09/03/2003 Il gigione dimezzato

 

Potevamo stupirvi con effetti speciali, numeri speciali, trasmissioni speciali, luoghi speciali, tempi speciali, piatti speciali. Ma noi siamo ciclismo non fantaciclismo. Ripongano ogni bramosia di meraviglia tutti coloro che si aspettano dalla cronistoria della Classica Tinti l’apoteosi di quell’evoluzionismo mondano che l’Empolitour aveva lasciato presagire nelle ultime edizioni.

L’immaginazione ci portava verso uno spettacolo di puro convivio col Grande Maestro Tinti in sacri paramenti purpurei, attorniato da vestali svestite che lo assistevano nelle sue magiche ostentazioni di fronte agli astanti accampati al gaio desco, mentre solerti e procaci dapifere colmavano i loro vuoti di credulità con pesanti e saporiti vassoi, cinti d’assedio e smembrati dei loro contenuti a mano armata o nuda in un sottofondo di fragorosi cachinni.

Volevamo iniziare alle magie di Casamarconi un esercito di commensali saliti a quelle malghe assolate con ogni mezzo consentito dal codice della strada, anche qualcuno in bici per giustificare il pretesto ciclistico dell’evento. Volevamo sublimare la regina delle soste fino al rovesciamento del rapporto azione-inazione, quando cioè il tempo sulle seggiole diventa superiore a quello sulle selle, qualcosa come cinque ore ai pedali e sei a tavola, un disegno onirico dell’arconte Pagni che stava prendendo corpo anno dopo anno, fino a questo sventurato 2003.

Purtroppo, come tutti i fenomeni astronomici, anche l’espansione della Classica Tinti è arrivata al punto di catastrofe, dove le tendenze s’invertono, la gravità vince la velocità di fuga, l’esplosione si trasforma in implosione e il Ristorante Tinti si trasforma nel Ristorante Il Trovatore. Tinti è diventato una guest star che si esibisce solo su prenotazione. Dopo la pubblicità che gli abbiamo regalato la sua fama è ora incontenibile. Tutti lo vogliono, dalle Alpi alle Piramidi, dal Manzanarre alla Grande Muraglia Cinese. Il gigione scoperto e lanciato dall’Empolitour (che su di lui può adesso solo vantare diritto di prelazione in occasione delle cene sociali) non può più dedicarsi a gestire l’imperdibile e inavanzabile tris di primi o ad arrostire animali da cortile. L’icona votiva dell’Empolitour che campeggiava nel ristorante è stata abbattuta per far posto ad un forno per le pizze e in certi giorni i nuovi gestori ti preparano anche le famose triglie fritte della montagna pistoiese.

Comunque Tinti è venuto apposta per noi e questo ci ha allietato a prescindere dalla volatilizzazione di un accendino, della clonazione di palline di bambagia, della transustanziazione delle carte e dell’apparizione delle vivande che, ad onta del mutamento dirigenziale, conservano quelle qualità primigenie che le rendono ancora imperdibili e inavanzabili. Anche perché non dobbiamo dimenticarci della nostra essenza di ciclisti consumatori e perciò degni di fame. Caparrini non si stanca mai di ammonirci col suo argomento consolatorio del sedentario pranzante che sciorina ogniqualvolta si volge intorno in una sala ristorante ed osserva sedentari impugnanti posate. Se essi, sostiene il presidente, la domenica arrivano fin quassù in macchina dopo averla lavata ed esercitano funzioni nutritive complete, dal primo al dolce, senza indignarsi, perché mai dovremmo indignarci noi, propulsi muscolarmente per tre ore e più con un seguito postprandiale di due? E non c’era bisogno di volgersi tanto intorno per acclarare il ragionamento, giacché sedevano al suo fianco il centauro Torcini e il nocchiero Ciardi, unici membri della regia di accompagnatori in questo sventurato 2003. Pochi e affezionati, come pochi e affezionati sono stati i ciclisti.

Se dalla foto di partenza si scorporano i riduttori non pranzanti (Bagnoli L., Boretti e Giunti) e l’acceleratore pranzante (Chiarugi), rimane un quadretto familiare formato dall’impaziente Caparrini, l’insaziabile Nucci, il velocista Tempestini, la fuggitiva Bertelli e l’agghindato Pagni, tutti in posa all’ombra dell’addome batraciano di Mario Tinti, rimasto inalterato anche dopo il ritiro dai fornelli. Pochi, affezionati e disgregati in questo sventurato 2003, nulla in confronto al mucchio selvaggio dell’anno passato. Il ciclismo, si sa, può unire e disunire, affiatare e sfiatare, mascherare e smascherare, sviluppare e inviluppare, affamare e sfamare, assetare e dissetare, attaccare e staccare. La salita è sempre il giudice supremo che emette verdetti inappellabili fra opposte mozioni. Se il Tinti ha cambiato mestiere, il Goraiolo è rimasto ancora fedele al suo tradizionale esercizio. E noi siamo ciclisti anche se mangiamo, e dobbiamo parlare ancora di ciclismo, quello pedalato che concentriamo, come è immaginabile, nei tre quarti d’ora della salita, tanto per fare un torto d’omissione a Tempestini che, tanto per farvi capire il livello atletico dell’odierna compagine, passa a braccia levate sopra il traguardo dell’Intergiro di Larciano ed entra nell’Albo d’Oro dopo Chiarugi e Pelagotti.

C’è qualcosa di nuovo oggi nella salita. Non lo scatto inaugurale di Pagni, annullato dopo cinquanta metri. C’è la Bertelli con le tarantole nelle gambe. Come una mantide si carica sulle prosperose cosce e schizza via in alto con chiari propositi antropofagi. Giunti è l’unico che osa rimorchiarla e si ritrova infatti divorato. Dietro di lei i maschi confabulano e cogitano. A parte i tre lenti lontani, Bagnoli, Boretti e Pagni che vivono con pacifica ineluttabilità la sottomissione alla mantide, il gruppetto degli inseguitori indugia dubitoso. Non però Caparrini che finge d’ignorare la fuggitiva e rumina in preda a calcoli. Il suo record di scalata può essere battuto percorrendo ogni chilometro in meno di 3’24”, cosa che lo costringe a pedalare con un occhio all’odometro, un occhio al cronometro e la mente tutta presa in complicate moltiplicazione su base sessagesimale, per ottenere la proiezione del tempo finale ogni cento metri. Beato lui che ha pensieri chiari e matematici! I capitani invece, mentre partecipano silenziosi al suo ponzamento fisico e mentale, si crogiolano in una situazione apparentemente indecidibile. Le ipotesi di lavoro sono due, lasciare primeggiare cavallerescamente la dama o raggiungerla e staccarla, casi entrambi che condurrebbero ad una soluzione vieppiù intollerabile, ossia una reazione sdegnosamente logorroica contro l’universo dei maschi ciclisti, capaci, o di favoritismi da cicisbeo o, in alternativa, di prevaricazioni ormonali, tiritera che, conoscendo la memoria a 33 giri della Bertelli, si sarebbe protratta per tutta la durata del pranzo e qualche anno oltre. Il compromesso fra cicisbei e prevaricatori viene raggiunto con un’equa suddivisione dei compiti, cosicché Chiarugi la sorpassa a velocità doppia quando mancano due chilometri, Nucci la sorpassa ma senza esagerare e Tempestini si sacrifica in un pietoso arrivo con lei a mani congiunte che sembra rabbonirla e tacitarla, mentre tutto questo gioco d’indecisioni e congetture giova solo a Caparrini che batte l’imbattibile record alla media di 3’22” al chilometro, perdendo però un paio di minuti per il calcolo dei decimali negli ultimi cinquecento metri.

Potevamo stupirvi con molti altri record, di presenze, di portate, di calorie, di foto, di moto, di filmati, di prestidigitazioni, di bagagli, di spesa e invece ci basta anche il cervellotico cronometraggio del presidente per consegnare con ottimismo alla storia dell’Empolitour anche questa pagina un po’ dimezzata, questa Classica Tinti prima che diventi, non sia mai, Classica del Trovatore.

La fuga-bidone della Bertelli nel momento in cui viene annullata dai maschi prevaricatori.
Il giubilo di Caparrini nell'attimo di fermare il tempo record.
Il giubilo della Bertelli che nel dopo-corsa commenta l'annullamento della sua fuga bidone.
Il giubilo dei commensali all'annuncio della prima portata.
Il giubilo dei superstiti trattati col moscatello del gigione Tinti (il più sobrio e smilzo sulla destra).