Tour 2010

Lourdes 18-22 luglio

Il Tour dei sesti Pirenei

 

 

Numeri complessi

 

1991, 1995, 1999, 2001, 2003. Non è una successione enigmatica ma l’aurea sequenza pirenaica dell’Empolitour. Il principio di conservazione della disparità è violato con questo 2010 ma il presidente Caparrini ha giustamente anteposto alla tradizione aritmetica il ventennio dell’Empolitour e il centennio dei Pirenei al Tour che prometteva una quantità di colli scalabili superiore alla ristrettezza della cinquina di giorni prenotabili. Non è stato un compito agevole quello del supremo conciliatore perché i candidati erano tanti e i Pirenei lontani. Come la quadratura del circolo il problema prevedeva molte soluzioni ma tutte approssimate. Organizzare il Tour non significava soltanto risolvere il sincretismo di sedici ciclisti ma soprattutto allestire un programma che garantisse la custodia dell’ortodossia nel rispetto delle cinque principali volontà sociali: scalare montagne, visionare tappe, fronteggiare gendarmi, debellare arsure e staccare Boldrini.

Il ponderato presidente ha così posto le condizioni affinché ognuno potesse sentirsi parte uguale di una medesima volontà, sia pure con diversità di peso, velocità o appetito. Ha scelto Lourdes forse per dimostrare che si può mescolare ciclismo, misticismo e razionalismo, o forse perché ridonda di alberghi e di gelatai Carpigiani ed è vicina all’antonomasia dei Pirenei, il Tourmalet. Questo nome epico ha contribuito a racimolare proseliti nel segno della novità o della ripetizione. Secondo gli archivi storici esistono solo tre preistorici esemplari, Caparrini, Chiarugi e Nucci, partenti per il sesto pireneo, poi ci sono la Bertelli, Bitossi e Pagni che partono per il terzo, Giunti per il secondo e per il primo in nove: Alotto, Boldrini, Cocchetti, Lisi, Muritano, Rinaldi, Seripa, Ulivieri e Vezzosi. Evitiamo di sottilizzare che di costoro alcuni sono già stati al Tour, alcuni sono già stati al Tourmalet ed alcuni, i più interessati e interessanti, non sono mai stati né al Tour, né al Tourmalet, ovvero il podista Alotto e il marsupiale Ulivieri. In appendice, quando queste diventeranno cronache dell’epoca, si parlerà anche di una partecipante sine velocipede, misteriosa come la dama bianca di Coppi, ma questa è un’altra storia.

La nostra inizia alle cinque di un mattino già afoso con cinque vetture onuste di bici, bagagli e più di mille chilometri da digerire nella prima delle cinque puntate pirenaiche che è sempre una penosa litania di cartelli e caselli ove le bici svolgono il solo ruolo di cimiteri di moscerini. Ma anche in un capitolo puramente automobilistico si può individuare qualche topos narrativo degno della psicopatologia ciclistica dell’Empolitour: Nucci attaccante che va in fuga, Caparrini staccato che zigzaga, Boldrini ininterrotto che chiacchiera, Muritano tecnologico che sbaglia strada, Pagni dormiente che telefona, Bitossi illocalizzabile che si materializza, insomma sembra d’essere in bici, e c’è pure la tappa da visionare. La strategia consisterebbe nell’esproprio di un bar con televisione ma pare ostacolata, oltre che da numerosi disinteressati anche dalla penuria di autogrill francesi e dall’insipienza dei guidatori italiani e dei loro satelliti custodi. Inevitabilmente l’antipasto visivo di salita pirenaica arriva perciò alla scadenza dei termini mentre le cinque ammiraglie errano nelle plaghe deserte alla periferia di Tolosa.

Dopo il fallimento della visione i ciclisti però possono consolarsi col primo atto nutritivo sociale, celebrato alla Notre Dame della Sarte di Lourdes. Obbligatoriamente vige ancora l’istituto della mezza pensione inaugurato nel 2007 e nessuno più sogna gli indissolubili binomi lasagne-pizza della gioventù. La denominazione alberghiera che avrebbe potuto far presupporre pietanze clericali e geriatriche non smentisce le presupposizioni, e generose fette di baguette sembrano l’unico elemento rafforzativo a disposizione. Ma Rinaldi, scarpe grosse e cervello fino, estrae a sorpresa dal portascarpe sociale olio, aceto e parmigiano di produzione propria che i commensali avidamente si spartiscono per preservarsi dall’inedia. Per i puri di spirito e i duri di palato, il dopocena è dedicato allo sponsor inconsapevole Carpigiani che per due euri e mezzo regala l’ebbrezza dell’isogeusia, cioè l’identità di gusti, nella fattispecie fra vanille e fraise. Anche l’altro sponsor inconsapevole Orangina comincia a placare le munifiche seti degli Empolitour che, così espletati gli esercizi spirituali, possono cominciare a pedalare.

 

 

Limiti di funzione

 

La mente presidenziale più che programmatica è profetica. Talora riesce a concepire i percorsi prima ancora che gli organizzatori del Tour li abbiano svelati. Siccome aveva vaticinato un arrivo a Superbagneres dopo il passaggio sul Port de Bales, i suoi propositi non si sono retratti nemmeno quando il traguardo ufficiale è stato sottoquotato a Bagneres de Luchon. Questo Superbagneres s’ha da fare o oggi o mai, anche perché molti partecipanti hanno un’età che non permette loro di aspettare altri presumibili Pirenei nel 2017. Si può però notare un’evidente anomalia istituzionale. Una tappa del Tour che si rispetti ha un rituale triadico: arsura, gendarmi e attesa interminata. Ferma restando la prima componente meteorologicamente assicurata e trascurando la probabilità di eludere per larga anticipazione gli strali della milizia, la scalata del Superbagneres ridurrebbe l’attesa dei corridori ad un limite teorico tendente a zero, e soprattutto opererebbe una rivoluzionaria commutazione di un lungo pranzo con una lunga salita. Caparrini, che ama le salite ma non le rivoluzioni, ha perciò deciso d’introdurre nel programma una notula di opzionalità che può garantire agli affamati ed ai sibariti il diritto d’attesa di tappa in un ristorante espugnato per cinque ore. Anzi, in corso d’opera e d’arsura si è pure lasciato sfuggire la diseducativa liceità di un Superbagneres interruptus ad libitum. Come dire: partiamo e chi vuole torna indietro quando gli pare.

Con tutte queste premesse siamo già arrivati a Siradan dove si parcheggiano le ammiraglie nel bel mezzo del percorso giallo. Finalmente dopo tanta teoria ha inizio anche la pratica ciclistica e la prima fuga a chiorba bassa di Boldrini annullata dal primo incaglio a croce uncinata presso Mauleon-Barousse. È questo il momento di svelare le proprie identità dopo tanta pretattica perché il Bales è incognito e insignito col marchio di HC, e perché le gambe fremono dopo tanta quiete.

Dopo tempi molto variabili le incognite sulla salita sono risolte ma non quelle sui salitori. Non è chiaro per esempio se il favorito Boldrini, sopravanzato da Cocchetti e Bitossi, si sia risparmiato o sia davvero inane come dice d’essere. Non è chiaro perché Pagni abbia pedalato con una mano sola, telefonando fino ad esaurimento di campo. Non è chiaro chi sia il fin de montée perché Lisi arriva dopo un’ora quando però le sorti di Vezzosi sono ancora molto dubbie. E non è per niente chiaro quanti sedicesimi di plotone affronteranno il secondo HC alle 13.30 e 30 gradi all’ombra.

Le decisioni pullulano e rampollano sotto un tiglio di Luchon nell’attesa di Pagni che ha ritrovato il campo. L’arconte senza remore si nomina capo della fazione dei ristoratori che in principio annovera il solo Vezzosi, inopinatamente ornato di Bales, ma che è prevedibilmente destinata a rapida espansione.

La via di Superbagneres è lastricata di buone intenzioni e di cattivi ciclisti obnubilati dalle subitanee insidie di fame e arsura, e dall’inopportuno lodo presidenziale sull’impunità per inversione di marcia. Lo stesso Caparrini vacilla, e non solo in senso somatico, rendendo facile la risoluzione del primo retroversore Lisi che tocca e fugge. Un incidente vescicale porta ad un’altra dolorosa rinuncia. La Bertelli, appartatasi in un privato cortile per una pausa minzionale, quando si ricompone trova il solo cavalier Seripa ad attenderla e lì per lì non gradisce molto il trattamento, tanto da lanciare accorati epiteti di castrazione verso tutti gli orinatori ortostatici. Poi più che l’ira poté il digiuno. E ormai coinvolto suo malgrado nella solidarietà femminina anche il malcapitato Seripa è costretto al terzo ritiro. A questo punto il quarto uomo avviato alle lusinghe del ristorante si potrebbe pescare da un mazzo ristretto di sagome caracollanti e riarse. Fugaci tentazioni balenano negli animi dell’ingobbito Giunti, del cinturato Ulivieri, del raccolto Alotto, dell’indurito Chiarugi, del contratto Muritano, del madido Caparrini o dell’atavico Rinaldi. Molti ripongono la loro pavida svolta in quella altrui: il primo che scende rischia di trascinare a valle una concatenazione d’incerti. Ma quando nella Vallée du Lys s’ode risuonare un ululato di fame seguito dalla discensione del patriarca Nucci, s’accende un lampo d’orgoglio collettivo che sortisce l’effetto opposto. Per inasprire il sapore dell’onta nella vorace gola del trepido Nucci nessuno è più intenzionato a desistere. Anzi, la contezza della sua resipiscenza infonde accessorie energie per completare la cottura di Superbagneres dove, in barba ai ristorati di Luchon, i tachicinetici Cocchetti, Bitossi e Boldrini stanno già presidiando un baretto con televisore acceso sulla tappa.

Se non fosse per l’assalto alla Boutique Officielle, sostiene Caparrini, vi si potrebbe pure stazionare fino all’ultimo ma l’ortodossia ne scapiterebbe. E allora, un’ora, dieci litri e tre foto dopo, i dieci probi calano fieri in mezzo ai fasti dell’arrivée, in tempo per afferrare qualche cadeau della carovana pubblicitaria e per espletare qualche incauto acquisto ufficiale, come il telo balneare da 40 euri.

Le due fazioni si uniscono visivamente alla flamme rouge ma restano contrapposte da tre metri severamente incalpestabili di carreggiata. Oltre ad un duplice filare di gendarmi aggiogati si notano cecchini appostati sugli alberi per dissuadere ogni attraversamento. Pertanto i dieci reduci di Superbagneres dalla rive droit possono soltanto additare i sei sibariti sulla rive gauche che, dopo avere perduto una salita, perdono anche i tonitruanti commenti alla tappa dell’opinionista Boldrini.

La visione ortodossa della tappa è sfrecciante e ansiogena perché dopo Voeckler e qualche gruppo di vip Caparrini vorrebbe ricondurre tutti alle macchine. La cena infatti è geriatrica pure cronologicamente e scade inderogabilmente alle 20, ma la via di fuga si trova sulla rive gauche. Si prospettano varie soluzioni.

Attraversare. Significa aspettare il fin de course e rinunciare alla cena, anticiparlo e cenare in carcere, oppure risalire la corrente sperando in un mite gendarme o in un sottopassaggio.

Rinunciare. Molti sono disposti a pagare una quota suppletiva per arrivare dopo l’ora di scadenza e cenare con tardivo e gradito binomio italico. Il solo Nucci è disposto a cenare in luride vesti per anticipare la scadenza rinunciando alle docce e ricevendo il ventunesimo veto in altrettanti Tour.

Telefonare. Pagni, che ha imparato ad usare forchetta e coltello con la stessa mano, lo sta facendo ininterrottamente dall’ora di pranzo. Ai fini sociali Caparrini lo fa con toni supplici ottenendo una misericordiosa proroga dell’albergatore

Non tutti però si rassegnano alla cena ritrovata e tentano di boicottare anche la proroga, ma né l’occultamento telefonico di Pagni, né la foratura di Lisi, né l’incaglio uncinato al casello provocano ritardi propizi. Alle 21 in punto le cucine della Notre Dame de la Sarte rinfrancheranno degnamente i ciclisti con potage, timballo e porziuncola di dessert.

 

 

Equazioni differenziali

 

A fornire un nesso narrativo tra la prima e la seconda tappa ci pensa Lisi che aveva terminato con una foratura e ricomincia dopo dieci metri con un medesimo evento esplosivo. Siamo alla partenza per le morbide cime di Soulor e Aubisque, colle uno e bino che in teoria non dovrebbe creare fazioni o percorsi differenziali. I sedici sembrano unanimi fin dal prologo di pista ciclabile ove Rinaldi, in quanto dotato di voce più stentorea, funge da segnalatore d’insidiosi paletti restringenti.

L’unanimità ovviamente si dissolve sul primo metro di percorso giallo con la progressione dei quadrunviri Cocchetti, Bitossi, Boldrini e Nucci. Gli inseguitori compongono per aggregazione gravitazionale uno sciame multietnico guidato da Pagni, che accelera tra uno squillo e l’altro, e dal nobile decaduto Chiarugi intento alla lettura. La strada infatti è un lunghissimo papiro che si srotola e si stinge sotto migliaia di ruote con migliaia di dediche gialle e geometriche ai malati di cancro.

Quando il furgone scriba viene sorpassato e un velleitario gendarme eluso, le gerarchie sono ristabilite e i fascioni ingialliti. Cocchetti irride nuovamente Boldrini sul Soulor, Chiarugi ritrova il ritmo e Pagni la linea. Ulivieri sorpassa molti mammiferi appartenenti al suo stesso ordine, ed anche più zavorrati di lui. Alotto se la gioca alla pari con molti suoi simili podisti e pedoni, compresi due quadrupedi. Cronometro alla mano, se si esclude l’eternità che ci separa da Lisi e Vezzosi, i distacchi sull’Aubisque dovrebbero essere contenuti. E invece dopo un’ora da Cocchetti si danno per dispersi pure Alotto, Muritano, Pagni e Ulivieri.

Sull’Aubisque l’arsura è moderata e mitigabile da copiose riserve d’Orangina e i gendarmi sono pochi e mansueti. L’unico canone trinitario da soddisfare è pertanto l’attesa plurioraria della tappa che nella sua preannunciata irrilevanza è pur sempre un dovere programmatico. Ma mentre si profila tra gli Empolitour un’altra visione bipartita, suscita scalpore la decisione di Chiarugi che durante le ricerche dei dispersi viola il suo ruolo istituzionale fuggendo, si opina, dalla misteriosa dama bianca.

Stavolta le due fazioni sono separate dal panoramico Cirque du Litor, quella del presidente è sull’Aubisque in cerca d’ombra, quella dell’arconte è sul Soulor in cerca di campo e paella, ed è frequentata da tutti quelli, come Muritano e Vezzosi, che pur ligi al dovere dell’insignificante tappa vogliono evadere in maniera più precoce e solerte. I puri seguaci del presidente completano invece le cinque ore contrattuali seduti su un paracarro presso un simbolo fallico, constatando che effettivamente il passaggio della corsa è poco emozionante ma che la scarsa attrattiva dell’evento li ha resi incontrastati accaparratori di cadeaux pubblicitari, tanto da empire varie gerle sociali anche con generi alimentari non disdicevoli in vista della temibile cena.

La precocità del Tour non ammette infatti speranze di commutazione ristorativa, e all’apertura delle cucine gli Empolitour sono già schierati ai deschi per mestolare mestamente nelle pignatte di potage coi rumaioli. Dopo un languido sformatino ed una banana, una ciurma di rivoltosi capitanata da Boldrini si reca nell’adiacente pizzeria dell’Ardiden, palcoscenico di nostalgiche cene binomiali, ove a tarda notte riuscirà a conquistare qualche rondella d’italico monomio. La nostalgia anima anche il gruppo meno sovversivo dei patriarchi che per riequilibrare le calorie perdute vuole rivivere la primordiale esperienza della cosiddetta intascata conquistando un bottino d’evanescenti ma costosi gelati, rappresentati nella loro ontologia dalla fatua e misteriosa Dame Blanche.

 

 

Integrali indefiniti

 

Questi vani tentativi d’ipernutrizione erano indotti dal timore reverenziale nei confronti del Tourmalet, ma il cielo del risveglio è di quelli che tolgono ogni residuo appetito. Un grigio umidore vela malinconicamente le aspettative dell’ormai abitudinaria calura pirenaica con l’asfalto in liquefazione. Il presidente ora è costretto a frenetiche passeggiate fra gineprai e carpineti decisionali, con rapide diuturne occhiate agli aruspici celesti. L’ultima pioggia pirenaica risaliva a Guzet Neige del 1995 ma allora c’erano solo quattro teste da concertare. Caparrini però sa che nell’attuale quadruplicazione di pensieri c’è un importante elemento di semplificazione, l’assenza di tappa e quindi di canone triadico. Senza arsura, gendarmi e attese il Tourmalet può essere dilazionato quasi indefinitamente, o perlomeno fino a poche ore prima del tramonto che qui a Lourdes è di per sé posticipato. E se pure la decisione si protraesse in prossimità del chiaro di luna, il presidente avrebbe in serbo e in subordine il più vicino Hautacam, pur di non perdere una salita con lo stemma HC.

Detto così sembrerebbe un preparativo pacifico con qualche scrutatina alle nubi e qualche capatina per strada, ma l’Empolitour ci ha abituato ad incontrollabili deviazionismi anche in situazioni ideologiche più lineari ed elementari. Dagli attendisti caparriniani si separano infatti tre branche di pensiero e azione.

I desistenti. Ulivieri ragiona col criterio del parallelismo geografico: fare a Lourdes ciò che avrebbe fatto a Empoli a parità di clima, cioè rimanere a letto. Vani sono i tentativi di convincerlo ad usare la sua famosa incerata pelvica.

Gli ostinati. Alotto è disposto a scalare il Tourmalet anche sotto l’acqua perché è esordiente e forse ignora le discese bagnate o perché è podista e forse ha i mezzi per salire e scendere anche senza bici. Boldrini è disposto a scalare il Tourmalet anche con calzamaglia e giubba invernale, ma quando scende nella hall così conciato viene assediato da un misto di sberleffi e reprimende che lo fanno ripiegare sull’attendismo.

I definitivi. Clamorosamente un’intera ammiraglia si ritira dal Tour: Pagni perché ha esaurito il credito telefonico, Lisi e Vezzosi perché hanno esaurito le gambe, Muritano perché ha esaurito la voglia, anche se i più maliziosi lo accusano di concussione in quanto incaricato di servizio di guida.

La maggioranza degli attendisti, che gradualmente ingloba gli ostinati, alla fine è premiata dalla tergiversazione perché in meno di due ore scioglie la prognosi: si parte e si starà a vedere. La prima ottimistica osservazione è l’asciuttezza della pista ciclabile anche se dopo le beffe del completino invernale Boldrini subisce il danno della carambola sul paletto nonostante le stentoree segnalazioni di Rinaldi. La seconda è la lenta e inesorabile concorrenza di ciclisti eterodossi per convincerci che il Tourmalet con questa pioviggine non è il gesto isolato di un gruppo di folli.

La scelta dell’Empolitour di anticipare il Tourmalet di un giorno rispetto al Tour è palesemente copiata in tutto il mondo ciclistico e automobilistico, con tanto d’incagli uncinati che sembrano profetici. Da Luz Saint Saveur inizia l’ascensione alle nuvole. L’appagato Cocchetti non belligera e scorta il presidente. L’illocalizzabile Bitossi persevera nella localizzazione anterograda con Nucci. Chiarugi si sforza di studiare da vicino la colliquazione dell’intabarrato Boldrini. Bertelli abbandona Seripa e acquisisce lombalgie. Alotto insegue Giunti, e Rinaldi insegue il titolo di fin de course et de Tour dopo il ritiro dei principali favoriti. Al postutto sembrano storie d’ordinaria salita che però approssimandosi al suo desiderio diventa straordinaria.

Il vapore prima impalpabile prende forma di tenebra che si ammanta e si condensa sui corpi caldi dei ciclisti, privati della visuale sul mondo e imbevuti di sana fatica che mescola sale esocrino con brumosa rugiada. E dopo un lavacro di silenziosi chilometri, vagando fra sagome sbuffanti, camper spettrali e pittori d’asfalto, la pelle s’asciuga e lo sguardo si posa in basso su una nivea coltre che custodisce per chi ha meritato d’attraversarla la ricompensa di un tenue e fugace spicchio di sole sulla vetta. Sarebbe il momento d’assaporare questo idillio contemplandolo dall’alto dell’agognato colle, se quest’idea poetica non avessero avuto altri cento ciclisti assiepati attorno al cippo per festeggiare il compleanno del Tourmalet.

La foto segnaletica sotto il cartello, che potrebbe diventare l’icona di questo Tour, non è né troppo intima, né troppo unanime, perché bisognerebbe allestire una catasta per inquadrare tutti gli undici degni di posa. Allora le celebrazioni conclusive sono rimandate a Saint Marie de Campan, dopo l’agghiacciante e indefinita perforazione della nube che cinge d’alloro il Pic du Midi. Prima d’avviare la cerimonia Caparrini per dovere istituzionale ricorda agli astanti che il programma offriva un’altra proprietà commutativa di una mensa con un Col d’Aspin, ma i ciclisti in questo unico frangente evidenziano immediata concordia per la pizza. Il presidente capotavola benedice i tranci di adeguata ampiezza. Più tardi Lourdes per sancire religiosamente la fine del Tour aspergerà le teste dei sopravvissuti con la pioggia promessa.

 

 

Calcolo infinitesimale

 

I sesti Pirenei meritano una breve e declamatoria postfazione che in sei righe concentra quindici ore spese ad inseguire il sole, i bilanci, i ricordi e un bar italiano per vedere la tappa del Tourmalet dopo la spettacolare ricognizione. Sarà classificato negli annuari come un Tour senza massimi e minimi ma con tante salite, tanti partecipanti, poca arsura, pochi gendarmi, poco cibo e poche spese sociali, quelle che il supremo contabile s’ingegna a vergare sul suo manoscritto dilavato e graffiato, unico archivio vero e reale di un ventennio di memorie. Le sue pagine bianche da riempire contengono già le tracce del nostro futuro.

 

Fototour