Caparrini guardando dai vetri dell'autobus i ciclisti inondati che forse devono tornare a Morzine si compiace di avere emendato in tempo le sacre scritture del programma e prevede che tale compiacimento possa valere qualche altra bottiglia da ventotto euri.

 

 

Salvazione

 

Sostiene Caparrini che l'albergo in sede di arrivo di tappa è un lusso che capita una volta ogni ventisette Tour e che non bisogna dilapidarlo. L'animo deve perciò protendere ancora una volta al completamento del circuito ortodosso senza soggiacere a condizionamenti meteorologici. In palio c'è una visione di tappa unica, lavati e profumati dopo avere sudato più di sessanta chilometri di percorso giallo eludendo gendarmi. E ribadisce che il buon esito dell'impresa dipende appunto dall'elusione dei gendarmi sul Col de Joux Plane per poi scendere in picchiata verso le docce di Philibert. L'ortodossia comunque più che un circuito prevede una specie di folium di Cartesio con intersezione a Taninges perché, sostiene Caparrini, il Col de la Ramaz è valido solo se scalato nel verso delle frecce gialle, anche a costo di tardare sul risveglio della gendarmeria.

A ben vedere le frecce gialle compaiono con largo anticipo sulla salita pianeggiante di Les Gets dove la corsa non dovrebbe passare né oggi, né mai, e questo è il primo mistero di giornata. A Taninges il pavido Ulivieri vorrebbe evitare il folium della Ramaz per dedicarsi solitario allo Joux Plane ma i compagni lo convincono a desistere dalla cassazione con l'esempio di più grave inanità mostrato da Pagni. Poi però a Mieussy approfittando di una sosta meccanica della Bertelli svanisce alla chetichella, e questo è il secondo mistero di giornata. La Ramaz comincia a schiccolare il rosario dei ciclisti: Nucci Ro, Nucci Ri, Boldrini, Scardigli, Chiarugi, Muritano, Vezzosi G e Seripa, finalmente svincolato dalle dame: sfilata allietata dalle immagini dei vincitori del Tour in ordine cronologico. Fra Henri Pellissier e Ottavio Bottecchia sopraggiunge come un fulmine la Bertelli che con eloquio affannoso ma distinto manda a fanculo i sorpassati e poi torna indietro, e questo è il terzo mistero di giornata. Per il quarto bisogna arrivare sul GPM, superando non poche asperità fra Hinault, Fignon e Lemond, dove campeggia un invaso che nemmeno la lunga sosta consente di classificare come piscina, lago artificiale, discarica o vasca di sedimentazione.

Dopo che Taninges è eletto per la terza volta paese della svestizione dagli inutili orpelli usati in discesa, si comincia a pensare allo Joux Plane che ad occhio nudo è situato su un rilievo ammantato di fosche nubi. Unificare il gruppo scalpitante è impossibile. Ci riesce per pochi istanti l'incaglio con gendarmi ai piedi della salita ove comunque Muritano ha già azzardato una sommessa fuga bidone. Subito è cattiva e non ammette sotterfugi. Nucci Ro continua ad essere implacabile e Boldrini continua a collezionare figurine mancanti di chi lo precede, come quella di Scardigli. Vezzosi G s'affranca dalla docenza di Chiarugi che retrocede impercettibilmente fino all'orizzonte di Caparrini e Cocchetti, e quando con orgoglio riesce ad arpionare il caracollante Muritano egli lo castiga negli ultimi metri con uno scatto notarile. Garante degli arrivi fino a quello di Pagni è però Ulivieri privo di Ramaz che confessa di non avere resistito alla sua abitudinaria tentazione di cassare colli.

Con nebbia crescente e pioggia imminente una breve simulazione di permanenza sul colle fallisce all'unanimità. Neanche i gendarmi osano materializzarsi. Soltanto Caparrini e Pagni tergiversano per tenere ancora viva la gara d'Orangine, ma il destino è comune. Non s'accorgono nemmeno del Col de Ranfolly tanto sono desiderosi di chiudere il cerchio con lo Chalet Philibert. Per decenza si evitano visioni di tappa su divani o letti, o per lo meno Caparrini lo sconsiglia fermamente senza sapere con certezza quanti lo seguiranno verso le transenne del percorso giallo che nel frattempo è diventato piovigginoso. La tattica è però identica a quella usata nelle visioni con bici: espugnare un bar per occuparne sedie e tavoli, mangiando e bevendo senza fame né sete fino al passaggio della corsa. Con minimo spargimento di sangue ne conquista uno enorme con panche lignee e televisore che solo un marciapiede e una pioggia infittita separano dalla tappa. È necessario però anche l'assalto al furgone ufficiale per procacciarsi ombrelli gialli a dieci euro senza i quali Caparrini e Pagni non avrebbero trovato il coraggio per osservare i professionisti, tanto sfreccianti quanto fradici. Chiarugi invece combatte le intemperie col cappello verde della Skoda preso al volo dalla carovana, come uno dei pochi segni di un misero raccolto. Passata la tempesta e la corsa, i tre veterani si ritrovano passeggianti in un ameno dopo-tappa e nei loro cuori rallegrati dal piacer figlio d'affanno già pregustano un brindisi col vino di Philibert che nel Petit Casinò costa cinque euri a bottiglia.

 

 

Infrazione

 

Finito il Tour de France inizia quello de Suisse col Lac d'Emosson che Caparrini giustifica come visione di tappa posticipata di una settimana. Partenza e arrivo a Chamonix con tre principali difficoltà: il trafficato Col des Montets, l'impervio Lac d'Emosson e la costosissima pizza di Chamonix, già sperimentata all'andata, che Caparrini minaccia di indire come consumazione obbligatoria prima della ripartenza in autobus.

La prima non delude le aspettative: il Col des Montets è ricco di fauna automobilistica clacsonante anche se mancano nel dì di festa autosnodati e autoarticolati. Passano invece alacri treni con cremagliera che scatenano l'ira della Bertelli quando i maschi capitanati da Cocchetti tentano di forzare un passaggio a livello. Questo alterco, sommato a un sinistro stradale che blocca temporaneamente il traffico, sono gli unici episodi rilevanti di tutta la scalata che qualche buontempone vorrebbe pure immortalare al cartello. Il Lac d'Emosson è una roba più seria ma in questo Tour, terminati ormai i gendarmi, la carovana, la boutique, l'Orangina e fors'anche il Boldrini, deve arricchirsi di nuove motivazioni. Per esempio staccare Nucci Ro. È un'idea che non dispiace ai seguaci, che finora ne hanno rimirato la schiena, e che è tradotta in tentativo di attuazione da Chiarugi che stavolta parte senza indugi.

Il primo a calamitarlo non è un Nucci, non è un Boldrini ma l'inquieto Cocchetti per dimostrare che avrebbe potuto staccare il presidente se solo l'avesse voluto. Alla fine di Finhaut la strada diventa fine e scoscesa. Sparisce Cocchetti, insiste Chiarugi e compaiono i Nucci. Sul più bello s'ode uno schiocco e l'eco di un'imprecazione di Nucci Ro. Chiarugi e Nucci Ri fingono di non udire mentre il sopravvenuto Boldrini quando lo vede armeggiare vanamente sulla ruota torna indietro e lo accudisce. Gli altri guardano e passano, fidandosi delle abilità meccaniche del transgenico. Chiarugi solo al comando non si pone tante domande o rimorsi e riesce a mantenere l'equilibrio anche quando un autobus lo sorpassa e prova ad incastrarsi fra due file di auto in sosta. La sorpresa attenua la gloria dell'arrivo in solitaria quando vede Nucci Ro che lo fotografa e confessa di essere montato sul suddetto autobus per insanabile frattura di un raggio della sua ruota preziosa e delicata. La previdenza degli svizzeri è encomiabile: ha approfittato di un utile servizio di navette per i tanti ciclisti che su questa dura salita fanno la botta. Per soli venti euri raccattano gli esplosi e i sinistrati. C'è solo da aspettare quella delle 12:30 per tornare a valle.

Fra gli ignari meravigliati e gli informati, che Nucci Ro aveva avuto il coraggio di salutare con la manina dai vetri, giunge anche sderenato il samaritano Boldrini che così amplia suo malgrado l'album delle schiene rimirate, precedendo soltanto la lombalgica Maltana, la bubbolante Bertelli, il serafico Seripa e gli sfidanti in bradicinesia Pagni e Ulivieri. Non tutti i raggi rotti vengono per nuocere. Il tardivo orario di discesa della navetta costringe Caparrini a un repentino cambio di programma con qualche accenno di pathos, perché l'autobus sociale non può varcare il confine francese e la navetta svizzera fa capolinea a Finhaut. Per Nucci Ro ci sarebbe ancora uno hiatus di sette chilometri da percorrere con la bici in spalla. Ma qualunque sia la soluzione che il segretario patriarca adotterà per colmare il divario, gli altri ciclisti sono pronti ad accoglierla con sollievo, giacché consapevoli di avere scongiurato due momenti esiziali del programma originale: la risalita del Col des Montets e la pizza di Chamonix. Poi l'efficienza dei trasporti elvetici consente di scegliere la versione più rapida: la coincidenza a Finhaut del trenino a cremagliera che ferma a Le Chatelard-Frontière. La tappa di Nucci Ro si conclude pertanto con un'avventurosa alternanza di quattro mezzi, comprese le gambe per portare la bici fuori dalla stazione. Ma a questo punto le menti dei ciclisti stanno viaggiando più velocemente dei loro corpi maleodoranti in autobus. Hanno già perforato il Monte Bianco e si avvicinano a Noasca girando attorno al Gran Paradiso. Una salita da leggenda e un vino da supermercato li stanno aspettando nell'albergo La Cascata.

 

 

Elevazione

 

Pare che occorrano almeno dieci anni perché subentri l'oblio, ma i reduci del 2004, Bertelli, Caparrini, Chiarugi, Nucci Ro, Pagni e Seripa giurano di ricordarselo benissimo. Il Nivolet è un colle al confine fra il Piemonte e la Valle d'Aosta, fra il Purgatorio e il Paradiso, e forse tra la morte e la vita. Il traghettatore Coletti li ha scaricati a Noasca dove i centottanta abitanti non avevano mai visto così tanti ciclisti tutti in una volta. Ora devono dimostrare di meritarsi l'assunzione in cielo. Subitanee rampe, interminabile galleria, laghi e alpeggi che invogliano alla sosta eterna: è un'ascensione mistica per pochi eletti, ma l'obiettivo di Caparrini è quello di portarli tutti in cima, compresi i pazienti accompagnatori che salgono in macchina con la padrona dell'albergo.

Hanno frenesia di partenza, come se la vetta del Nivolet fosse a numero chiuso. Cocchetti e Muritano, specializzati in fughe bidone, sono già sui primi erti tornanti mentre Caparrini sta tentando di rianimare il computerino. Anche se è una salita ultraterrena egli vuole conoscerne i dati materiali, ma così facendo è costretto a rincorrere gli ingrati compagni risalendo la corrente dell'impetuoso torrente Orco. Il passaggio nell'oltretomba della galleria necessita di una guida. La chiorba di Boldrini coperta dall'elmetto non è abbastanza luminescente per seguirla da lontano. Chi vuole orientarsi su di lui lo deve braccare da tergo, come fanno i suoi abituali avversari Chiarugi, Nucci Ri e Nucci Ro, col rischio di spolmonarsi. Il transgenico mira al traguardo più ambito e sarebbe un meritato riconoscimento del suo precedente sacrificio. Prima però dovrebbe scacciare quei tre tafani che gli stanno succhiando le ruote.

Il ritmo boldriniano annulla già in galleria la fuga bidone che era scandita dalla luce rossa pulsatile di Muritano. Boldrini continua a danzare la quadriglia che rimane compatta fino a Ceresole Reale, salvo qualche avventato allungo di Nucci Ri. A Chiapili di Sopra la sua avventatezza si tramuta in rinculo, e Boldrini comincia a crederci, soprattutto quando Nucci Ro si distrae con una farfalla apollo. Il Nivolet ha già indossato l'abito buono. I sovrumani silenzi sono rotti dalle marmotte che fischiano al passaggio dei ciclisti, come se volessero multarli per violazione d'incanto, e Boldrini, alla sua prima esperienza in questo iperuranio, non regge l'emozione e si fa superare da Nucci Ro e Chiarugi.

Non è una classifica ma un pretesto per nominare tutti gli assunti: Nucci Ro, Chiarugi e Boldrini vagheranno a lungo fra il cartello segnaletico e il bassorilievo di Giorgio Anselmi che volle la costruzione di questa strada irreale. Ma il tempo lassù ha una diversa dimensione che non si misura in minuti di distacco. Così Nucci Ri conclude la scalata col passo dell'osservatore di farfalle, seguito dall'estasiato Scardigli, l'incostante Cocchetti, l'appagato Muritano, l'intabarrato Vezzosi G, le affiatate Bertelli e Maltana con l'imperturbabile Seripa e il supremo Caparrini rallentato dalla velocità sbagliata del computerino. Infine, accolti da un'ovazione perché cinquanta minuti durano tanto anche in Paradiso, Pagni e Ulivieri chiudono la raccolta. In questo luogo che avvicina ai celesti spiriti nessuno si lamenta della fatica corporea, i più provati sembrano gli accompagnatori dopo un'avventurosa salita in macchina. Per tutti c'è il Rifugio Savoia che con cibi e bevande terrene suggella l'unità e il successo di questo Tour.

Il secondo transito nell'oltretomba è rapidissimo e riconduce i ciclisti nella luce del piccolo mondo di Noasca dove le amicizie durano decenni e i vini sono compresi nella pensione completa. L'auriga Coletti come Caronte sollecita le anime ad entrare nell'autobus per traghettarle di nuovo ad Empoli, e Caparrini, dopo avere chiuso in attivo il bilancio, distribuisce severe pagelle ai suoi alunni: tutti bocciati e ripetenti l'anno prossimo.

 

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