Tour 2005

9-13 luglio

 

 

Il Tour dei primi Vosgi

 

Dirò dei miti Vosgi senza cima

cosa non detta in prosa mai né in rima.

 

Alpi o Pirenei: tertium non datur. Per quindici anni il verbo dell’Empolitour si è incarnato in questo postulato aristotelico. Il tertium, ovvero i Vosgi, più che una scelta filosofica rappresentava una minaccia del presidente Caparrini quando viveva nella dimensione di beata bradicinesia e bramava una riposante villeggiatura fra i Ballons alsaziani.

Le più alte vette europee da conquistare e riconquistare sono riuscite a reprimere questa minaccia fino ai giorni nostri, e Caparrini nel frattempo è cresciuto d’atletismo senza perdere peso né brama di Vosgi. Poiché l’orogenesi francese è terminata da secoli, come pure la fantasia del demiurgo Leblanc, quando fu prospettata un’onesta tappa tra i Ballons, l’Empolitour vi aderì con voto unanime. Anche gli antichi detrattori dei Vosgi capirono che, al di sopra delle fredde nubi alpine e ai confini dei roventi soli pirenaici, i ricordi erano già costruiti, ma che forse anche a quote e pendenze meno vertiginose si potevano riempire d’indelebile ciclismo altri ricettacoli della memoria.

Nacque così questa sedicesima spedizione al Tour de France, divisa fra la misteriosa Thann e la reiterata Annecy che il presidente volle riscegliere nonostante l’apparente estraneità alle tappe del Tour, tanto per non esagerare troppo coi luoghi inediti e così bagnarsi in attraenti luoghi e laghi comuni.

Le adesioni pronte e convinte dimostrarono una cieca e rinnovata fiducia nell’enciclica presidenziale, e siccome i partecipanti sono come i colli del Tour, cambiano per disposizioni e combinazioni ma sono sempre gli stessi, ecco che al Tour 2005 ricorrono gli uomini e la donna del 2002 e cioè, per i pochi fra i venticinque lettori che non se li ricordassero, Caparrini, Nucci, Chiarugi, Bertelli, Bitossi, Giunti e Cerri, in ordine di fedeltà. E negli ultimi due giorni alpini si aggiunge un esordiente, quel Marforio già reduce del Giro delle Finestre, che entra nella ristretta elite dei ciclisti capaci di bissare Giro e Tour nello stesso anno, pur senza ambizioni di classifica come il suo tecnico e mentore Caparrini, al quale però spetta il compito più gravoso di organizzatore, coordinatore, tesoriere e depositario con obblighi di adempimento della Sacra Scrittura del Programma.

 

 

Lunghi e duri solo i nomi

 

Ma nel cuore nessuna croce manca,

né la vil carne avvolta in pasta bianca

 

Comunque la si voglia leggere, al Tour si va per pedalare e mangiare, nel rispetto del Programma: tertia non dantur. Non sono incoraggiate, se non proprio vietate, attività collaterali come visite a musei o cattedrali. Così, sbarcati a Thann, gli Empolitour non sapranno mai a quale santo sia votato il cupo e solenne edificio in stile gotico che sembra più alto di tutti i Vosgi messi insieme. Non sapranno mai che quella è la collegiale di St. Thiebaut (Sant’Ubaldo) ove è custodito un pollice del santo, uguale agli altri due del protettore di Gubbio che per questa condivisione di santo si merita un gemellaggio con Thann.

Come appuntamento religioso il Sacro Programma prevede invece la scalata dei teutonici colli Herrenfluh e Silberloch, secondo la tradizione in vigore solo da questo secolo dei colli pomeridiani post itinerem. Ci abbiamo messo qualche mese per imparare i loro nomi e per questo sono molto attesi, ma la segnaletica non menziona nessuno dei due, bensì un impronunciabile Hartmannswillerkopf che a dispetto del nome è breve e dolce, e culmina in una necropoli di trentamila soldati della Grande Guerra. Senza vittime è invece la simpatica e ombrosa salita che rompe il primo afflato di Vosgi e ci prepara ad un ordinato silenzio di croci da meditare. Prima però si era svolto un preludio di agone intrasocietario fra i cinque rappresentanti dell’Empolitour pura e i due della corrente Empolitour dell’Integrateam (Bitossi e Cerri). Ma è solo un espediente per vivacizzare la brevità del giro e per guadagnarsi la cena che, come recitano le Scritture, sarà “a base di specialità alsaziane”.

Qui la parola di Caparrini si fa dogma, anzi è proprio lui in primis ad onorare il Programma ordinando, e tacitamente obbligando gli altri a seguirlo, un bella porzione di fleischnacka che la dolce cameriera gli ha descritto con suadenti parole. All’occhio sembrano due Girelle Motta con un tristo scolo di liquame, al tatto sono di consistenza gommosa, all’olfatto sanno di lesso, al gusto sono sul punto di essere sputate dal compito Caparrini che si trattiene per educazione. Sembra andar meglio a Giunti con la seconda specialità alsaziana, la programmatica flammekueche, perché c’è anche la foto sul menu ove appare prosperosa. Sennonché la rendono talmente flambée da farla somigliare ad un sottile tizzone circolare farcito di lardo. Nei piatti d’origine rimarrebbero dunque circa sei settimi di specialità alsaziane se non fosse per il tollerante e parsimonioso Chiarugi che, in virtù del principio che i ristoranti non rimborsano gli avanzi, si mangia la sua fleischnacka più quelle degli altri, bramosi di rivincita calorica col dessert. Gli unici esercenti di Thann autorizzati dopo le 22 a servire dolciumi sono due ragazzini che nella pubblica piazza preparano crepes su una rovente incudine con la perizia di un taglialegna. Ed è superfluo aggiungere che gli Empolitour conclusero la cena alsaziana con un dessert d’acqua della fontana monumentale di St. Thiebaut.

 

 

Il ballo dei Ballons

 

Conquistano così il Ballon d’Alsazia

e cena che alsazian non è ma sazia

 

Il fallimento della gastronomia alsaziana può essere addolcito a colazione. Rimane da giocare la carta del kougelhopf che l’enciclica caparriniana descrive “a base di farina, burro, zucchero, uova, latte, mandorle e uva sultanina". Una fetta di materia così congeniata sembrerebbe dare autonomia per tutti e quattro i Ballons da scalare. Invero, somiglia ad un piccolo pandoro con un’uvetta ogni sessanta gradi sessagesimali di fetta, ma è gradevole ed abile all’inzuppamento, ed è incettato da sei settimi dei pretendenti, in parti diseguali perché il presidente, noblesse oblige, si arroga il diritto a tre fette. Si esclude volontariamente dalla spartizione il solo Bitossi che è leader indiscusso della progettazione di colazioni alternative. Non disponendo di fette biscottate da impilare a torrione, egli sperimenta il riempimento di una gamella con un nucleo di prugne e due strati di yogurt bianco e rosso allo stato di magma freddo, Calcolando i tempi di transito gastrointestinale di un gel iperdenso, tale composto dovrebbe avere effetto all’incirca sul culmine del Grand Ballon, il vosgo più alto di questo primo giorno di vero Tour.

L’Empolitour è nel Tour risalendo il corso della Thur, che scorta il gruppo dopo una breve presentazione del giorno prima. La liturgia della sfilata lungo il percorso di tappa con le frecce gialle è rispettata, anche a costo di inviluppare due anelli incernierati lungo un interessante tratto di statale n.66, da percorrere due volte per incontrare due volte i tifosi standard del Tour già assiepati al sole sei ore prima della corsa. Il tifoso standard anche qui in Alsazia è un grande o un piccino seduto ad un tavolino da picnic che acclama fragorosamente ogni forma di vita ciclistica che gli passa davanti, come se fosse la tete de la course o la maillot jaune, e non sai mai se lo fa perché ama le bici con incondizionato ardore o perché ti sta pigliando per il culo. Il tifoso vosgiano è ancor meno esigente di quello alpino o pirenaico. Poco gli importa di vedere il Tour in salita, perché sa che da queste parti la differenza tra salita e pianura è molto sfumata. Lo dimostra il nostro Grand Ballon che possiede una strada come una pista d’atterraggio e ci fa decollare con estrema pacatezza, creando una blanda selezione fra la tete de la course composta da Bertelli, Chiarugi, Giunti e Nucci, e i poursuivants, Bitossi, Caparrini e Cerri.

Fa più selezione la colazione. A Le Markstein, con cinque chilometri d’anticipo sui tempi intestinali previsti, il magma ingerito da Bitossi ha effetto dirompente e lo costringe all’affannata ricerca di un reconditorio. Il successivo colle di Bussang riesce addirittura a migliorare le controprestazioni del Grand Ballon: è più basso, più largo e meno inclinato. Ci vuole meno tempo a scalarlo che a fotografarlo o a cercare un recesso minzionale per la Bertelli che in sei Tour non ha ancora imparato a farla in piedi.

Il Ballon più autorevole è quello d’Alsace, dove il Programma ha decretato il quartiere di tappa dell’Empolitour. Qui si respira la vera folla del Tour insieme a soffritti e sudori germanici. Infatti nella fauna stanziale e in quella pedalante sembra prevalere la stirpe alemanna su quella gallica. Ma il Tour è comunque una commistione di idiomi e idioti. Fra i meteci, noi sette italici siamo gli unici che saliamo senza mai fermarsi e soprattutto senza portare zaini in groppa. Finalmente si cominciano a durare le prime fatiche, un po’ per i novanta chilometri in ogni modo percorsi, un po’ per le acrobazie necessarie tra i pedoni allo stato brado. Chi arriva agli ultimi due chilometri coi riflessi stanchi soccomberà con la ruota tra le natiche di qualche tedescona.

Il vincente che non t’aspetti è l’attendista Giunti che per anni ha patito lo scorno accanto alle turbolenze di Caparrini o alle logomachie della Bertelli e oggi si toglie la soddisfazione di primeggiare sul GPM più antico del Tour. Dietro di lui magicamente appare l’illocalizzabile Bitossi che di norma senza il numero sui lombi raggiunge maestosi livelli d’indolenza. Stavolta invece, nella tappa simbolica di questo Tour, egli lascia a Caparrini l’onore di riconquistare il suo atavico ruolo di fin de course, pur senza quelle belle mezzore di distacco di un tempo. Pure la carovana pubblicitaria e i corridori arrivano con diseducativa sollecitudine. Abituati a cinque o sei ore roventi o glaciali, queste misere due a meriggiare sotto l’ombrellone volano via veloci come lo scheletrico Rasmussen che scollina per primo. Più veloce di tutti lo vedono Nucci e Bertelli appostati contro natura in discesa, e per questo meritevoli di sottintesa reprimenda presidenziale. Come lo è Chiarugi che, passata la tempesta, fugge da solo in albergo scavalcando il colle postumo di Hundsruck senza fermarsi per il rito antico e accettato della foto al cartello. Nucci invece cerca riabilitazione rispettando il rito della tenzone con eterodosso zavorrato, dalla quale esce vittorioso per pochi litri d’acido lattico.

Ma un rito ben più antico e ben più accettato sarà officiato a cena da Caparrini che celebrerà la fame di 125 chilometri, divenuti miracolosamente 138, con l’indissolubile aureo binomio lasagne-pizza, in un tipico locale alsaziano denominato La Romantica gestito da un ricciuto che s’intende d’essere italofono e juventino e che nel menu offre perle d’ortografia come “pizza quattro straggioni”, “osso bucco” o “carbonnarra”. Il presidente, col suo metodo di taglio centripeto della pizza, che vanta numerosi tentativi d’imitazione, riesce a dimenticare la malnutrizione della fleischnacka e si satolla di vero cibo al pari degli apostoli a lui fedeli. Mentre Nucci e Bertelli, dopo la visione in discesa, perseverano nell’illecito con un raccapricciante macinato di carne cruda.

 

 

Dai Vosgi alle Alpi

 

Dopo un mattin sereno ma presago

a passi tardi e lenti vanno al lago.

 

Ubriacati dallo spirito del Tour e del riesling, con le gole otturate dal kougelhopf, gli Empolitour si preparano a vivere un giorno di riposo fra i cuscini dei Vosgi, prima di abbandonarli per l’antica e accettata meta di Annecy.

Il settimo e ottavo vosgo si chiamano Oderen e Bramont e come gli altri sei non ci promettono nostalgia del San Baronto. Ora si capisce anche che Bitossi e Cerri quando non c’è la tappa sono più mansueti e si vestono da Integrateam, pur sempre senza disdegnare ingiustificabili orpelli come manicotti e farsetti. Ma regola ben più grave viene infranta dalla Bertelli che, approfittando di un momento di distrazione del presidente, si reca a visitare il pollice di St. Thiebaut con uno stuolo di peccaminosi tra cui il presidente stesso che però ha potere legislativo ed esecutivo e può fare e disfare le regole a suo piacimento.

Per la quinta e non ultima volta il gruppo sfila lungo la rutilante statale n.66, accompagnato dall’invisibile Thur. Per la terza e non ultima volta la Bertelli fa notare una rottamata Diane riempita di varie verdure. La mancanza di pubblico plaudente è compensata da altri fedeli amici dell’Empolitour, autotreni, autosnodati e autoarticolati che purtroppo ci abbandonano dopo dieci chilometri diretti al confacente Col de Bussang.

Un preoccupante silenzio s’insinua tra le bici nella frescura dell’Oderen. È il momento di lasciare libere le gambe e i pensieri. Ci si chiede, per esempio, perché in questo trittico vosgiano Nucci non abbia mai imposto una delle sue demenziali soste-Pagni nei primi dieci chilometri. Poi si capisce quale altra interposita mora sia più lunga e perniciosa: la foto unanime sui colli. Un rito antico (ma non troppo) e accettato (men che meno) che in questo Tour ha quadruplicato i tempi morti, semplicemente perché ci sono quattro macchinette da sfamare, e non sempre si trova subito il fotografo, e quando lo si trova bisogna addestrarlo a quattro diverse tecnologie di scatto, e naturalmente il primo scatto non è mai quello buono. Sull’Oderen l’unico reclutabile sarebbe un boscaiolo che s’ode lavorare di sega elettrica nella lontana foresta, ma nessuno, nemmeno la Bertelli, osa chiamarlo, sicché le quattro foto perdono un settimo d’unanimità di colui che si sacrifica dietro l’obiettivo. Peccato che nessuno abbia pensato a scattare 28 foto con 7 diversi operatori per ogni macchina.

Con sollievo scopriamo che la discesa nella valle della Moselotte ci ricongiunge coi nostri amici Tir e che in compenso la salita del Bramont non arriva mai. Eppure, sostiene Caparrini, ieri al Tour era un GPM di terza categoria che tradotto in italiano significa un Cerreto Guidi. Qui per davvero si ascende senza salire e quando finalmente arriva la segnaletica del colle mancano tre chilometri, tirati allo spasimo da un’inquieta Bertelli. Anche Caparrini ha intenzioni serie, ma sul più duro, quando si trova alla ruota del rampante Giunti si ferma da buon Garrone a raccogliergli il portafoglio caduto per strada, mentre il Franti-Chiarugi faceva finta di non averlo visto.

L’ottavo e ultimo vosgo è così compiuto e immortalato in quadruplice copia, dopodiché si risalutano frettolosamente, perché in leggera discesa, la Thur, i Tir e i carciofi nella Diane.

Addio Vosgi non sorgenti dall’acque e non elevati al cielo, noti a chi è cresciuto tra voi e impressi nella sua mente, ora non meno che a noi che vi abbiamo otto volte valicato e sei volte solcato nella vostra doviziosa statale. Addio, abbandoniamo il languore dei vostri boschi e della vostra fleischnacka, abbandoniamo la leggerezza dei vostri pendii e del vostro kougelhopf per ritornare sulle adusate cime alpine, quelle sì impresse nella nostra mente non meno che lo sia l’aspetto dei nostri più familiari.

L’accoglienza savoiarda è davvero familiare, calorosa di un calore fumigante: tre chilometri di marmitte sbuffanti in stasi che tentano l’ingresso in Annecy su un interminabile viadotto alla media di 3 Km/h cosicché Nucci scende e stacca tutti a piedi. Caparrini annota un topos letterario dell’Empolitour che per 16 anni era stato sviluppato soltanto sotto l’aspetto teoretico: l’incaglio a croce uncinata.

L’esordiente Marforio sta attendendo con ansia all’Auberge Chuget per partecipare alla cerimonia d’iniziazione che si terrà nella solenne atmosfera della Rive Gauche. Trattasi di una bettola da angiporto situata sulla sponda sinistra di un canale di scolo del lago di Annecy. Dal 1998, da quando saziò di aureo binomio il presidente e i suoi due unici fidi accoliti, è diventato il ristorante feticcio (e così lo definisce anche il Programma) dell’Empolitour. In sette anni chissà quante volte avrà cambiato gestori, camerieri e cuochi, ma il presidente dopo quella prima illuminazione nutritiva lo ha eletto ad immutabile archetipo di catarsi gastronomica, ove purgarsi dai nocumenti delle specialità locali. Si vocifera che abbia scelto questa macchinosa sede di Annecy con l’unico scopo di cenare nel tempio primigenio del binomio aureo. Ad onor del vero, Caparrini in questo frangente viola il dogma dell’indissolubilità del binomio lamentando un principio di sospetta sazietà che avrebbe potuto inficiare il metodo di taglio della pizza, dopo la drammatica esperienza di fallimento del 2002. Ma alla fine come tutti i cerimoniali officiati secondo il rito antico e accettato, il presidente benedice gli astanti con un rigoglioso Carpigiani double che solo lui e il chierichetto Chiarugi sono degni di degustare nella sua soffice uniformità organolettica. Coloro che disonorano lo sponsor inconsapevole con un blasfemo gelato artigianale si fregeranno di una menzione indelebile nel registro dei castighi e si rivolteranno nel letto sognando i gendarmi di Courchevel.

 

 

Courchevel, le retour

 

Gendarmi fiere crudeli e diverse

e il senno che qualcun due volte perse.

 

Tradizioni, riti, liturgie, ripetizioni, manie: molta parte del futuro dell’Empolitour è già scritto negli annali. Anche questa tappa Albertville-Courchevel-Albertville fu scritta nel Tour 2000, il primo della Bertelli e l’ultimo di Pantani, e Caparrini cercherà di riscriverla fedelmente, cominciando dal parcheggio alberato di Albertville per finire col cibo anticiclistico di Courchevel; tutto deve essere come prima, così quando saremo seduti sulle panoramiche malghe, immagineremo apparire dietro la curva una maglia rosa con le orecchie a sventola che stacca tutti.

Ma le novità, oltre a Bitossi, Cerri, Giunti e Marforio, irrompono fin dai primi chilometri. Lavori in corso, per esempio, che costringono a passeggiare tra ruspe e stradini per non deviare dal percorso programmatico; poi l’incognita di Bitossi che per sua indole è sempre altrove e introvabile; e variazioni imprevedibili, come quella di Aigueblanche, dove Nucci impose una delle sue soste-Pagni demenziali, e che oggi invece è passata inosservata, con unanime sollievo.

La salita sta per cominciare, sei ore prima di Armstrong, se non ci ha fermato la fame nucciana, tutti pensano, non ci ferma più nessuno, come nel 2000. Ma ci aspettano altre novità. Bitossi intanto riappare quando nessuno più l’aspettava. Ed è pure incazzato. E si mette a tirare come se avesse il numero cucito. E siccome porta lo zaino, nessuno si vuole far staccare da lui. Le pendenze sono vosgiane, ma Caparrini ammonisce che è salita vera, e così dicendo si defila. La Bertelli lo imita mentre cerca qualche malcapitato eterodosso da abbordare. Ne trova uno ad hoc che pedala trainando un carretto con un cane vivo, ma un rigurgito di decenza le vieta di rimanergli accanto. Si affianca invece a Marforio e lo ostacola fino ad impedirgli di vivere un momento di gloria coi fuggitivi, poi si stufa anche di lui e lo cede all’ansimante Caparrini. Dal gruppo di testa intanto indietreggiano Cerri e Giunti che comunque sono sempre più veloci degli eterodossi con zaino.

L’ortodosso con zaino continua invece a mietere avversari, prima Chiarugi e poi Nucci, ma il fumus agonisticus gli fa sbagliare strada, imitato dal pedissequo Nucci. A quattro chilometri dalla sommet Chiarugi perciò si trova meritatamente in testa e mantiene la lucidità necessaria per capire il tranello dei gendarmi. C’è un caotico posto di blocco della gendarmerie che convoglia la folla pedalante nel paese di Courchevel dove in un labirinto di vie a fondo cieco finiscono per vagare i ciclisti più ingenui e obbedienti. Chiarugi invece adocchia la retta via e con Nucci rompe il posto di blocco ma non l’ultimo baluardo costituito da un pertinace agente che li insegue a gambe levate. Inizia uno degli sport preferiti dall’Empolitour: il contenzioso coi gendarmi. Nucci non concede preamboli e, brandendo la bici a due mani, tenta di scagliarla sul vociante milite che sta per impugnare l’arma, onde sopprimere per legittima difesa il nostro segretario visibilmente fuori di senno. Alla fine prevale la mitezza di Chiarugi e Bitossi che lo ammansiscono e riescono a trovare una via legale per l’aggiramento dell’ostacolo che, per buona pace con la giustizia francese, si rivela l’unico veramente invalicabile. Le altre camicie celesti, o fanno finta di niente o fanno procedere dietro le transenne, tanto che si riesce a percorrere l’intera route fermé con pochissimi episodi di piede a terra. E la soddisfazione è ottupla, perché tutta l’Empolitour atterra fiera e compatta a cento metri dall’aeroporto-traguardo di Courchevel.

È l’unico arrivo di tappa di questa edizione ed esige l’assalto alla boutique du Tour, altro rito antico e accettato che il presidente soleva celebrare con saccheggio senza rivali. Ma l’allievo Cerri, che in tre anni di Tour aveva praticato questa attività mercimoniale seguendo perinde ac cadaver i precetti e le mosse del venerabile Caparrini, riesce a prevalere nettamente sul maestro con un capiente bottino di cento euri.

Il pasto a base di panini con troiai mantiene lo standard del lustro prima, mentre l’attesa della corsa si svolge ancora una volta in un clima di diseducative mollizie. Un tempo eravamo per cinque ore abbandonati alla natura selvaggia, bevevamo ai rivoli di scolo, ci riparavamo dalle tempeste con un telo di nailon, mendicavamo alle rocce ed alle auto in sosta una misera ombra, ci facevamo scudo l’un con l’altro contro il vento e con unghie e gomiti conquistavamo rari cadeaux della carovana pubblicitaria. Ora siamo alla dolce vita. In vetta s’incontra il camper dell’ancestrale socio Magnani che ci ospita, ci rifocilla e offre gambali per le preziose cosce della Bertelli. La carovana pubblicitaria sembra addirittura salire apposta per noi: basta allungare le mani che te le ritrovi piene di bottigliette, cappelli, portachiavi, ciondoli, salamini, salatini, caramelle e l’imperdibile Journal du Mickey. Forse però la novità che notano tutti è che prima passava un uomo solo al comando, ora ne passano quattro, veloci ma più lenti di lui che li precede nei ricordi e nelle emozioni.

Passa la tappa del Tour ma non quella dell’Empolitour che è ancora a metà. Sono trascorse nove ore dalla partenza ed ora vorremmo essere all’albergo in due, altrimenti, come è scritto nel Programma “qualcuno comincia a ululare dalla fame”.

Secondo la critica, un grave errore che guasterà la pax socialis della serata è quello di cedere a Magnani tutto il pesante fardello di cadeaux come pegno per i gambali della Bertelli. Il perché è presto detto. Tutti sanno che la fame ululante nucciana è un altro topos letterario dell’Empolitour, non solo teoretico, ma tristemente pragmatico, allorché il famelico segretario supera senza cena la soglia di continenza delle ore 20.00. Tutto il ritorno si svolge con eccellente efficienza di pedalata e di trasbordo automobilistico ma, ahinoi, alle 20.00 siamo ancora in viaggio e Nucci non ha commestibile a portata di fauci. Ecco l’importanza dei cadeaux che con salatini e salamini sarebbe stato un ottimo calmiere per quegli insopportabili ululati che invece diventano sempre più insistenti. E Bitossi, che dimostra nelle operazioni di restauro corporale la stessa placidità che ha sulle salite senza numero, decreta la definitiva tracimazione. Alle 21.30 Nucci perde il senno per la seconda volta in un giorno: e cominciò la gran follia sì orrenda, che de la più non sarà mai ch’intenda. Il rispetto per la sua dignità di professionista ed essere umano ci impedisce di entrare nei dettegli. La scelta del ristorante in questo caso è molto semplice: il primo che capita. Ma il senno di Nucci ormai veleggia verso lidi irraggiungibili e, come se non bastasse, sono esaurite le lasagne e Caparrini è costretto a ridissolvere l’aureo binomio. E, come se non ribastasse, staccano la spina alla macchina del Carpigiani proprio sotto gli occhi dell’agognante presidente.

Se non vogliamo peggiorar l’effetto

sarà meglio andar tutti quanti a letto.

 

 

L’albero dei fascioni

 

E dopo un salvataggio con le foglie

nel lago benediron le lor spoglie.

 

L’ampolla contenente il senno di Nucci si trova sul fondale del lago di Annecy e bisogna scalare il Col de Leschaux e la Cret Chatillon prima di tuffarsi per recuperarla. Questo può essere il motivo più razionale che ha spinto il presidente ad estraniare la squadra dal fragore del Tour, nonostante la vicina tappa della Madeleine e del Galibier, e portarla in questo taciturno circuito, culminante con l’abluzione lacustre sacra e programmatica.

Tuttavia Nucci si sveglia piuttosto mite. Non come la Bertelli che dopo un chilometro bubbola e sbraita perché le hanno bocciato un improponibile anda-e-rianda di riscaldamento. E siccome l’ugola della Bertelli fa più effetto di una nerbata, Chiarugi parte tosto all’attacco per non udirla, con gambe mai così riscaldate, e si scala, anzi si scola il Leschaux in un sol sorso. Cerri arriva dopo dieci minuti di stretching e prima del gruppo passano un settantenne, un obeso e una donna con lo zaino. Evidentemente il Leschaux è stato usato come colle di riscaldamento, anche se questa è una parola che suona stonata alle orecchie del presidente sempre in lotta con arsure e affogatoi.

Il colle non sarebbe degno d’attese perché non ha soluzione di continuità con la Cret Chatillon ma, ahinoi, ostenta un cartello. Gli scatti che sono mancati in salita qui si moltiplicano. Per l’esattezza s’incrementano di un fattore cinque quarti, grazie a Marforio che, pienamente integrato nel gruppo, estrae il quinto apparecchio fotografico. Bisogna pagare un ciclista locale con un complicato collage di foto in sella al suo cancello per convincerlo a ricambiarci col quintuplice servizio.

Lassù ci aspetta la Cret Chatillon, l’Ultima Thule prima del tuffo sacrificale. Per un po’ la strada sa di salita perché non ha la linea di mezzeria come quelle finora incontrate e la Bertelli dopo il riscaldamento detta un ritmo affannoso. Tanto che qualcuno fa la botta. No, è la ruota di Cerri che esplode: ampia ferita da taglio sul fascione anteriore. Prognosi infausta senza un trapianto. Deve confidare nell’aiuto dei compagni. Alcuni non si fermano, alcuni si fermano e ripartono subito, alcuni si fermano, guardano le farfalle e ripartono. Cerri può solo sperare nella perizia nel socio Integrateam Bitossi che scarta la soluzione più ovvia, quella cioè di rattoppare il taglio con pezzi della camera d’aria esplosa, e sceglie quella più naturalistica, suturare la ferita con due foglie di leccio. E il bello è che l’escamotage funziona.  Cerri è salvo dall’appiedamento ma non dalle cinque foto davanti al cartello, perché tutti lo stanno aspettando lassù solo per quello.

Anche qui il genio e la fortuna partoriscono la strategia più indolore. Dopo dieci colli di pose replicanti, vengono reclutate ed addestrate cinque ragazze per cinque scatti simultanei. Peccato non averci pensato prima. Ma non è più tempo di rimpianti, è tempo di goderci l’ultima discesa alla velocità circospetta di Cerri che non si fida tanto delle due foglie e scende frenato, col rischio però di farle seccare.

Perché i punti cardinali del Programma siano rispettati in toto manca solo la sublime e glaciale abluzione lacustre. Liturgica e utile, perché nella maggior parte dei casi sostituisce la doccia. Marforio, battezzato nelle montane acque del Lago Maggiore, è il primo favorito della prova. Infatti è il primo ad entrare e il primo ad uscire con urlo. Il tempo di altri quattro urli e l’abluzione è terminata, sommando le due boe dell’intrepido Chiarugi e le due docce calde degli Integrateam che qualche usanza sibaritica dell’Empolitour l’hanno ben imparata.

Il Tour è finito, andate a fare i bilanci. Quelli materiali, relativi al costo globale del viaggio e alla quota di spesa individuale, impegneranno l’intero tragitto autostradale del presidente, che tutti invidiano perché così non si annoia mai durante questi dolorosi ritorni. Quelli spirituali si possono già redigere seduti sul marciapiede della Route de Albertville, davanti all’ultimo scorcio di lago e all’ultimo scorcio di baguette ripiena; e questi bilanci non hanno nemmeno bisogno dello storico librettino vidimato, si leggono negli occhi dei reduci, venati da quel gaudio interiore che riesce a trasparire dal velo di stanchezza fisica.

Ma il presidente nasconde un gaudio supplementare. La sua enciclica programmatica, pensata ad ottobre ed esternata a gennaio, è stata rispettata da tutti, salvo minime distrazioni e omissioni. È arrivato ad immolarsi sulla fleischnacka pur di non deviare dall’ortodossia del testo, e nonostante ciò i suoi chili in eccesso sono salvi. È lui il vincitore morale e ponderale di questo Tour, e non bastano i capitoli per premiarlo e ringraziarlo.

 

Se Caparrin del Tour vinse lo scettro

forse altri canterà con miglior plettro.

 

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