25/02/2001 Classica d'apertura
Il gigione
innevato
Eppure il vento soffia ancora e riporta dopo un anno
con puntuale brio i colori, i sapori e i rumori della classica d’apertura.
L’edizione 2001 si tinge di grigio, come l’ombrello nuvoloso teso tra la
terra e il cielo, e di bianco, come i pittoreschi spruzzi di gelida purezza
sulla montagna pistoiese. Il sapore è quello concreto della cucina del gigione
Tinti e quello astratto dell’allegro sbigottimento che contagia i ciclisti
spettatori delle sue artigianali magie. I rumori sono inizialmente quelli dei
preparativi in Via Baccio da Montelupo che soddisfano appieno la fattispecie
penale di schiamazzi in luogo pubblico. In effetti, quando passa di lì per caso
una volante della polizia tutti tacciono improvvisamente con la coda di paglia.
Si presentano nove splendidi ciclisti turchini (Bertelli, Boldrini, Boretti,
Caparrini, Chiarugi, Nucci, Pagni, Pelagotti e Tempestini) [Foto1] ed una troupe di tre accompagnatori (Ciardi,
Marchetti e Torcini) dotati di auto, scooter e cinepresa. È un’evoluzione
statisticamente significativa: in un anno diminuiscono di due unità i
pedalatori ed aumentano in ugual misura gli operatori di supporto tecnico. Così
alcuni notano che questo trend porterà nel 2005 ad un’edizione con un
ciclista scortato da undici elementi motorizzati. Intanto cresce la mole di
bagagli con tessuti di conforto depositati nella Kangoo di Ciardi. Gli
autosufficienti Caparrini e Chiarugi sono quasi derisi mentre ovviamente eccelle
in varietà di futile vestiario il sibarita Pagni, ma non sfigura nemmeno
l’allievo Boretti che col suo campionario, comprensivo di ameni berretti,
potrebbe rivestire l’intera compagnia.
La storia di questo evento
ciclogastronomico dura otto ore e tre capitoli.
1.
Anabasi
Pagni, che aveva promesso di essere in sede con
quindici minuti di anticipo, vi arriva con gli stessi di ritardo e sancisce
l’inizio fotografato e filmato della celebrazione liturgica. Il suono della
tramontana scandisce le prime pedalate di gruppo. Gli operatori forse intuiscono
che questa idilliaca compattezza sarà un raro fenomeno e consumano i primi
metri di pellicola nei primi dieci chilometri. Infatti, già sullo strappo di
Mastromarco il casco chiomato della Bertelli s’invola silente e fuggitivo [Foto2]. Ci vuole tutta la lena diplomatica del presidente
Caparrini per imporre la concordia di ranghi almeno fino all’Intergiro di
Larciano dove il crudele Chiarugi infrange in volata i dichiarati desideri di
gloria del troppo precipitoso Pelagotti. È l’ouverture prima delle danze
sulla salita. Come tutte le ricorrenze nell’Empolitour anche questi 14,5
chilometri da Montecatini a Goraiolo non sono mai misurati col metro della noia.
Nelle curve melliflue e nelle villette sparse che occhieggiano fra gli alberi
desiderosi di fronda, sono impresse le immagini di una decennale epopea, molte
più di quante ne possa memorizzare la cinepresa che Marchetti, in sella al Leonardo
guidato da Torcini, fa volteggiare insinuandola nell’intimità della fatica
dei ciclisti.
Pagni, secondo quanto pattuito da mesi, si lancia in
una marcia preliminare velocizzata che non può chiamarsi fuga per motivi di
precoce inconcludenza. Fra l’altro il destino del gruppo ortodosso
s’incontra subito con quello di qualche esponente della locale eterodossia
ciclistica dotato di animo non remissivo. Si crea così un plotone multiforme
che ben presto perde la tachipnea di Pagni [Foto3], la grazia della Bertelli e poi la
tenacia di Pelagotti e Tempestini. La sagoma cadaverica di Boretti si è già
persa dopo la prima curva e quella convulsiva di Caparrini si lascia andare
nella sua solinga ricerca del minimo affanno [Foto4]. Il manipolo di eterodossi vedendo la moto coi
cineoperatori si compiace del momento d’involontaria celebrità e rimane fra
le ruote dei tre biancoazzurri di testa. Mentre Chiarugi e Nucci confabulano su
questioni tattiche, l’ambiziosa zucca pelata di Boldrini si protende in avanti
con qualche smorfia e spingendo un agile rapportino ripete dentro di sé una
metafora imparata il giorno prima. Vuol essere come il lesto pistolero che
uccide il potente e macchinoso fuciliere Chiarugi ostinato sul rapportone e si
avvale con orgoglio di una frase tratta dal film Per un pugno di dollari.
Sbagliandola. Si scopre col senno di poi che Gian Maria Volonté dice a Clint
Eastwood: «Quando
un uomo con la pistola incontra un uomo col fucile, quello con la pistola è un
uomo morto» e
non viceversa come Boldrini freudianamente credeva. E infatti il fuciliere
giustizia tutti col cinquantatre nella piena durezza della salita ma quando si
volta per cercare invano la fama televisiva trova uno strano duo eterodosso
guidato da una mountain bike che lo lascia imbelle con le gambe inespressive.
La riunificazione del gruppo a Goraiolo è condita e
refrigerata di bianchezza recente. Il ritardo di Boretti è proporzionale ai
suoi due mesi di siesta e peyote ma è l’unico che arriva in pompa magna
davanti alla Kangoo lampeggiante come si addice ad un professionista
scortato dall’ammiraglia. L’attesa non è soltanto cessione di calore
corporeo all’ambiente ma un momento per raccontarsi, discutere, tirarsi la
neve addosso, seguire le orme delicate di un uccello o semplicemente per
riflettere. Un invito ai pensieri più puri che continua per altri chilometri di
pedalate perdute tra fusti maestosi e cinerei che si elevano verso le nubi di
simile colore, piantati sulla terra accarezzata da un taciturno candore che
mette in risalto una viscida striscia nerastra ove ruote prudenti lasciano
tracce fugaci come i pensieri stessi [Foto5].
2.
Panem
et circenses
Fra le calde mura del ristorante gli atleti
continuano a tenzonare amabilmente mirando all’arduo miglioramento dei loro
primati. Sul campo della radicalità di mutazione vince nettamente Pagni che si
riveste da monaco benedettino. Premio speciale per l’estetica va al pigiamino
della Bertelli coi pantaloni che danno piena nitidezza alle sue due prorompenti
virtù. A tavola forchette e coltelli s’incrociano come fioretti di duellanti.
Sembra impossibile superare il livello di evoluzione gastronomica raggiunto con
anni di ripetuti cedimenti alle mollizie, ma l’Empolitour vi riesce con un
colpo di reni nel finale supportato da doppie porzioni di torta della nonna. Fra
ciclisti e motorizzati la disfida è stavolta ad armi pari ma il vincitore
annunciato è Pelagotti che stacca Caparrini su un bicchiere di limoncello. Con
invidiabile sinergia i dodici commensali riescono così a battere il record di
conto e mancia, incrementandoli ciascuno di un buon 10%. Dove l’Empolitour non
mostra segni di miglioramento è sul piano dell’intelligibilità delle arti
manipolatorie del gigione Tinti [Foto6]. Da nove anni, mutatis mutandis, i trucchi sono gli
stessi: appaiono e scompaiono carte, si moltiplicano monete sotto le palme e
palline spugnose strette in pugno, oggetti vissuti e consunti che quelle dita
sornione sembrano governare nell’essenza della loro materia. Da nove anni
coppie di occhi stupefatti, anche se invero un po’ ebbri, tentano vanamente di
carpire qualche indizio ma quelle dita sono sempre più veloci della logica e a
ben vedere, la beata ignoranza è più divertente della razionalità. Inutile
dire che alla fine cade anche il record cronometrico di sosta. Con appropriata
preparazione si punta nel 2002 ad abbattere il muro delle tre ore.
3.
Catabasi
Escono barcollando più per
l’ebbrezza che per le folate di vento ghiaccio. Tempestini vagola su se stesso
con ilarità sospetta mentre i più lucidi si accorgono che la temperatura
esterna non sarà di aiuto alla laboriosissima fase di digestione e guardano con
malcelata invidia la spaziosa Kangoo di Ciardi. Ma sono solo istanti di
ironica debolezza poi nell’abbraccio generale per il rito della foto i corpi
si trasmettono calore e coraggio nell’ultimo momento di unità prima di
abbandonarsi alla discesa foriera di diaspora. Chiarugi sfrutta l’alcolemia
fuori norma per mantenere il contatto con le esuberanti ruote di Bertelli e
Nucci e solo quando una ventata lo sbatacchia a destra e a manca in moto
sinusoidale, gli sovviene una coscienziosa riflessione sulla caducità della
natura umana.
Un’ordinata kermesse
pistoiese separa la discesa ardita dalla risalita verso S.Baronto dove si
aspetta il carisma di Mastro Lindo a organizzare la fila. Ma la partita si gioca
in un regolare equilibrio fra apparato muscolare e digerente. Bertelli col suo
pasto frugale può permettersi un volo leggero da libellula che in breve dimezza
il gruppo. Agli antipodi Boretti sembra in uno stato preagonico ma giammai
rinunciatario. Nucci vuole a tutti i costi liberarsi dal peso dell’anonimato e
fugge come ai bei tempi sulla scia del centauro Torcini. Il cranio di Boldrini
tentenna, le sue viscere si agitano e meditano pericolosi alleggerimenti di
contenuto. Chiarugi intanto insegue il fuggitivo con la pacata convinzione di
raggiungimento mentre Pelagotti lascia sul posto Boldrini e incalza i due
gerarchi, dimostrando un’innata cooperazione fisiologica fra il poco tono
attuale dei suoi muscoli e l’elevata efficienza catalitica dei suoi enzimi
digestivi. E quando Boldrini si vede sorpassato anche dalla frizzante Bertelli,
la sua residua baldanza si squaglia di colpo insieme al tormentoso intestino. Il
cronista Marchetti annuncia con enfasi l’arrivo di Nucci primo sul GPM davanti
a Chiarugi. I due parlottano a lungo prima e dopo il traguardo a telecamere
spente e i maligni sospettano una combine. La storia del ciclismo si arricchisce
così di un’altra pagina di misteri su cui le generazioni future trarranno
ricchi spunti di discussione.
Eppure sfiora le campagne,
accarezza sui fianchi le montagne. Un lungo soffio accompagna fino a Empoli le
bici che si muovono quasi da sole. Si pedala più nel futuro che nel presente.
Il vento spinge promesse e speranze fino allo Stelvio. Gli accompagnatori
restituiscono ai ciclisti oltre ai bagagli di indumenti anche quelli di
immagini, di pazienza e di entusiasmo. Il gruppo ringrazia e si dissolve nel
vento che quest’anno porta via il carnevale dei bambini di Monterappoli ma non
il giorno d’allegrezza pieno.