Tour 2011

Le Bourg d'Oisans 20-24 luglio

Il Tour che venne dal freddo (o dell'immaginazione)

 

 

Prologo

 

Ho visto cose che voi umani ciclisti non potreste immaginare. Ho visto la burrasca sul Galibier riscaldarsi al passaggio di Pantani. Ho visto l’Alpe d’Huez che sembrava un mercato e l’ho scalata fra i pedoni senza mai poggiare il piede a terra. Ho visto il rifugio del Col de la Morte dove si dormiva in nove su un letto comune e si scendeva in campo per defecare. Ho visto il sole sulla Croix de Fer che arrostiva la pelle e le cartilagini degli spettatori. Ho visto tutto questo grazie al Tour. Ho visto tutto questo grazie all’Empolitour che oggi torna nel luogo del concepimento. Non ero ancora nato l’11 luglio 1990 quando a Bourg d’Oisans tre padri fondatori gettarono il seme che ha generato quest’albero frondoso. Nacqui l’anno successivo e fui allevato per venti lugli a baguette e Tour, ma Bourg d’Oisans mai mi diede alloggio, sempre mi respinse. Così non mi ha voluto in questo 2011, anno della rivisitazione dell’Alpe d’Huez, del Galibier, della Morte e della Croix de Fer. Così per colmare l’assenza mi siederò con l’immaginazione dove altri pedaleranno e vedranno, e sarò testimone abbastanza infedele per miscelare verità e verosimiglianza, salite vissute e salite pensate.

Naturalmente, un manoscritto. Da Manzoni ad Eco il metodo è collaudato. Si fa finta di avere fortunosamente reperito un antico manoscritto e di averlo rielaborato traducendo e risciacquando. Il bello è che io non ho bisogno di fingere perché il dilavato e graffiato autografo ce l’ho davvero ed è vergato da un’anonima partecipante a questo Tour. Nel tentativo di decifrarlo durerò la stessa eroica fatica degli scalatori di quei mirabili colli e sarà come immedesimarmi nei loro sentimenti. E dove lo scritto sarà fallace potrò compensarlo con una farraginosa congerie di trasmissioni orali per offrire la più probabile ricostruzione di questa avvincente storia.

 

 

Partecipanti

 

Caparrini. Ridonda di appellativi: presidente, supremo custode dell’ortodossia, nomoteta assoluto, contabile unico, ecc. In questo Tour di ristrettezze alberghiere ha svolto anche il ruolo d’inappellabile selezionatore, lasciando fuori dalle convocazioni molti che anelavano alla partecipazione.

Bertelli. Ministra per le pari opportunità con delega al bubbolio in tutti i Tour di questo secolo. Inserita in una squadra di maschi sostanzialmente scorbutici, svolge coi ciclisti eterodossi francofoni anche il poco invidiato compito di attaccatrice di bottoni.

Boldrini. Da quando ha imparato a calcolare la VAM senza il pallottoliere ambisce a diventare un ciclista moderno. E come i ciclisti moderni che non corrono due grandi corse a tappe consecutivamente, si è preparato scientificamente al Tour rinunciando al Giro.

Cocchetti. Ha cominciato nel 2008 e non ha più smesso. Il gastrociclismo del Tour lo ha ormai corrotto irreparabilmente, anche se ogni tanto si ricorda d’essere un atleta discreto.

Giunti. Occupa i primi posti della classifica di assiduità e talora di velocità scalatoria. Smessi per fortuna i panni di musico e cantore indosserà in questo Tour quelli più utili di fotografo ufficiale.

Lisi D. Promosso al terzo anno di Tour non intende abdicare dal titolo faticosamente conquistato di fine de course. È infatti un ciclista molto equilibrato che va piano simmetricamente in salita e in discesa.

Marconcini. Dopo anni di fruttuoso tirocinio al Giro decide di sottoporsi allo ius primae Galliae. In quanto diligente scalatore opina che scalare in Francia non sia tanto diverso che scalare in Italia, ma non ha ancora fatto i conti coi gendarmi, i potages e i guanciali.

Muritano. La musa della narrazione gli è grata per le botte e le sparizioni d’esordio ma dopo un quinquennio di Tour è molto maturato. Il suo rigore ciclistico lo porterebbe a adempiere ai tre doveri capitali (domare arsura, schivare gendarmi e staccare Boldrini), ma sul terzo si nutrono dubbi.

Nucci. Anch’egli bramoso d’adempiere al terzo dovere, non s’accontenta di recitare il ruolo di patriarca contemplativo. Da quando vige l’istituto della mezza pensione si sono molto ridimensionati i suoi famosi ululati di fame.

Rinaldi. Ha trovato nell’Empolitour la piena realizzazione della filosofia gastrociclistica di cui egli è indiscusso maitre a penser. Al Tour oscilla fra questa funzione di nutrizionista e quella di barzellettiere.

Rossi. Come esperto di mountain bike e di piede a terra dovrebbe fruire di qualche agevolazione nella lotta contro i gendarmi. Per complicare il suo già precario equilibrio ha deciso di fungere da cameraman pedalante.

Ulivieri. Il marsupio è per lui un organo vitale non asportabile. Come tutti i marsupiali soffre il clima rigido da cui cerca di difendersi sovrapponendo vari strati di pelliccia.

Alotto. Elegante ciclista recidivo al Tour con l’impegno di provare almeno a vigilare sulla schiena di Boldrini. Probabilmente lo potrebbe staccare solo se le salite si scalassero come corse a piedi o sfilate di moda.

Bitossi. Come l’elettrone del principio di Heisenberg sfugge ad ogni tentativo di localizzazione. Da un punto di vista probabilistico gli si attribuiscono in corsa tre e solo tre posizioni: primo in discesa, primo o ultimo in salita.

Cucinotta. Col suo esordio si raddoppiano le quote rosa e i garruli trastulli. Nella lotta per il titolo di fin de course ha garantito un posto sul podio.

Malucchi W. Di lui si sa solo che è stato inviato e raccomandato dal lavativo figlio Malucchi G. Il manoscritto riporta come sua affermazione la proporzione con la famiglia Merckx, nel senso che Eddy sta a Axel come W sta a G.

Seripa. Torna al Tour con un bagaglio d’esperienza e di romanità. Se si stufasse di fare il cavaliere della Cucinotta potrebbe pure pedalare decentemente.

Vezzosi. Eletto per acclamazione supremo responsabile tecnico, non disdegna di portarsi anche al Tour il lavoro di brugola e cavafascione. Pure lui punta con buone ambizioni alla medaglia nel fin de course.

L’auriga Giuseppe. Non entra nell’elenco ufficiale ma merita citazione per i gravosi uffici di guidatore d’autobus, caricatore di biciclette e ascoltatore coatto dei DVD di Cassani.

 

 

L’albergo

 

Il 19 ottobre 2010 fu presentato il percorso del Tour de France 2011 e il 20 ottobre il supremo prenotatore aveva già requisito un intero albergo di Bourg d’Oisans. Si tratta dell’hotel Le Rocher (la roccia) noto ai villeggianti locali anche come Le Repli (il ripiego) o Le Dernier Recours (l’ultima spiaggia). L’ingannevole apparenza lo fa sembrare un pericolante edificio situato ai bordi di un’amena statale davanti ad un’industriosa concessionaria, ma al suo interno l’ambiente è confortevole e familiare con i coniugi gestori, simili a George e Mildred, che si rivelano affabili e servizievoli. È dotato di sette camerette affacciate sull’Avenue de la Gare e distinte in allusione alla spaziosità non coi numeri ma con le lettere B, C, D, E, G, M e P come Brontolo, Cucciolo, Dotto, Eolo, Gongolo, Mammolo e Pisolo. I 2,7 ciclisti per loculo sono disposti casualmente, a parte il presidente nella più ampia G e la Bertelli nella B. Si possono scegliere camere con doccia, accessibile con una gamba per volta, o con water sul quale si può evacuare in posizione fetale. Il timore di una diretta proporzionalità fra il volume dei locali e la massa delle pietanze si rivela ben presto infondato perché a cena Mildred dimostra di poter attingere da una fornitissima dispensa. La gerla di Rinaldi, che a scanso d’inedia era stata riempita con parmigiano, olio e pomodori di produzione propria, rischia di diventare superflua. A fine pasto invece della solita tavola visitata da locuste si può notare una quantità di avanzi bastevole per un’altra tappa. Non ci si meravigli perciò che l’omaggio serale al gelato Carpigiani sia eseguito per contratto e contro voglia dal solo presidente e dall’ubbidiente Ulivieri.

 

 

Prima tappa. Gap – Pinerolo

 

La salita dell’Alpe d’Huez che un tempo era fulcro ed orgoglio delle spedizioni al Tour, ora è declassata a mera esercitazione pomeridiana utile a dissolvere i frettolosi Camogli autostradali e l’incontenibile torpore di nove ore nell’autobus, cullati da recensioni di Cassani e film francesi.

A causa di una curiosa isomeria cis-transalpina, mentre l’Empolitour va sull’Alpe d’Huez in Francia dove andrà il Tour, il Tour va in Italia a Pinerolo dove è andata l’Empolitour. Così, sostiene Caparrini, “siamo pari”, ribadendo poi: “Chi vuoi che ci vada sull’Alpe d’Huez due giorni prima della tappa”. His fretus, vale a dire su questi bei fondamenti e soprattutto col proponimento di scalare l’Alpe alla svelta per garantire la visione di tappa in un bar con le Orangine in canna, Caparrini tenta di sollecitare il raduno nel piazzale della concessionaria ma i preparativi risultano piuttosto laboriosi perché in alcune stanze la presenza del ciclista o della sua valigia sono eventi mutualmente esclusivi. Inoltre il posizionamento di Bitossi nella camera P non fa presagire celerità.

Boldrini è invece già pronto con la calcolatrice in mano. In base alla VAM attribuitagli dal suo preparatore atletico è fiero di avere ricavato un tempo di scalata sui 14 chilometri di 50 minuti (di poco superiore a quello che impiegherà la maglia gialla due giorni dopo, n.d.r.). Poiché tutti lo vedono compunto e concentrato sulla materia, nessuno osa prenderlo apertamente per il culo, anche perché il disinteresse assoluto per il cronometro è una virtù propria di poche anime pure come Bertelli, Cucinotta e Seripa, mentre lo stesso Caparrini, benché non sappia cosa sia la VAM, è curioso di confrontarsi col tempo impiegato nel 1990 quando era giovane e obeso.

Si capisce allora il subitaneo frazionamento del gruppo presso una fatal rotatoria. Boldrini già pedala a chiorba bassa inseguito da un drappello di volitivi, mentre Bertelli e Rinaldi stanno già allestendo la sagra dell’erba trastulla, manifestazione invero poco agevole da organizzare fra le rampe al nove percento. Le due antitetiche fazioni dei cronometristi e dei cazzeggiatori sono molto mutevoli per composizione e disposizione, in particolare la seconda tende ad inglobare, per conversione o spossatezza, molti iniziali membri della prima. Per esempio Malucchi W che, per uscire dall’anonimato del novizio e per corroborare il parallelismo con la famiglia Merckx, era partito battendo gli sproni e mirando la chiorba transgenica, giunto in acidosi a La Garde d’Oisans si convince a partecipare anche lui alla sagra. Anche Muritano decide dopo pochi ansimati tornanti di posticipare a maggior gloria e a miglior gamba il rispetto del terzo dovere capitale. Un’insolita saggezza si diffonde nell’animo dei più temerari come se la musa della botta potesse anche da lontano sorvolare sulle loro inani spoglie. L’unico serio candidato potrebbe essere Nucci che per staccare Boldrini sarebbe disposto a vendere la prostata al diavolo, ma su queste strade che lo hanno visto agile e crinito dimostra di saper contenere l’esplosione. Cocchetti invece rimugina e tergiversa, scatta e rallenta, guarda e passa, e poi alla fine viene convinto dall’incitamento dei compagni e dal peso della coscienza a staccare davvero il primatista transgenico. Boldrini dal canto suo non la prende bene, non tanto per l’inatteso sorpasso quanto per il calcolo sbagliato. Per un’errata conversione dei decimali a sessagesimali arriva infatti sul traguardo dell’Alpe dopo più di un’ora e per la delusione scende subito in albergo senza aspettare lo sponsor. Naturalmente incontra in senso inverso tutti i garzoncelli scherzosi fino a Cucinotta e Seripa che su queste balze montane stanno rivivendo le emozioni di un’ora di pedalata sul GRA.

Forse i più veloci, intenti a rimirare la pipa del manubrio, non ci hanno fatto caso ma i ciclisti che salgono col paesaggio negli occhi non possono fare a meno di ricordare la frase caparriniana (“chi vuoi che ci vada sull’Alpe d’Huez due giorni prima della tappa”) quando s’imbattono in un’incontaminata trafila di autoveicoli, composta in prevalenza da camper e furgoni con problemi di marmitta. Evidentemente si tratta di spettatori previdenti o tifosi dell’Empolitour. Quando infatti passano il transgenico o il marsupiale la folla accampata ai bordi della strada li riconosce subito e li acclama calorosamente, riservando una fragorosa ovazione al caracollante presidente molto amato anche in Francia.

Caparrini taglia soddisfatto quel traguardo che in venti anni e quattro Alpi d’Huez i gendarmi gli avevano sempre impedito di tagliare. Il cronometro sancisce un miglioramento di un minuto all’anno mentre per suo sommo agio anche i gradi del termometro hanno subito il medesimo annuo decremento. Dall’auspicabile arsura degli anni novanta emerge un’Alpe nuvolosa e infreddolita. Senza sudore, senza sete e senza tappa televisiva gli Empolitour riescono ugualmente ad onorare lo sponsor inconsapevole Orangina ma si ha la sensazione che il primo dovere capitale quest’anno rimarrà inadempiuto.

 

 

Seconda tappa. Pinerolo – Galibier

 

Tour e Empolitour si danno appuntamento ai 2646 metri del Galibier. L’incontro solenne è atteso da tutti con trepidazione perché dopo la simulazione dell’Alpe d’Huez si potrà pedalare nella realtà effettuale per nove chilometri di percorso giallo dove ottemperare al secondo dovere con una pugnace disfida contro la gendarmeria. L’arsura come era prevedibile non partecipa alla pugna, e Caparrini è l’unico che guarda senza angoscia le nubi ominose che stanno oscurando il Massif des Ecrins. Quando ha letto i bollettini che promettono nevicate sul Galibier si è limitato a mettersi in tasca una magliettina di salute accanto alla crema solare, sostenendo che la tappa non era a rischio di annullamento perché in caso di neve gli organizzatori avrebbero provveduto ad abbassare il traguardo. A parte Rinaldi che consiglia in tal caso di abbassare anche la testa per non urtarlo, tutti gli altri si preparano in maniera più seria all’anacronistico confronto col freddo. Proliferano multiformi zainetti onusti di vestiario. Puri di schiena, a parte l’incorruttibile presidente, se ne vedono pochi. Le borracce di riserva superflue per domare l’arsura sono svuotate e riempite di gambali o lanose camiciole. Nucci attacca il marsupio al manubrio per non plagiare Ulivieri che da parte sua già col sole usa cinque strati di tessuto e adesso più di tanto non può indossare a parte passamontagna, calzoni lunghi e guanti pelosi. Marconcini allo zaino da rocciatore aggiunge la piccozza e Rossi che di certo non rinuncerà al piede a terra si munisce di scarpe chiodate. Non viene nemmeno esclusa l’ipotesi degli indifferenti, capitanati da Vezzosi, di tornare indietro prima d’incontrare la perturbazione.

Alle 9 la sfida è lanciata e alle 9.10 Boldrini è già in fuga nelle Gorges de l’Infernet dalle quali non spirano gradite fiamme ma gelidi afflati che costringono i ciclisti di normale termoregolazione a perseverare coi manicotti. Caparrini a braccia ignude stenta ad azionare la sua fluviale sudorazione e quando nessuno lo vede sotto le refrigeranti gallerie riesce pure a provare qualche fugace brivido. Questo è il Lautaret, una di quelle strane salite che non salgono ma ti sollevano impercettibilmente a 2000 metri con l’ebbrezza di un valico autostradale. Sul culmine del Lautaret dovrebbe installarsi l’agognata prolunga del Galibier, ma quando Boldrini lo raggiunge lo trova invaso da un migliaio di postulanti con le bici in mano che stanno premendo contro un’invalicabile muraglia di gendarmi avvinghiati e parecchio ostili. Dopo essere stati per anni gabbati dagli Empolitour col giochino dello smonta-e-rimonta, ora sembrano draconiani e spietati verso ogni forma di vita ciclistica o podistica. Boldrini che in fondo è un bravo ragazzo, rispettoso e ingenuo, tenta di attraversare candidamente il posto di blocco, forse sperando in uno speciale lasciapassare per i transgenici. Quando un corpulento milite lo placca e gli rotea il manganello in faccia, Boldrini offeso desiste e tenta di far desistere tutti gli altri che incontra discendendo. Lo avvisteranno qualche ora più tardi ad espiare i sui misfatti sulla salita della Berarde che non c’entrava niente né col Tour, né con l’Empolitour.

I destini degli altri sono sparpagliati e incerti. Anche l’autrice del manoscritto perde di vista la globalità della situazione. Si sa solo che Bitossi è illocalizzabile, che Muritano senza Boldrini non ha più stimoli e torna indietro, che Cucinotta, Lisi D, Seripa e Vezzosi hanno già fatto tanto ad arrivare fin lassù, e che gli unici salvati sono coloro che nel turbinio della tempesta umana riescono a farsi guidare dal faro illuminante dell’enorme fascia caparriniana. Il presidente, esperto infinocchiatore di gendarmi, osserva una lunga teoria di pellegrini che risale su un sentiero erboso con bici alla briglia. Il tempo di sellare la bici e coprirsi i tacchetti, e il generale guida i sopravvissuti su queste zolle ad aggirare il bunker e riconquistare la via del Galibier deserta e pedalabile. Scortato dall’abile e fedele Giunti riuscirà a pedalare fino a 1700 metri dalla vetta di fronte ad una transenna con filo spinato e gendarmi a mitra spianati che sarà considerata il traguardo abbassato dell’Empolitour. In questo luogo desolato e inospitale Caparrini e Giunti si siedono ad aspettare tutti gli altri compagni d’ortodossia, consapevoli che qui la visione programmatica della tappa potrebbe essere tanto esclusiva quanto esiziale.

Questo tipo di percorso alpinistico esalta anche le doti del podista Alotto, del temprato Cocchetti, del biker Rossi, del rocciatore Marconcini, del marsupiale Ulivieri e degli esperti Nucci e Bertelli che trascinano nell’impresa anche l’imberbe Malucchi W. Quando però i nasi degli impavidi cominciano ad annusare i primi soffi di nivea pioggerella, tutti i buoni propositi d’ortodossia si tramutano in una collettiva montata e fuga verso quote meno glaciali, in pratica dietro alla prima muraglia di gendarmi. L’esibizione di Andy Schleck è così visionata fra il brulichio di teste degli spettatori meno intraprendenti e televisionata sul maxischermo del Lautaret dal quale tralucono i timidi ma roventi raggi dell’unico sole del Tour.

 

 

Terza tappa. Modane – Alpe d’Huez

 

Il supremo tracciatore di percorsi ha passato molte notti d’autunno a studiare il modo d’arrivare all’inarrivabile arrivo dell’Alpe d’Huez per meritare l’anelato approdo alla Boutique du Tour, ma senza incontrare gendarmi o camminatori. Alla fine ha generato un giro avvolgente con appendice esornativa. Il Col de Sarennes è l’inedita porta di servizio dell’Alpe d’Huez dove non crescono automobili e militari. La salita delle Deux Alpes sembra invece un incomprensibile palindromo allegato ad un circuito già completo e autosufficiente che ha solo il difetto della brevità. Sostiene Caparrini che se si precede di troppo l’arrivo della tappa si rischia di perdere mezza squadra d’indifferenti attratta dalle blandizie del vicino albergo. Con Les Deux Alpes si allunga il brodo senza compromettere le canoniche cinque ore d’attesa, ma sono calcoli fatti sulla velocità di un ciclista mediano come Caparrini stesso. Per evitare il rischio che l’attesa si riduca sotto il limite sindacale il supremo giudice di gara decide di ricorrere all’istituto delle partenze differenziate: verranno liberati dal recinto con mezz’ora d’anticipo tutti coloro che con alzata di mano si autodefiniscono bradicinetici. Il primo ad alzarla è Vezzosi che opta per il percorso a chilometri zero. Poi se ne alzano altre sette: quelle comprensibili di Cucinotta, Malucchi, Rinaldi e Lisi D, quelle adiuvanti di Bertelli e Seripa, e quella di Ulivieri troppo lento a sfoltire e rinfoltire gli strati di pelliccia.

Costoro saranno anche bradicinetici e conviviali ma fin dai primi ettometri non sembrano intenzionati a lasciarsi riprendere dal gruppo presidenziale con tanto amore. Infatti cominciano a condurre allegre danze in pianura perdendo subito per strada il distratto Lisi D. Quando parte il gruppo dei forti loro sono già sulla via delle gorges con Rinaldi in testa che per non dare impressione d’impegnarsi troppo nel cimento, gigionegga all’aperto e accelera nelle gallerie lontano da occhi indiscreti. Col risultato che ai piedi delle Deux Alpes il distacco è immutato anche se sono scomparsi tutti tranne la Bertelli. Anche se Cassani li darebbe già per spacciati i due fuggitivi cominciano a credere nel buon esito della scappatella. Oltretutto gli inseguitori avanzano placidamente senza alcuna intenzione di raggiungerli e si fermano pure a fotografarsi. La transizione fra Deux Alpes e Sarennes è lungo la diga di Chambon dove la Bertelli assolda un lungagnone eterodosso per una tirata sacrificale prima della rampa d’esordio. Da lì fino al paesino di Mizoen si riscoprono pendenze poco consone alla mollizia del Tour (che infatti di qui non è mai passato) ma evidentemente consone alla tenacia della Bertelli che ringrazia Rinaldi per il valente servigio e lo stacca senza rimorso.

Mentre la rumorosa umanità è condensata sull’Alpe d’Huez, il Sarennes si svela in tutta la sua idilliaca timidezza. La Bertelli avverte il contrasto tra l’anima, corroborata dal paesaggio arcadico e silenzioso, e il corpo che comincia a darle segnali di pericolo. Quando scompare la vegetazione le compare una rapida evoluzione di visioni reali e mistiche: vede le capre e non si preoccupa, vede Heidi e Peter e non si preoccupa, ma quando vede il figmento di Bitossi che si materializza e la sorpassa capisce che la crisi è arrivata e si abbandona divinamente affranta. Sulla vetta spoglia e nubilosa assiste con edulcorata fierezza all’arrivo del cachettico Nucci che ha staccato un remissivo Boldrini inseguito da Muritano che impugna il manubrio con la lingua.

Per fortuna o purtroppo bisogna officiare anche il rito della tappa e scendere dal paradiso del Sarennes all’inferno dell’Alpe d’Huez dove i diavoli in camicia celeste stanno già azionando i forconi. Prima che Caparrini riesca ad espugnare un capiente ristorante sull’altiporto, un manipolo di eretici sfugge alla sua autorità per soggiacere a quella dell’agio alberghiero. Alotto, Cocchetti e Boldrini, ovviamente seguito dall’ombra di Muritano, sono già in vestaglia davanti alla TV mentre Caparrini, dopo aver espropriato una t-shirt alla Boutique Officielle, dispone i suoi probi adepti sul ciglio della strada tracimante di tifosi. E poi si compiace di aver compiuto queste grandi manovre senza incorrere nelle corna dei gendarmi, di aver smorzato sul nascere l’arsura (che a molti è sembrata anche stavolta camuffata da freddo) e di aver finalmente assaltato la carovana pubblicitaria raccogliendo un cappellino a pois, un pacchettino di salatini e una confezione di caramelle Haribo. Tanto per non arrivare troppo sazio alla luculliana cena della Rocher.

 

 

Quarta tappa. Grenoble – Grenoble

 

Sentimenti contrastanti transitano nei cuori dei ciclisti rifocillati. Il sollievo di molti per l’esaurimento delle tappe da visionare si contrappone al desiderio di pochi di visionarne altre. In questo giorno di libera uscita l’ortodossia caparriniana lascia aperto in verità un piccolo spiraglio sulla cronometro di Grenoble che sfiora il circuito programmatico comprendente il blando Col d’Ornon e il falsamente ominoso Col de la Morte. La visione di tappa è da considerarsi un esame facoltativo che è propedeutico a due fondamentali obiettivi: il mantenimento del gruppo compatto e il pranzo nel nostalgico rifugio della Morte.

Il primo proposito è soddisfatto per tutta l’Avenue de la Gare e per un chilometro nella valle della Lignarre, cioè finché qualcuno percepisce un germoglio di salita. Questo Ornon ha attitudini di pace agreste e pastorale, e rende difficoltoso anche per Boldrini il rispetto della VAM che lascia definitivamente il posto alla lentezza dell’osservazione di vaste plaghe erbose ove le mucche pascolano, i cavalli dormono e i ciclisti pisciano.

A passo di bivacco i corpi si accendono tiepidamente nonostante la velocità non generi molto calore e il sole sia più assonnato di Bitossi. Sulla cima Caparrini tenta di recuperare un barlume d’unanimità ma i ciclisti più infreddoliti appena scorgono un accenno di Cucinotta all’orizzonte si precipitano in discesa senza aspettare la foto ecumenica. Quel che divise la salita non unisce di contro la discesa ove Bertelli, Bitossi e Cocchetti si lasciano cullare dalle dolci spire fino a Valbonnais. A questo punto la compattezza appartiene soltanto a vari gruppuscoli autonomi che proseguono per le loro strade verso un unico obiettivo alimentare. La Bertelli che ha aggiogato Rinaldi e Malucchi W, posta di fronte alla scelta fra la Mure e la Morte sceglie la prima e meno pessimistica opzione ma si ritrova a trascinare i due malcapitati in una salita sbagliata.

Quando l’errore è sanato e il gruppo raffazzonato sarebbe anche ora di pranzo e Caparrini, incurante della plumbeità del cielo, incomincia a pianificare l’arrembaggio al rifugio. Ma il conteggio dei commensali termina prematuramente sotto uno scroscio ammonitore che lo fa recedere immediatamente dal piano anche perché i ciclisti meno affamati erano già precipitati in discesa dopo le prime gocce. Il supremo pianificatore non intende però rinunciare alla nutrizione sociale per così poca grandine arginabile dal suo vetusto cappellino e si dà appuntamento al primo posto utile dopo la discesa. Naturalmente la cassazione della cronometro diventa nel frattempo l’unico proposito unanime della comitiva. Dopo aver perlustrato invano Sechilienne ed aver appurato che nessuno erige ristoranti lungo le Gorges de la Romanche, Caparrini pattuisce la sosta a due chilometri dall’albergo con esatta equipartizione d’intenti: nove fradici che si contendono assiettes de crudités al ristorante e nove lavati che si contendono l’unica doccia a misura d’uomo dell’albergo.

 

 

Quinta tappa. Creteil – Paris

 

Al termine di un Tour così fresco e periglioso la passerella sulla Croix de Fer dovrebbe fungere da rilassante e rinfrancante scalata su cui tirare il fiato e le somme della felice spedizione. E poi finalmente il sole non sembra soccombere come gli altri giorni all’attacco delle nubi mattutine. Ma se il dubbio dei manicotti è ben presto fugato, ben altre angosciose consulte agitano i sonni dei diciotto camerati. Caparrini è turbato dal ballottaggio fra maglietta di ricambio e crema solare e solo un minuto prima della partenza esclude l’ipotesi più estiva. Ulivieri scioglie felicemente la prognosi della partenza senza dubbi di abbigliamento, ovvero la totalità dei capi in valigia. L’imprevedibile Bitossi dichiara di non aver capito ancora come funziona l’Alpe d’Huez e vi si reca per la terza volta. Muritano, aut Caesar aut nullus, dopo quattro vani giorni a braccare Boldrini si rassegna al nullus imitando Vezzosi, Lisi D e Merckx. Altri rimandano le decisioni in itinere perché il magnanimo giudice presidenziale non ha previsto sanzioni per chi volesse praticare una Croix de Fer interrupta, semmai incentivi per i bradicinetici che altrimenti ritarderebbero il ritorno a casa.

È così che Cucinotta e Seripa decidono di desistere al bivio di Vaujany e tutti gli altri venti chilometri saranno costellati da altre nobili desistenze. Alla Riviere d’Allemond un’inopportuna discesa gela i desideri d’ascesa. Perché appressandosi al proprio desiderio ogni ciclista aveva già cominciato a sospettare un clima un po’ troppo invernale, ma ora col vento diaccio sbattuto in faccia il sospetto si certifica e i più saggi non tardano ad usufruire degli incentivi all’interruzione, senza distinzione di ceto e d’allenamento.

Presso la diga della Grand Maison anche Cocchetti torna a casa emulato dalla Bertelli con l’inseparabile Rinaldi, mentre gli scommettitori che davano il pavido Ulivieri già in albergo si devono ricredere quando lo vedono pedalare alacremente nel nevischio dopo il cartello del Glandon. Boldrini invece, protetto dalla sua VAM ispiratrice è già arrivato in cima e subito ridisceso bofonchiando. I restanti constatano il tralignamento atmosferico e si danno pace sperando caldamente nel rifugio della Croix de Fer.

Caparrini, Giunti e Nucci che nella loro onorata carriera di Giri e Tour ne hanno viste di tutte le temperature, plaudono all’arrivo dei più nuovi accoliti Alotto, Marconcini, Rossi e Ulivieri ma dopo il plauso e la foto sollecitano le operazioni di vestizione e nutrizione per tornare a valle prima che la neve diventi grossa. Col respiro condensato, le mani intorpidite e i fiocchi negli occhi i discesisti più resistenti guadagnano chilometri vitali finché non scorgono su un parapetto un losco ciclista con una ruota in mano. È Boldrini che dopo la seconda foratura implora una camera d’aria. La VAM lo ha miseramente punito e abbandonato al freddo e al gelo, e solo il munifico Giunti può redimerlo cristianamente offrendogli l’oggetto mancante.

Ulivieri che si è orgogliosamente scrollato di dosso l’etichetta di rinunciatario ora vorrebbe scrollarsi tutta quell’algida pioggerella che inesorabilmente sta consumando l’usbergo dei suoi strati protettivi. Dopo un chilometro non sente più le mani, dopo due chilometri non sente più i piedi e dopo tre chilometri quando s’accorge di non sentire più il marsupio comincia a preoccuparsi e si ferma. Vorrebbe invocare l’autobus e rinunciare anche quest’anno all’ortodossia ma Caparrini, supremo consolatore e paracleto, lo scorta, lo rincuora e gli infonde quell’umano calore che gli mancava per terminare l’impresa. Poi, più che Caparrini ci pensa la Riviere d’Allemond a riscaldare, perché in senso inverso si rivela una salita dura e provvidenziale che rigenera agli afflitti e assiderati il sangue perduto in discesa.

Dopo avere superato anche questa crudele prova gli eroici ciclisti si sentono immuni da ogni dolore. Per un breve periodo assaporano parvenze d’immortalità. Niente li può più turbare, nemmeno la fila alla piccola doccia della Rocher. Dai finestrini dell’autobus s’intravedono i saluti commossi a questa minuscola magione che lascerà un maiuscolo ricordo, e non solo per le dimensioni dei piatti. Infine un saluto al beffardo sole che in questi cinque giorni è stato sostituito dal radioso tepore dell’amicizia.

 

 

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