07/03/2010 Il gigione rinverdito

 

La Classica Tinti è una manifestazione aristocratica fondata sulla conservazione. La sovranità appartiene al presidente Caparrini che ama le costanti, tollera le variabili e dissuade le innovazioni. Il rito è antico e accettato, ma dopo diciotto anni di anabasi, panem et circenses e catabasi, il nuovo vuole avanzare e i giovani farsi largo. Le costanti restano universali, come quella gravitazionale, che governa i tempi di scalata del presidente, o come quella topografica, che è inemendabile a prescindere dalle varianti urbanistiche e non soggiace a sensi unici o passaggi a livello, o come l’equivalente meccanico della caloria, col quale si dovrebbe stimare il lavoro pedalatorio adeguato al bilancio energetico del panem tinticum senza incorrere nell’onta dei lasciti alimentari come lo scorso anno.

Così all’alba di una nuova, anzi antica, edizione, insieme agli antenati della Classica (Caparrini, Bagnoli L., Nucci e Chiarugi) si osserva una partecipazione che lascia presagire inedite variabili, non quelle meteorologiche, perché in un ventennio si sono già sperimentate tutte, compresa l’odierna ventilazione invernale soleggiata, ma quelle anagrafiche. Infatti l’età media dei concorrenti, che si stava assestando sulla veneranda cinquantina, subiva un brusco decremento con l’arrivo della Bertelli che accompagnava al battesimo sociale il ventunenne pargolo Salani E., statuario canottiere su scricchiolante ferraglia, aggravato da zaino ma intenzionato all’integralismo ortodromico, al contrario di una disdicevole metà della squadra. Perché la principale e risaputa variabile della Classica Tinti è lo spazio applicato al ciclista che può essere determinato e classificabile, come l’anabasi di Goraiolo (Bagnoli F., Bagnoli L., Giunti, Mirmina e Tempestini), indeterminato e classificabile, con varietà imprecisate di anabasi interruptae (Barbieri, Lelli e Maltinti) o, primizia di questa stagione, indeterminato e inclassificabile, come il percorso di Boldrini e Borchi R. evasi e dileguati dopo cento metri.

Questa palese violazione dei diritti ciclistici ha imposto la cassazione dell’Intergiro di Larciano con decreto presidenziale ad personas, concentrando sul Goraiolo l’unico palpito agonistico della corsa. L’unità di tempo, luogo ed azione è stata garantita da una sbarra ferroviaria che si è alzata come simbolico segnale di via. Alcuni atletici e seri garzoncelli, lì inviluppati nell’attesa del convoglio, hanno subito acceso i retrorazzi inglobando nel loro imberbe vigore anche l’ardimentoso Nucci che, a dispetto delle profezie d’esplosione formulate dai più malevoli compagni, non risulterà più avvistabile. L’ordine d’arrivo non è così rivoluzionario come si sperava perché s’apre coi paleolitici Nucci e Chiarugi, mentre Salani E., dopo un atterraggio morbido sull’asfalto, rimane imbrigliato nelle materne fimbrie durante la fase cruciale dell’ascesa. Solo il tardivo placet della Bertelli gli consentiva di assaporare l’ebbrezza dei sorpassi, oltre l’ondulante dorso presidenziale, come giovane puledro che appena liberato il freno mordesse la rotaia con muscoli d’acciaio, con forza cieca di baleno.

Ancora un algido crinale li separa però dall’ubi consistam. I veri gastrociclisti qui si discriminano dalle minutaglie dei riduzionisti. La tradizionale via panis comincia con la prima stazione evangelica: l’attesa all’addiaccio. Il bradicinetico Lisi ha infatti deciso di coronare la sua maturità con la devozione integrale al Tinti e per rallentare ancor più il godimento di questo cammino estatico si è oberato di voluminoso basto che, chilo più, chilo meno è il marchio di riconoscimento sulla schiena degli ingenui neofiti; anche su quella di Borchi P. che, persa ogni speranza di ritrovare il padre rapito da Boldrini, opta per la plenaria immolazione sull’altare tintico senza però attendere la surgelazione dei sudori; anche su quella di Traversari che, dopo tanti anni di reductio ad anabasim, decide di convertirsi sulla via di Casamarconi. Recidivo è invece il savio Rinaldi che una conversione più dolorosa aveva vissuto l’anno prima per effetto delle commiserate reliquie sul desco circense.

Caparrini enumera soddisfatto minuti, chilometri ed integralisti: con quattro neofiti, un recidivo e quattro abituali può così ammannire un tavolo di degni affamati che dovrebbero preservarlo dallo spettro dell’horror reliquorum. E come ulteriore disposizione cautelare, alla seconda stazione evangelica della Spiga sono state invitate anche F. e M., le gaie accompagnatrici di San Pellegrino, per esemplificare ogni anno la famosa antinomia secondo la quale hanno fame e pranzano anche coloro che non vanno in bicicletta.

Così col gigione Tinti che in vesti regali e curiali è pur sempre un’entità pranzante, il presidente può difendere l’onore dell’Empolitour dai temibili avanzi. La strategia nottetempo elaborata si basa sulla preventiva rinuncia ai fritti e alle appendici dolciarie. Ma quando comincia ad aleggiare sul sacro desco l’ipotesi di antipasti, i suoi castelli calorici sembrano crollare sotto i colpi bassi delle zonzelle con stracchino e prosciutto che naturalmente e subitaneamente sono razziate senza tanti calcoli e rimorsi. Rotto il primo argine, il fiume di portate esonda, ed anche i fritti, sotto forma di umili carciofi, finiscono in gloria. L’unanime attaccamento al dovere sociale è commovente e i piatti con grande sprezzo del rigurgito tornano alle cucine nello status quo ante. Soprattutto perché i patriarchi della mensa trovano in Salani E. un prezioso alleato nello smaltimento delle risorse nutritive. La sua voracità non pare ereditata dalla Bertelli che al suo esordio nella Classica Tinti sbocconcellò inorridita qualche foglia di lattuga.

Ma i tempi cambiano e le sorprese non sono finite. Al terzo dolce ingerito da Salani E. si comincia a temere un vulnus ben più grave degli avanzi ormai scampati. Il gigione Tinti facondo e rimpinzato non ha ancora esibito neanche una carta e i corpi dei commensali ricominciano a raggelarsi all’annunciata assenza della valigetta d’ordinanza. Il panem senza circenses sarebbe un emendamento troppo eversivo per il supremo custode dell’ortodossia che solo in extremis riesce a strappare dall’inerzia del gigione almeno la moltiplicazione delle palline spugnose nei pugni e una rapida ostentazione di un raffazzonato mazzo.

Salvata la tradizione, gli adepti possono così rilassarsi nelle ultime dolorifiche stazioni della catabasi. Il vento che refrigera gli Appennini e le pance dei discesisti è un ideale strumento di blocco digestivo, preludio all’estrema catarsi di San Baronto che in pochi chilometri permette di riassaporare con palindromico reflusso tutto il munifico menu, dalle zonzelle alla mousse. Qui Salani E. dopo i fasti al ristorante vuole dimostrare che il suo virginale fisico non teme gli acidi, né quello lattico delle gambe, né quello cloridrico che risale dallo stomaco veloce come le sue pedalate. Con beata fanciullezza si balocca sulla scia di Nucci e Chiarugi, esperti pluriennali di catabasi rimpinzata, e poi li subissa con una volata che può simboleggiare una mutazione generazionale anche nell’immutabile Classica Tinti.

A titolo di postfazione, e come utilizzo privato di pagine pubbliche, ma sempre in tema di ringiovanite adesioni alla Classica, occorre puntualizzare che a rigor di biologia Salani E. non era il meno longevo della tavolata, perché di panem tinticum l’accompagnatrice M. ha pure nutrito un millimetrico e inconsapevole partecipante di sette settimane. Il che pare un record di precocità difficilmente battibile.

 

Fototinti 2010

 

Partenza.

C'è chi si copre la faccia o tenta di nascondersi per evitare la solita ebetudine fotografica.

Goraiolo

Il vento frena le mire cronometriche del presidente.

Dopo cinque minuti il saluto del neofita Borchi P.
La surgelata attesa di Lisi.
Tintico desco

Presidente ombroso in vista delle temibili zonzelle.

La voracità di Salani E. con tentativo di boicottaggio materno.
I circenses in zona Cesarini.
Prima della catabasi

I primi ciclisti che assaggiano il vento.

 

Due tentativi di posa..
..entrambi mal riusciti.