06/03/2011 Il gigione maturato

 

La Classica delle Classiche compie diciotto anni. L’atto di nascita pare depositato in una dilavata e graffiata agendina presidenziale, ma nella mente dei superstiti, Caparrini, Chiarugi e Nucci la certezza dell’anagrafe cede alla vaghezza dei ricordi di un piovoso mezzogiorno, quando i patriarchi dell’Empolitour, reietti di locale in locale, furono illuminati dall’incontro salvifico col gigione Tinti che li rianimò con vitamine e magie.

Col passare degli anni il ristorante ha cambiato due volte intestazione ma Tinti è rimasto e rimarrà per sempre l’insostituibile eponimo di questa maggiorenne manifestazione gastrociclistica. E per celebrarne degnamente la maturità Caparrini ha preteso un cast di ciclisti maturi. Dopo i fasti dei debuttanti della scorsa edizione si torna all’usuale sobrietà dell’antico. Il nuovo che avanzava è stato subito represso dall’autorità delle vecchie glorie Caparrini, Bertelli, Chiarugi, Nucci e Rinaldi, che si sono imposte nell’arengo del tintico desco con esperienza e voracità. Perciò quella che alla partenza poteva sembrare una malinconica recessione, era in realtà il frutto di un’accurata strategia di selezione che puntava a stratificare la crema della società col criterio dell’anzianità di servizio.

Anche i pochi ma sempre deplorati riduzionisti sembravano uscire da questo criterio di selezione che offriva il giusto demerito a Boldrini, Giunti, Mirmina, Tempestini, Traversari e al redivivo Garosi noto col nome d’arte di Zio. All’ultimo minuto riusciva a sfuggire a questo setaccio l’incauto primiparo Ulivieri, noto col nome d’arte di marsupiale, che però s’affrettava a precisare d’essere presente solo a titolo di citazione e di voler sfidare la pubblica inverecondia con un percorso ancor più ridotto. Nel novero delle curiose eccezioni bisogna anche catalogare la Bertelli che parte con dieci minuti d’anticipo, forse per non farsi fotografare con lo zainetto, espressione di una lodevole ma ridondante autosufficienza. Infatti dopo l’estinzione di varie generazioni di centauri, automedonti, cirenei, fotografi e cineoperatori l’autosufficienza è passata finalmente da un facoltativo vezzo ad una necessaria condizione, e gli integralisti sono così tenuti a ponderare con saggezza ed equilibrio il riempimento delle loro tasche.

I maschi all’inseguimento inconsapevole della femminina preda non iniziano però le pedalate col ritmo rapido e inquisitorio del cacciatore. Aleggia in gruppo l’antica e accettata flemma inerziale che permette a Tempestini di conquistare l’ambito Intergiro di Larciano senza che nessuno s’accorga né di Tempestini, né di Larciano. Soltanto con l’annuncio dell’anabasi di Goraiolo vediamo levarsi un fil di fumo agonistico perché, se le mire cronometriche sono per tutti offuscate dalla senilità, la presenza di Boldrini è consciamente o inconsciamente un pungolo irresistibile. “Ai ciclisti empolesi mai non dite quanto è buono staccar Boldrin sulle salite”, recita un famoso proverbio locale, e poi c’è sempre la question d’onore della Bertelli, perché non piace a molti essere staccati da una femmina seppur anticipatrice. Dal canto suo Boldrini non è disposto a rimirare schiene anche quando dichiara mansuetudine, e non vorrebbe lasciare liberi Nucci e Zio se non fosse per un collaterale effetto d’inanità derivante da allenamenti troppo onerosi anche per un fisico transgenico. Le conseguenze di tanto eccesso si vedono pure nell’ineccepito sorpasso di Chiarugi e nel minimo divario col pur remissivo presidente che col suo record giovanile di scalata avrebbe nettamente primeggiato. Non però sulla Bertelli che, basto in groppa, divora la salita con tanta di quella foga da attendere in vetta molto più del suo anticipo, pagando l’orgoglio con poche decine di minuti di tosse abbaiante.

Presso il consueto trivio del riduzionismo, quando Caparrini intravede la sagoma del caracollante Mirmina può sancire la cacciata dei reprobi e l’inizio del cammino di redenzione verso panem et circenses. L’elite degli integralisti respira il silenzio del crinale della montagna indecisa fra i lembi ancora innevati della sua terra e il tepore primaverile del suo cielo. Il silenzio s’interrompe ogni tanto per gli stentorei apprezzamenti di Rinaldi al paesaggio e al culo della Bertelli, per i colpi di tosse della medesima, per i borborigmi del famelico Nucci e per gli scatti di Chiarugi, non sui pedali ma sul telefonino, perché con questa politica d’autosufficienza è costretto a fungere anche da fotografo.

Gli eletti s’appressano con timore al cospetto del sacro gigione, non per il sentimento d’usuale aporia nei confronti delle sue prestidigitazioni ma per lo spettro dell’horror reliquorum. La dolorosa ipotesi, già sperimentata, di riconsegnare alla cameriera vassoi non completamente orbati di panem tinticum induce a precauzioni. Con l’età infatti si allungano non solo i tempi di scalata ma anche quelli di digestione, e per rispettare il dogma della trinità dei primi occorre rinunciare agli antipasti, alleggerire il secondo e tenersi la bocca buona per lo sprint finale sul carrello dei dolci. Grazie a questa elaborata tattica lo stratega Caparrini può condurre la squadra al traguardo del caffè senza ignominiosi lasciti, mentre il gigione, oltre a contribuire col proprio apparato allo smaltimento degli avanzi, riesce fra un’asperità e l’altra ad infinocchiare gli astanti col gioco delle tre carte. Il desco si arricchisce di vassoi svuotati e di aneddoti narrati. Tinti e Rinaldi scoprono di avere memorie ciclistiche in comune, come la tappa Porretta – Il Ciocco del Giro d’Italia 1976, e noi scopriamo con preoccupazione che i trigliceridi del Tinti non sarebbero compatibili con la sua efficiente attività di smaltitore.

Per cinque stomaci così robusti e temprati il rito della catabasi rimpinzata è un gioco da ragazzi. La loro adolescenza ciclistica emerge sul San Baronto quando gli implumi Caparrini e Rinaldi varcano per primi il simbolico epilogo di questo esame di maturità. Se mai arriveranno nuovi alunni dovranno misurarsi il prossimo anno tintico con questi ostinati ripetenti.

 

 

Fototinti 2011

 

Partenza

Pose carpite in ordine sparso.

Qualcuno si accorge dell'obiettivo.
Cerreto

Compattezza monocromatica sulla prima asperità.

Anabasi di Goraiolo

Caparrini comincia il suo passo inesorabile.

La fuga buona. Tutti a succhiare la ruota di Boldrini.
Boldrini tenta di scrollarsi di dosso gli avversari.
Ma si pianta triste e solitario.
Lingua penzoloni di Chiarugi che lo ha staccato.
Trivio del riduzionismo

Caparrini archivia il diciottesimo tempo di scalata.

L'implacabile arrivo di Rinaldi con polpacci ignudi.
La Bertelli è lì da un pezzo a tossire.
Margine di Momigno

Porzione di integralisti lungo i bordi innevati.

Tracce di neve e di dito del fotografo Chiarugi.
Panem et Circenses

L'attacco dei veterani al primo vassoio.

Tinti come entità pranzante.
Tinti come entità gigioneggiante.
Espressioni di allegra e seria incredulità.
Sgomento e sazietà dei commensali.
Cartolina per gli assenti.
San Baronto

Risalita rimpinzata con primo piano di basto.

Le due colonne sulla vetta finale.