16/03/2008 Il gigione nebuloso

 

Vanta innumerevoli tentativi d’imitazione e resiste ad ogni ipotesi d’espunzione o delocalizzazione. È il Tinti, anima e animatore della sua eponima ancestrale Classica che apre le annuali prose dell’Empolitour. Ceduta l’epigrafe gastronomica ad un mai celebrato Trovatore, quest’anno Tinti ha pure rischiato l’esproprio dello storico edificio sulla terza curva di Casamarconi. Lo statuto societario olografo è molto rigoroso sull’argomento: la Classica Tinti deve svolgersi lungo il primigenio tracciato, immutabile e certificato, tradizionalmente tripartito in anabasi, panem et circenses e catabasi. Panis et circense Tinti sono il porro unum est necessarium, ma nell’imminenza di una vociferata chiusura del locale accreditato, il presidente Caparrini era pronto a redigere un frettoloso decreto che consentisse la regolarità della Classica pur con la traslazione del Tinti. Appelli e deroghe sono però giunti a buon fine, sicché il Trovatore ha trovato modo di dissotterrare gli ultimi approvvigionamenti per soddisfare gli affamati catecumeni. E il maestro Tinti era ancora lì, transustanziato in entità pranzante a capotavola ma ancora irraggiungibile fenomeno cognitivo che dura ed evolve da quindici anni e che ancora ti stupisce con l’epifania di un cogitato sette di picche sotto le natiche della callipigia Bertelli o col trascoloramento del dorso bleu di un dieci di cuori additato dal primiparo Salani. E pur si narra che nell’estasi teofanica il gigione abbia promesso agli astanti di far comparire all’orizzonte anche una nitida cupola di Brunelleschi, soltanto d’estate però, vista la giornata nebulosa.

La Classica, redimita di prestigio digitale del Tinti, aveva invece lasciato ogni speranza di nitore fin dalle prime pedalate pistoiesi, quando si scorgeva una biancastra coltre sugli indistinti profili delle montagnole da scalare. E il presidente aveva lasciato ogni speranza d’insperata unanimità perché i molteplici riduzionisti annunciati davanti a cotale visione rimanevano maggioritari e vieppiù convinti del loro annuncio di decurtazione. Si sa che la Classica Tinti vanta anche innumerevoli tentativi attuati di riduzionismo che vanno ad arricchire l’archivio storico delle comparse, in un sorite di variegate scorciatoie che poi tanto variegate non sono perché si limitano spesso ad un fantasioso anda-e-rianda a Goraiolo. Quest’anno, brutti di fama e di sventura, si sono distinti in questa vituperata categoria, alfabeticamente compresa fra Bagnoli A e Zio, anche alcuni poetici ciclisti di prima esperienza tintica e prosaica, come Borgioli, Lisi e Maltinti, perduti in palindromica ritirata insieme a Bagnoli F, Boldrini, Giunti e Tempestini. Il peccato della loro retromarcia è pari solo al rammarico dell’insufficiente dileggio, perché sarebbe piaciuto a tutti, e non solo al cronista, dileggiare a lungo la nuova sella col becco adunco sotto le natiche di Lisi o l’inattesa scornatura dell’invitto Boldrini che iniziava l’anabasi con loquace presunzione di supremazia e la terminava con la resa imbelle al silente Chiarugi.

Ma la Classica Tinti, nonostante la preterizione dei molti riduzionisti, ha il dovere di celebrare i pochi iniziati, gli eletti al magico desco del gigione. I loro nomi saranno impressi nelle Sacre Scritture dell’Annuario con quell’indelebile e luminosa gloria che tacerà dei loro corpi giunti al circense col fradiciume di una nebbia tralignata in itinere allo stato pluviale. Erano sette come il sette di picche, otto col vespista Masini che tradizionalmente porta la croce e canta, cioè porta il vestiario dei sei eterosufficienti (Chiarugi è l’ultimo sopravvissuto degli autosufficienti) e li fotografa. Così alla tintica mensa i posteri apprezzeranno le solite pose, ammantate di ebetudine, di Bertelli, Caparrini, Chiarugi, Muritano, Nucci, Pagni e Salani, ognuno portatore di ricordi ed umidità, tracimata nell’angustia del bagno ove vigeva l’unica fonte di calore del Trovatore, a parte i due generosi bottiglioni di rosso in attesa di scolo.

Lo spettacolo di una discarica di maleodoranti panni, lasciati al macero attorno ad una sbuffante stufetta, era ciò che invogliava la rara clientela eterodossa al ripensamento. Il silenzio della nebbia, violata solo dai borborigmi della marmitta di Masini, ora si scioglieva in acqua e fango sul pavimento e in lazzi e cachinni attorno al cenacolo ove Tinti in posa messianica buggerava con schietto candore gli otto ebbri apostoli. E come se fosse l’ultimo pranzo, le residue provviste del Trovatore annichilivano carta dopo carta nei capienti stomaci, incuranti di una previsione di catabasi piuttosto idratata. Baronto, il santo della digestione nella Classica Tinti, finirà per giustiziare anche i più esperti nella disciplina delle salite postprandiali, come Pagni imperituro arconte delle soste, colto forse impreparato da una sosta di nove mesi ma non ancora intenzionato ad abdicare, nemmeno in favore di un promettente gastrociclista come Salani.

Anche questo è un segno di rinnovata vitalità. La Classica Tinti che sembra sempre uguale nel percorso e nelle parole, in realtà nasconde ogni volta gradite sorprese che ne rendono interessante il destino anche nell’incertezza del ristorante. L’Empolitour ha ancora molte carte da giocare: siamo solo al sette di picche.

 

Partenza. Ognuno per i cazzi propri.
Partenza. Tentativo di riordino.
Larciano. L'asociale Bagnoli A conquista l'Intergiro.
Montecatini. Caparrini fa scattare il cronometro.
Anabasi. Boldrini sornione dietro Tempestini, Bagnoli A e Maltinti.
Anabasi. Il gruppo di testa in cui s'intravede la fascia del cronoman Caparrini.
Anabasi. Curva di Montecatini Alta. Boldrini cerca di far esplodere il gruppo.
Falsopiano di Marliana. Il cronoman Caparrini impegnato a rientrare nella tabella di marcia del record.
Panem (polentam) et circenses (il gigione Tinti a capotavola).
Prima della catabasi. Stavolta tutti a pari merito nella gara della posa più ebete.