Tour 2013
Annecy
18 - 22 luglio
Il Tour del lago
L'Auré du Lac
Il lago di Annecy è noto anche come lago dell'Empolitour che lo inaugurò
nel 1998 con una spedizione di tre patriarchi. Nel 2000, 2004 e 2005 ci furono
altri tre soggiorni fugaci e bicamerali prima di quello attuale che vanta
presenze quasi ottuplicate: ventitré i partecipanti come gli anni compiuti al
Tour de France.
A loro è dedicato questo intero capitolo che prende il titolo
dall'enigmatico hotel che li ospiterà: si chiamava Le Fauconnier prima di
partire ed è diventato L'Auré du Lac all'arrivo, mantenendo però in vista
ambedue le insegne. Il mistero della traduzione sarà svelato solo nel finale,
intanto bisogna svelare l'identità dei ciclisti, in ordine d'apparizione al
Tour: il supremo ma conciliante Caparrini, il famelico ma provocatorio Nucci Ro,
l'ascetico ma attento Chiarugi, il nobile ma redivivo Pagni, la loquace ma
pungolante Bertelli, il tacito ma imprevedibile Bitossi, l'austero ma volitivo
Giunti, il paziente ma gaio Seripa, il rigoroso ma distratto Muritano,
l'atletico ma revisionato Cocchetti, l'atavico ma rubesto Rinaldi, il pacato ma
lungimirante Rossi, il prudente ma efficiente Vezzosi, il lento ma inesauribile
Alotto, il marsupiale ma pentito Ulivieri, la labile ma custodita Cucinotta,
l'abile ma incauto Malucchi W, il gagliardo ma impulsivo Cilia, il canuto ma
combattivo Scardigli, e i quattro esordienti ma noti, il pingue ma efficace
Baglioni, la minuta ma coriacea Maltana, l'impavido ma consapevole Nucci Ri,
l'inesperto ma diligente Pisaturo.
Caparrini, supremo custode dell'ortodossia e del sincretismo, ha preparato
per loro nove camere e un ambizioso programma che dovrebbe mettere d'accordo
veloci e lenti, maschi e femmine, voraci e inappetenti, sibariti e spartani:
tutti desiderosi di compiere per la prima volta nella storia una tappa
integrale, quella che il sabato sarà decisiva per il Tour dei professionisti e
per quello degli Empolitour. Con la differenza che il primo ha ormai da tempo un
esito già scritto in Chris Froome mentre il secondo cela fin dall'inizio
incertezze ed enigmi. Intorno a un lago non poteva mancare qualche storia di
misteri irrisolti, e se Caparrini riuscirà a portare tutta questa squadra dalla
partenza all'arrivo della tappa qualche romanziere è già pronto ad invocare
presenze aliene o entità soprannaturali.
L'aire del lago
Non la sfiducia nelle capacità atletiche dei suoi ciclisti ma la
consapevolezza del potere inibitore dei gendarmi ha convinto il realista
presidente ad anticipare di due giorni il tratto finale della tappa integrale.
Sostiene Caparrini che il Semnoz diventerà certamente un monte interruptus
ma che i chilometri di salita guadagnati oggi potranno eticamente e
giuridicamente compensare quelli persi sabato sotto il fuoco della milizia. Così
il colle del pomeriggio, normalmente preparatorio e dimostrativo, assume in tema
d'ortodossia valenza doppia, in quanto salita in sé e salita di completamento
futuro. I ciclisti più navigati hanno notato che evidentemente anche il Semnoz
come l'albergo ha cambiato gestione perché nel 1998 si chiamava Cret de
Chatillon, ma in questo caso le insegne sono state tutte sostituite, basterebbe
trovarle.
La ricerca dei cartelli segnaletici inizia alle 17.30 dopo un'ora d'indugio
a Ugine per gli obblighi del cronotachigrafo dell'autobus e un'altra ora in
camera per gli obblighi televisivi dell'Alpe d'Huez che incrementa nei ciclisti
tenuti dodici ore in cattività la smania di salita. Da Sevrier la Bertelli
ricorda ai frettolosi che vorrebbero subito gettarsi nell'autodromo della
statale che qui c'è l'obbligo della pista ciclabile, amena stradina popolata da
donne obese con la Graziella e marmocchi col triciclo e che conduce senza sfondo
in un parco giochi. Caparrini cerca di prendere in mano le redini dello
scalpitante gruppo guidandolo attraverso vialoni e semafori in un'ampia voluta
intorno ad Annecy che lo riconduce ad un chilometro dalla partenza dove salta
fuori la freccia del Semnoz. Il presidente non fa in tempo a recitare la
liturgia dell'abbrivio che già parte la fuga decisiva. Prima che il solito
buontempone proponga di salire tutti insieme Chiarugi, Pisaturo, Giunti e
Bitossi si lanciano col passo dell'isolamento mentre Cocchetti cerca di radunare
attorno al sifone presidenziale una parvenza di maggioranza. Ma la salita, pur
umbratile e solitaria, non concede molti pretesti di rilassamento e conduce
inesorabilmente verso nubi sempre più umide. Al bivio per Quintal inizierebbe
il tratto di riparazione preventiva ma Bitossi ha già deciso di tornare
indietro e Giunti di aspettare il presidente per rimettersi alle sue volontà.
Piovigginando salgono Chiarugi e Pisaturo mentre gli inseguitori vacillano.
Mancando la comunicazione fra i vari gruppi la decisione di proseguire o
invertire ricorda quella del dilemma del prigioniero: se i primi proseguono e
gli altri tornano indietro otterranno il massimo dell'onore, se tutti proseguono
si divideranno in parti uguali l'onore, così se tutti tornano indietro il
disonore sarà equipartito, e ovviamente se solo i primi rinunciano e tutti gli
altri salgono imperterriti il loro disonore sarà massimale e imperituro. A
differenza della versione originale del dilemma non si tratta di un gioco ad
informazione totalmente incompleta perché se gli inseguitori vedessero tornare
indietro i primi tutti fradici probabilmente non ci penserebbero molto a
seguirli, ed è quel che accade grazie a Cocchetti che trascina nel disonore
quasi tutti i ritardatari. Il neofita Pisaturo ignora questa informazione ed ha
accanto a sé un Chiarugi che in vita sua ha interrotto una salita solo di
fronte a baluardi di neve o minacce armate dei gendarmi. Perciò pensa che
arrivare sul Semnoz sotto l'acqua sia una normale prova d'iniziazione, e non se
ne pentirà. Sul traguardo gia allestito il premio alla perseveranza è la
cessazione della pioggia e per i due probi fuggitivi la decisione di aspettare
eventuali compagni d'onore non soggiacerà ad alcun dilemma: Chiarugi e Pisaturo
raccoglieranno frettolosamente le prove fotografiche del loro arrivo e
scenderanno tosto in albergo dall'altro versante. Si scoprirà che anche
Caparrini ha dovuto fare i conti con questo dilemma del retroversore risolto
grazie alla pervicacia dell'arconte Pagni, disposto anche a passare sopra ai
preziosi occhiali pur di non fermarsi, grazie all'appoggio del fedele Giunti e
alla sorpresa di Alotto che dall'ultima posizione vede discendere tutti i pavidi
resistendo alle tentazioni d'invereconda asciuttezza.
L'onore della madida sestina sarà prevalente sui dodici calzini bagnati,
sulle altrettante scarpe da sottoporre a rudimentali trattamenti idrofughi in
assenza di phon e sui cinque occhiali appannati, perché quelli di Pagni sono
stati scaraventati nel bosco. Spaghetti scotti sormontati da coscia di pollo
lesso saranno per tutti il degno premio di partecipazione dell'Auré.
Le ire del lago
Per meritare una tappa integrale bisogna passare dalle selezioni di
un’usuale tappa parziale che funge anche da occasione di redenzione per i
diciassette renitenti al Semnoz. È una prova di qualificazione che non offre
particolari difficoltà altimetriche o militari perché i due colli sono miti
come dovrebbero esserlo i gendarmi sette ore prima del passaggio della corsa.
Perciò Caparrini non ha mai messo in dubbio l'approdo indolore a Le
Grand-Bornand, rinomata stazione che finalmente dopo tanti percorsi di Tour che
l'hanno solo sfiorata potrà essere apprezzata in tutta la sua irrilevanza. Ed
è anche per questo che il supremo custode delle tabelle di marcia tollera con
benevolenza la parata d'indugi e tergiversazioni alla partenza in cui l'allievo
Baglioni sembra avere egregiamente superato il maestro Bitossi.
La prima ora è spesa in fresche meditazioni ciclabili interrotte spesso
dalle mani alzate o dai singulti di Rinaldi che indicano l'avvicinamento di una
sbarra o di un malcapitato podista che rischia la fagocitosi del gruppo. Nella
seconda ora arriva il piccolo Col de l'Epine utile per tarare le velocità
ascensionali all'interno e con l'esterno. Vige sempre al Tour il divieto di
subire sorpasso da parte di eterodossi con zaino ma tutti lo infrangono tranne
Chiarugi, Nucci Ro e Scardigli (che pure è munito di piccolo basto) quando
sfreccia uno zavorrato olandese. L'inseguimento dei tre adempienti è breve ma
acidosico e sulla vetta con altimetria sovrastimata passa molto fiatone prima di
scorgere Maltana, Cucinotta, Rinaldi e Alotto che nella loro lentezza sembrano
più riposati. La discesa e il pianeggiante Col du Marais potrebbero radunare le
fila e le idee, per capire che fine abbiano fatto l'esperto di scorciatoie
Vezzosi e l'esperto di sparizioni Bitossi ma all'attacco della Croix Fry è
ancora in atto un discreto sparpaglio. La rete caparriniana cerca di trattenere
gli indietreggiati mentre fra gli avvantaggiati Chiarugi e Nucci Ro procedono
guardinghi con Scardigli, Giunti e Cilia in attesa di qualche eterodosso
deviante. L'equilibrio è rotto poco prima di Manigod da un sorpasso non
autorizzato. Un giapponese e un tizio con pantaloncini svolazzanti sembrano
irridere i veterani con giovanile baldanza e quindi, benché privi di zaino,
sono tenuti d'occhio. L'agone è spietato perché Nucci, Scardigli e Chiarugi
resistono fino alla bava per braccare l'asiatico mentre Bracalente si rivela uno
di quei diffusi esemplari di scalatore a intermittenza che si ferma ad ansimare
nelle piazzole e poi riparte a tutto fuoco. Nel pieno della disfida compare
Bitossi che, come il gatto di Schrödinger, è delocalizzato in uno stato
quantico indeterminato e non si sa mai se è vivo o morto finché non si apre la
scatola. In questo frangente è vivissimo e stacca tutti, ortodossi ed
eterodossi, per poi sparire di nuovo sulla Croix Fry. Anche nelle retrovie il
clima agonistico non è del tutto sopito. I maschi, senza ammetterlo, riluttano
a farsi staccare dalle femmine, ortodosse ed eterodosse, ma la Bertelli è
innocua almeno finché tiene fede al voto di assistenza alla Maltana. Quando però
si distrae, comincia a raggiungere velocità più virili abbandonando la sua
assistita a un destino non solitario, considerando l'alta densità di
bradicinetici lungo tutta la salita. La lotta più avvincente è comunque fra
l'arconte e il presidente. Non sui pedali, perché Pagni non ha l'allenamento
adeguato per ambire alla schiena caparriniana, ma sulle Orangine, dove i
traguardi di lattine o bottigliette trangugiate sono sempre risolti al
fotofinish. I pochi altri contendenti sono irrimediabilmente staccati e Alotto
nemmeno partecipa perché quando arriva sul GPM tutti sono già bramosi di
scendere. Vogliono arrivare a Le Grand-Bornand con almeno sei ore d'anticipo e
ci riuscirebbero se non si materializzasse a tre chilometri dall'arrivo una Boutique
du Tour da assaltare secondo il rito antico e accettato. Cinque ore e mezzo
potrebbero sembrare un anticipo sufficiente per completare il percorso giallo ma
i gendarmi, che di solito cominciano a incattivirsi tre ore prima, pur di essere
fedeli alla loro perfidia, negano gli ultimi duecento metri lasciando il
condottiero con la sua truppa di fronte alla Ferme du Pepe. Poco male per
Caparrini perché quello che cercava era proprio un ampio locale da invadere e
presidiare per cinque ore. Per soli venticinque euri cadauno ottiene cinque
metri quadri di saletta riservata, una ventina di pietanze fra tartiflette e
pizze e un garage per le biciclette. Raddoppiando l'offerta avrebbe potuto
usufruire anche dei prefabbricati del limitrofo campeggio per la pennichella. Ma
per il supremo custode della visione di tappa reclutare ventuno ciclisti ligi ad
aspettare la corsa è un successo senza precedenti. Pazienza se nessuno, tranne
il dileggiato Chiarugi, la lodevole Maltana e il timido Giunti, s'impegna a
carpire i cadeaux meteorici della carovana pubblicitaria, e pazienza se
nessuno esulta quando arriva Rui Costa ma tutti sono felici quando arriva
Cavendish perché hanno l'autorizzazione a tornare in albergo.
Questo epilogo sarebbe l'abituale descrizione di un gruppo che negli intenti
vorrebbe rincasare compatto e allegro in mezzo agli autoveicoli incagliati ma
che poi alla resa della strada si divide in sottogruppi indipendenti che per vie
diverse cercano di conquistare per primi le docce. Ed è ciò che puntualmente
si verifica, con l'aggravante della pioggia che prima schizza e poi inonda. Ad
Annecy giungono due aggregati principali più singoli dispersi, tutti in balia
delle acque. Caparrini, che dovrebbe essere quello più orientato, guida i suoi
seguaci nell'inviluppo del solito parco attorno a una giostra. Di Muritano si
sono perse ormai le tracce ma in mezzo allo spettacolo del lago in tempesta
ognuno cerca di salvare la propria anima quando ormai le scarpe e le bici
sembrano compromesse.
Le are del lago
Puntualità iniziale, rigore topografico e attese illimitate. Sono queste le
regole fissate dal nomoteta Caparrini per sperare nel buon esito della tappa
integrale. Non valgono quindi partenze antelucane, scorciatoie o iniziative
personali. Per certificare la validità dell'impresa bisogna partire alle 7.30,
seguire pedissequamente il percorso giallo e aspettare i più lenti su ognuno
dei sei colli, sottintendendo l'asperrima battaglia finale coi gendarmi del
Semnoz.
Tanto per cominciare alle 7.30 mancano ancora i guantini di Pagni, il casco
di Rossi, le scarpe di Baglioni e Bitossi in toto. Dopo dodici minuti e
un'apparente compattezza inizia la ricerca delle frecce. Nessuno osa proporre di
riperdersi nel parco della giostra per cercare la vera depart che perciò è spostata convenzionalmente a Sevrier. Al
chilometro zero Cocchetti, Muritano, Rinaldi e Vezzosi si sono già dati alla
macchia e il presidente ordina di rinunciare alla loro ricerca per concentrarsi
sui bivi e sui colli da marcare.
Cote du Puget. Ignorato dalla
cartina Michelin ma non dai camper né dai gendarmi appostati che lo fanno
sembrare una salita seria. Per gli Empolitour è un'occasione panoramica per
ribadire il rispetto del terzo principio con un'attesa degli ultimi già
preoccupante.
Col de Leschaux. I reprobi Rinaldi
e Vezzosi sono fermi ad aspettare e confessano di avere cassato il Puget,
rinunciando subito al titolo d'integralismo di tappa. Per Cocchetti e Muritano,
fuggitivi perseveranti con violazione plurima del terzo principio, scatta invece
la squalifica con interdizione dalle pubbliche pedalate. Al loro inseguimento si
lancia un terzetto d'imprudenti, Cilia, Pagni e Pisaturo che approfittano delle
eccessive lungaggini.
Cote d'Aillon-le-Vieux. Maltana,
dopo ritardi insoliti anche per la sua bradicinesia, rivela di avere il cambio
rotto, notizia che qualcuno interpreta come preoccupante dilatazione dei tempi
morti. In realtà ella prosegue con pionieristico adattamento tirando il filo
con le mani, e se va piano non è certo colpa dei rapporti. A scanso di equivoci
comunque Chiarugi, Giunti e Malucchi lentamente si allontanano cercando di
sorpassare un autocarro lavatore di cacche bovine.
Col des Pres. La strada è cinta di tifosi, il clima è festoso, il sole
cocente e il ritardo cospicuo. Le facce dei gendarmi ancora sorridenti
alimentano speranze di completamento. Il gruppo si può condensare in una
ritrovata maggioranza che ora contiene anche gli astuti fuggiaschi Cilia, Pagni
e Pisaturo costretti ad inseguire dopo avere percorso cinque chilometri di
strada sbagliata. Mentre Caparrini conta i superstiti e cronometra il distacco
di Maltana, il solito terzetto di Chiarugi, Giunti e Malucchi si avvantaggia con
pretesti minzionali. Qualcuno riferisce di una fulminea epifania di Bitossi in
discesa.
Mont Revard. La strada sale senza sale ma il gaio terzetto si sfalda quasi
subito. Gli inseguitori esplodono in una decina di particelle ma provano a
riunirsi sulla vetta pianeggiante. Chiarugi medita ammutinamento con Giunti che
sembra corruttibile ma affamato, così per guadagnare solo con lui i circenses
del Semnoz gli promette il panem alla fine della discesa. Qui, in un
popoloso crocevia fra Trevignin e Montcel, compare un provvidenziale chiosco di
cibarie e ricompaiono anche Cocchetti e Muritano che da un'ora stanno
meriggiando pallidi e assorti con beata noncuranza del completamento della
tappa. La loro unica speranza di riabilitazione poggia sulla riunificazione. Per
questo telefonano al presidente impegnato coi suoi palafrenieri nelle foto
segnaletiche sul Revard. Mancano però Maltana e Nucci Ri intenti ancora nella
scalata con molte pause di riflessione. I gendarmi stanno ancora consumando il
rancio nelle gavette ma le loro ore di mansuetudine sono in esaurimento. Ed è
così che Chiarugi tenta l'impresa disperata.
Semnoz. Chiarugi corona l'illecita fuga solitaria giungendo indisturbato sul
traguardo ove aspetta i compagni scampati con peripezie dalle grinfie dei
gendarmi. Questo sarebbe l'onirco lieto fine della tappa integrale, ma il sogno
di Chiarugi s'infrange all'imbocco del Pont de l'Abime davanti a due inamovibili
gendarmi. Hanno minato il ponte che congiunge le sponde di un canyon e che è
l'unico accesso al percorso giallo. Mancano ventidue chilometri e la tappa
integrale non sarà mai integrata. Gli Empolitour regolari si fermano tre
chilometri più indietro, in un supermercato di Clusy dopo un estenuante gioco
di salite e discese dal sellino, senza nemmeno la soddisfazione di lanciare
italici improperi ai gendarmi a causa dell'infiltrazione nella milizia di un
emigrante napoletano.
Il sacrificio della tappa nostra è consumato: tutto è perduto; e la vita,
seppure ne verrà concessa, non ci resterà che per piangere le nostre sciagure,
e la nostra infamia. Chiarugi mal sopporta l'onta subita e si ritira in albergo.
Caparrini ha invece il merito di trattenere diciannove ciclisti nella visione di
tappa, in uno dei siti più insignificanti della storia. L'evento merita un
omaggio serale allo sponsor inconsapevole Carpigiani. Lieti coni con cioccolato
che sa di vaniglia e vaniglia che sa di cioccolato si levano nel cielo d'Annecy
mentre il lago disapprova tacendo.
Le ore del lago
Dopo tante salite false nel Tour vero è la volta di una salita vera nel
Tour falso. Il Tour di Froome è finito ma quello di Caparrini deve ancora
sfoggiare il mastodontico Galibier. Sull'onda dei traumi fisici e psicologici
per la tappa interrupta anche le regole fissate sono più elastiche:
puntualità ma non troppa perché bisogna aspettare i comodi del cronotachigrafo
dell'autobus; rigore topografico non necessario, anzi sconsigliato ai lenti che
possono accontentarsi anche dell'intermedio Col du Telegraphe; attese non
illimitate perché lassù fra i primi e gli ultimi potrebbero passare diverse
ore all'addiaccio. Ne consegue che per evitare sensi di colpa o crisi mistiche
Maltana, Cucinotta e Seripa invece di cassare il Galibier decidono di cassare il
Telegraphe in autobus mentre Cocchetti e Vezzosi stanno a guardare. Per gli
altri il Galibier potrebbe diventare una sana ed intima competizione sociale
senza interferenze eterodosse e invece fin da Saint Michel de Maurienne piovono
ciclisti d'ogni ceto e stazza. A parte quelli che la domenica scalano il
Galibier come se fosse il San Baronto, ci sono quelli del BRA, Brevet de
Randonneur des Alpes, che sono partiti da Vizille alla francese, cioè a
casaccio fra ieri e oggi, e si sciroppano 250 chilometri a caccia di timbri.
Queste presenze complicano le strategie e gli obiettivi perché, ad esempio, per
Nucci Ro e Chiarugi non basta più braccare Bitossi, vestito asociale e con lo
zaino, ma devono anche stare attenti a non farsi superare da questi BRA che, con
o senza zaino, hanno già scalato un Glandon. Poi ognuno nel segreto della
coscienza si pone un'inconfessata finalità. I mediani come Giunti, Pisaturo,
Cilia o Nucci Ri o Rossi potrebbero accontentarsi di raggiungere le
anticipatrici, ai difensori come Malucchi, Rinaldi o Alotto potrebbe bastare il
completamento dell'opera senza piede a terra.
Fra chi conosce la strada a memoria e chi non è mai arrivato a tanta
altitudine c'è comunque una comunione di sentimenti e d'intenti. Tutti
vorrebbero giungere davanti al monumento di Pantani, afferrare il manubrio dal
basso, dare una prima scrollata di pedali, voltarsi quasi fermandosi ad
osservare le reazioni dei propri partner, e poi ripartire a velocità maggiore
mentre un Leblanc qualsiasi tenta un vano inseguimento. Vorrebbero ripetere
questa scena che molti hanno visto e alcuni hanno vissuto quindici anni fa ma
non ci riescono, o perché non vedono il monumento, o perché lo vedono ma non
lo riconoscono, o perché lo vedono, lo riconoscono ma non hanno la forza
nemmeno di alzarsi sui pedali. Manca ancora poco Galibier ma è il migliore,
aspro, forte, selvaggio, petroso e pieno di fotografi in agguato per rivendere
le espressioni sofferenti dei BRA e degli Empolitour. Nucci Ro e Chiarugi hanno
staccato Bitossi che si è fermato sul Telegraphe per un servizio fotografico,
Cilia ha raggiunto la Maltana e Ulivieri la Bertelli e sempre per qualità
fotografica cercano di rimanere al loro fianco. Pagni è a un solo chilometro
dalla schiena di Caparrini ma è già pago di averlo raggiunto nelle bevute d'Orangina.
Sa che in cima non ci sono rifugi né chioschi e ormai su questo campo non può
più essere staccato. La sorpresa che attende tutti gli assetati dopo un tempo
di scalata variabile fra due ore e venti e tre ore e trenta, è il ricco ristoro
dei BRA da saccheggiare a sbafo. Complice il piacevole sole d'altura le attese
sono davvero illimitate, anche Alotto può rinfrancarsi con calma, Pagni può
crogiolarsi in nobili pose rubando la sedia a uno dei timbratori, e Ulivieri
rivestirsi da suora di clausura. Gli scatti mancati in salita al monumento di
Pantani sono compensasti da scatti fotografici collezionati in discesa come
ricordo ecumenico che il cartello del Galibier non poteva contenere. La tappa
termina a Valloire e la risalita del Telegraphe è sostituita da una sosta
pagata. È noto che lo statuto dell'Empolitour non contempla soste con
alimentazione gratuita, pertanto bibite, frutta e dolci scroccati ai BRA non
contano anche se saziano. A Valloire, a parte i colpi bassi d'Orangina fra
Caparrini e Pagni, si vedono circolare birre, coppe ridondanti d'impalpabile
gelato e persino le inquietanti patatine fritte di Baglioni. Qualcuno per
rimanere in tema coi capitoli ipotizzava una conclusione lacustre con appendice
natatoria ma con questi ritmi il torpedone carico di ciclisti sazi e puzzolenti
arriverà all'Auré appena in tempo per l'ultima cena, a base di tartiflette, e
per l'ultimo brindisi, a base di champagne avariato ma costoso.
L'oro del lago
Anche il mistero del lago d'Annecy è alfine svelato. Auré è l'apocope di
Aurelian, figlio della proprietaria, e gioca d'omofonia con oreé che
significa bordo. L'Auré du Lac non cela perciò niente di aureo ma è soltanto
il bordo del lago, quello che oggi sarà interamente contornato e ammirato con
le visioni aeree dal Col de la Forclaz. Caparrini si premura di sostenere che
questa è la salita più dura delle sei o sette già affrontate e che quindi sarà
un giro idilliaco e contemplativo ma con giudizio. Con questi ammonimenti
ottiene soltanto la prenotazione di scorciatoia da parte di Cucinotta e Vezzosi
che si adegueranno al bordo del lago in maniera più precisa.
I tre principi, per quanto stavolta non fondamentali, saranno rispettati in
modo commovente: partenza alle 7.29 con un solo minuto d'attesa di Baglioni;
nessuna deviazione dal percorso ufficiale; unanime raduno sulla Forclaz con
abbondante iconografia. Addirittura Cocchetti, più realista del reale Caparrini,
parte un po' in anticipo per prolungare l'attesa dei compagni e fotografarli uno
per uno con le smorfie e i sorrisi degli ultimi metri di Forclaz.
Così tutti potranno rivedere e immaginare Nucci Ro che resiste all'estremo
attacco di Chiarugi, Scardigli a loro incollato a denti serrati, Rossi che
sorprende tutti i mediani, Nucci Ri che sorpassa l'esploso Cilia, Pisaturo e
Baglioni al ballo dei debuttanti, Malucchi che scende platealmente a piedi,
Seripa finalmente felice dell'esenzione dalla Cucinotta, la parata regale di
Caparrini, Giunti, Muritano, Pagni e Ulivieri, tutti allineati in un'unica foto,
la civettuola intesa fra Bertelli e Maltana, l'antipodico connubio fra Bitossi e
Rinaldi, e l'elegante Alotto che si fregia dell'ambito e meritato titolo di
fin de course et de Tour. Dopo
l'indulgenza plenaria del Semnoz, l'oro del lago spetta con pari merito e dignità
a tutti quanti, senza dimenticare il tecnico riduttore Vezzosi e il fedele
auriga Coletti. Ma mentre scorrono i titoli di coda si consumano anche gli
ultimi chilometri di cronaca di questo Tour del lago: una foratura con
riparazione di Giunti e una con sparizione di Baglioni e poi il gruppo che
finalmente trova il bandolo della ciclabile nel parco passando sopra a un
ponticello e a diversi bambini che scampanellano con le loro biciclettine. Fra
quindici anni uno di loro mentre scalerà il Galibier si ricorderà di questi
invadenti ciclisti bianchi e azzurri che lo stavano quasi travolgendo. Allora
afferrerà il manubrio dal basso, accennerà ad uno scatto e volgendosi di lato
li rivedrà invecchiati che lo stanno acclamando dal bordo della strada.