10/03/2002 Come per magia
(Il gigione soleggiato)
Il razionalismo era la nostra bandiera. Credevamo di
poter spiegare il mondo coi modelli matematici e il ciclismo con le leggi della
fisica e del fisico. Abbiamo versato fiumi d’ardore intellettuale a combattere
contro statue che frignano, sangui che si sciolgono, carte e costellazioni che
oracoleggiano, cucchiai che si piegano e ciclisti che volano. Ma oggi, giorno di
grazia della nona edizione della Classica Tinti, la ragione ha dormito un sonno
profondo durato otto ore, un sonno che ha generato mostri di gaia
spensieratezza. Il paranormale ha sconfitto nettamente il normale, con
conseguente avvicendamento ai vertici dei nostri riferimenti culturali: non più
Cartesio ma Cagliostro, non più Piero Angela ma il Mago Otelma, non più Mario
Cipollini ma Mario Tinti.
Eravamo convinti che quest’uomo dall’addome
batraciano e gli occhi volpini fosse semplicemente un abile manipolatore della
realtà. Vedevamo in quelle dita, temprate da chissà quante asce e picconi,
l’antitesi della prestidigitazione, ma non avevamo altre spiegazioni alle
apparizioni di carte ed alle moltiplicazioni di palline e monetine, se non
quella banale del trucco esistente ma invisibile. Ora invece, dopo dieci anni di
ravvicinate e frustranti osservazioni, siamo tutti arrivati alla conclusione più
verosimile, quella che nemmeno lo stesso gigione Tinti immagina: la magia è un
fenomeno reale e fondato. Egli crede d’ingannare la manducante platea con
virtuosismi manuali, in verità opera inconsapevolmente con mezzi esoterici e
gnostici, come la psicocinesi e la materializzazione psicogena. Tinti è un vero
mago e non lo sa. Potrebbe diventare il novello Paracelso, trasformare il ferro
in oro, guarire i lebbrosi con l’imposizione delle mani e invece si limita a
gigioneggiare da buon mazziere fra una tagliatella, un raviolo ed una polenta.
Siamo pronti a mostrare anche al CICAP prove
inconfutabili dell’esistenza di fenomeni paranormali. Il lungometraggio della
Classica Tinti non è soltanto un’antologia di sketch del magico ristoratore,
ma anche un sunto di otto ore di eventi ciclistici che sfuggono al controllo
della scienza e mettono in discussione la stessa logica di base che normalmente
è data per certa nella concezione naturale dell’idea di bicicletta. Questo
film documentario sarà certamente oggetto di un’accurata analisi
epistemologica da parte dei più autorevoli filosofi e critici cinematografici.
Noi ci limiteremo ad illustrare la trama essenziale, per invogliare molti altri
attori e comparse a chiedere d’essere scritturati per una parte nelle edizioni
a venire o anche nelle prossime produzioni dell’Empolitour nel 2002 che poco
si discosteranno da questo canovaccio.
Personaggi e interpreti in ordine di apparizione o
quasi.
Ciclisti
Demiurgo nomoteta plenipotenziario con virtù
d’autosufficienza: Caparrini
Guest star empolese abituale: Bitossi
Guest star castellana novella: Ramerini
Primo ministro delle ascensioni celeri con virtù
d’autosufficienza: Chiarugi
Primo chiudipista ascensionale neofita: Baricci
Secondo chiudipista ascensionale neofita: Pucci
Sottosegretario alla tiratura ascensionale lunga: Tempestini
Tiratore ortodromico conclusivo strafogato: Boretti
Scorta presidenziale con delega alle politiche di
chitarrista senza chitarra: Giunti
Riducente rinunciatario alle asperità gastronomiche:
Bagnoli L.
Grande maestro di cerimonia e di rivestizione secondo
il rito pagnano antico ed accettato: Pagni
Primo velocista sui pedali e sulla tavola imbandita: Pelagotti
Nobildonna che dopo il ballo torna a casa in
carrozza: Bertelli
Motorizzati
Motociclista supremo recante sacro labaro sociale sul
parabrezza: Torcini
Cameraman archimandrita motociclista onorario: Marchetti
Nocchiero dello studio mobile Kangoo gialla: Ciardi
Ciclista retrocessosi a delfino navigatore fotografo:
Goti
Ciclista vedovo inconsolabile con l’interim alle
riprese cinematografiche da vano posteriore: Nucci
Hanno inoltre partecipato:
Équipe di avvocati e avvocatesse assoldati da Pagni
con giulivo cinquenne al seguito.
Commensale tardivo transgenico coinvolto
nell’iconografia finale: Boldrini
Consorte non transgenica del soprascritto: Brunella
E naturalmente Tinti nel ruolo di se stesso.
Fenomeni arcani e scientificamente inspiegabili
aleggiano, come si diceva, su questa storia fin dalla partenza. Dopo i buchi
neri e le stelle a neutroni, lo zainetto di Pagni è l’oggetto più denso
dell’universo conosciuto. Ed è anche il contenitore più difficilmente
svuotabile dopo il gonnellino di Eta Beta. Caparrini e Chiarugi, nostalgici
difensori di una ormai anacronistica autosufficienza nei costumi di ricambio,
con le loro tre giberne rigonfie di qualche esile straccio ed indumento
d’ordinanza, osservano con mestizia la processione dei ciclisti sibariti verso
gialla Kangoo e il deposito dei loro bagagli onusti di mollizie.
Non ci resta che pedalare perché, fra le diversità
dei costumi interiori ed esteriori (un coacervo insondabile di abbigliamento
estivo, primaverile, invernale, sociale e asociale), nel profondo dell’anima
siamo tutti ciclisti uguali e perché la natura regala un incantesimo di
primavera che a guardarla e respirarla intenerisce il cuore, ma non le gambe.
Questi stantuffi villosi, glabri o coperti roteano con gran giubilo fin dai
primi melliflui clivi resi più movimentati dagli sguardi penetranti delle due
telecamere che incentivano il brio.
Il traguardo indelebile del Gran Premio di Larciano
stuzzica gli appetiti predatori nei più famelici del gruppo. La volata a questo
tradizionale Intergiro è il documentario di un’innaturale metamorfosi.
Pelagotti da baribal grasso e peloso si trasforma in un veloce e feroce ghepardo
che travolge gli gnu Pucci e Tempestini, graffia l’antilope Chiarugi e salta
con un guizzo a due ruote la zebra Ramerini. Poi nel breve volgere di una
statale ridiventa il solito plantigrado e lo si vedrà chiaramente in salita. Il
primo vero gioco di prestigio è però di Boretti che si toglie i gambali neri e
sexy senza staccare i piedi dai pedali, svelando polpacci irsuti e cerei che
suscitano generale raccapriccio. Grazie ad un do di vescica del musicante
Giunti la carovana rallenta e intasa, e dietro la Kangoo che la segue a venti
all’ora si leva un concerto in la minore di clacsonate e vaffanculi. Le
bici invece suonano le percussioni infilando una dopo l’altra le bellissime
buche sull’asfalto butterato dell’amena statale n. 436 di Montecatini. La
granfondo che da lì sta partendo ci garantisce la segregazione dei fogati
locali e quindi una salita senza infiltrazioni eterodosse ipercinetiche. C’è
solo Pagni che parte a squillo di tromba, come vuole l’atavico copione, e
Tempestini che rilancia la nota, tutto appollaiato sul telaio a scandire un
passo piuttosto voluttuoso. Ramerini segue con la curiosità della prima volta e
Chiarugi pazienta per capire dove può andare a finire. E finisce a Marliana
dove l’antilope lascia cadere la maschera attendista e la catena sul quindici,
per un solitario pronosticato arrivo. Ma il vincitore narrativo è Caparrini che
con un oscuro sortilegio varca i confini del suo consolidato regolarismo e si
esibisce nell’abbattimento brutale dello stagnante e stantio record di
scalata, a parer suo grazie ad un atteggiamento fisico tutto duro che avrebbe
inaugurato qualche giorno prima. Conoscendo la pudicizia verbale del presidente,
pochi fraintendono lascive ostentazioni itifalliche in queste affermazioni che
sono piuttosto un’espressione di antitesi alla politica di agilità
pedalatoria sostenuta da Armstrong. Comunque la Bertelli, quando se lo vede
dietro, quasi basisce pensandosi in chissà quale stato di crisi e Pelagotti è
pure costretto ad implorarlo per arrivargli a fianco.
Senza troppi sortilegi vengono migliorati a catena
altri record assoluti. Tutto ha origine dall’incremento dei commensali non
ciclisti che annualmente segue la famosa serie di Fibonacci, dove ogni termine
successivo è dato dalla somma dei due precedenti: 1-2-3-5-8-13. Tredici sono
infatti coloro che ripartono pasciuti verso Pistoia a gambe ferme, considerando
i cinque avvocati, i cinque operatori televisivi, i due coniugi semitransgenici
e lo scorporo dai ciclisti della delicata Bertelli che disequilibra
definitivamente le forze in gioco: 13 a 11 per i motorizzati. A questo punto si
aspettano nel 2003 ventuno accompagnatori sedentari, a scapito ovviamente dei
ciclisti il cui numero oscilla casualmente attorno ad una media omeostatica. Con
tante bocche da sfamare ed occhi da stupire, Tinti è riuscito a portare a tre
ore il tempo di permanenza nel ristorante ma il terminus ad quem è
quello ovviamente di otto ore intere di panem et circenses senza
bicicletta.
Altri record conseguentemente violati sono quello del
numero di portate (vassoi aggiuntivi di patate fritte e spumante esornativo di
Pagni), quello degli avanzi (mai era successo di rispedire indietro vassoi con
tracce di originario contenuto; la nutrita troupe di sedentari e di neofiti con
ingiustificati timori gastrointestinali ha forse influito negativamente
sull’appetito medio), quello del conto (con gli euri c’è l’illusione
numerica di risparmio ed ognuno paga più volentieri anche la cresta) e quello
del clima (mai visto tanto soleggiamento: si registra la prima unzione pagnana
nella storia della classica Tinti). Sono tutti accadimenti che ci riportano un
po’ sui binari della logica. Ma il paranormale è ancora in agguato sulle
strade del ritorno. Si assiste infatti alla prevalenza di un sistema paranormale
sul sistema vegetativo parasimpatico che dovrebbe presidiare una corretta
digestione. Post prandium aut stare aut lentite ambulare. Nessun testo di
fisiologia spiega come si possa eludere questo precetto ciceroniano senza
incorrere in quella che le mamme chiamano minacciosamente congestione per
indurre i bimbi alla pennichella. Eppure, con gli omasi rigurgitanti di chilo, i
ciclisti scalano senza ulcere un bel sambaronto, ed alcuni (Chiarugi, Ramerini e
Pagni) anche in maniera veemente.
Ecco che al tramonto di queste otto ore cabalistiche
ed epicuree, l’animo schiettamente atletico dell’Empolitour torna ad
emergere sulla generalizzata flaccidità delle carni. Campeggiano immagini di
vero ciclismo: l’attacco in pianura, la moto che dà i distacchi, gli
incitamenti sul ciglio della strada, il forcing in salita, il gruppo che si
rilassa, il frazionamento in discesa e per finire, un gruppo di fuggitivi
seguito in fila indiana, dietro la Kangoo della giuria, da una lunga teoria di
ammiraglie che ogni tanto desiderano esprimere la loro partecipazione a questo
giorno d’allegrezza pieno con qualche gaia clacsonata.
Mal di gambe e di pancia rendono meno doloroso il
commiato ma per rivivere scene di simile divertimento basta chiudere gli occhi e
siamo già al Giro d’Italia. Come per magia.
Rassegna fotografica
Via Baccio da Montelupo. Le concitate fasi della partenza. | |
Goraiolo. Fermata Lazzi e fermata Empolitour. | |
Casamarconi. Panni e Pagni stesi al sole. | |
Mucchio selvaggio senza Tinti. | |
Mucchio selvaggio con Tinti. |