L’Empolitour nasce dall’aggregazione di nuclei ciclistici primordiali d’incerta datazione, probabilmente collocabili nella seconda metà degli anni ottanta. Di quel periodo nessun documento scritto è stato rinvenuto e la ricostruzione storica si basa in parte su reperti iconografici dubbi ma principalmente sulla tradizione orale.
Il fulcro accentratore è da considerarsi il futuro presidente Caparrini erede di passione ciclistica parentale e capace di discettare con naturalezza del Tour de France dai tempi di Aimar e Pingeon. Attorno a lui già ruotano alcuni elementi ciclistici basilari per comprendere la scaturigine e l’evoluzione dell’Empolitour. Le fonti parlano infatti dell’allora crinito Nucci, dell’allora obeso Magnani e dell’allora podista Pagni. Di questo nucleo paleociclistico rudimentale nulla c’è pervenuto tranne alcune testimonianze di sporadiche ed ansimate scalate del San Baronto. Sappiamo però che il crinito Nucci svolse all’epoca un importante ruolo di fattore di coesione con altri nuclei minori. Destò grande scalpore il ritrovamento di documenti fotografici che lo ritraevano insieme a Bagnoli (fondatore della dottrina filosofica del problematiciclismo anoumenologico basata sul concetto di ανούμενον o impensabilità) sulla vetta dell’impervio Passo del Bracco con biciclette onuste di tenda e sacchi a pelo. Sulla riviera ligure furono in seguito rinvenute le arse vestigia di un bar Nucci dove i due avrebbero dimorato degustando un’omonima coppa gelato.
Nucci è pure presente nella radice castellana dell’Empolitour che è costituita dal solo Chiarugi, segnalato da testimonianze attendibili mentre scala lo Stelvio durante la frana del Pizzo Coppetto e mentre zigzaga verso le Tre Cime di Lavaredo ammantate di nebbia.
Sul binomio Nucci-Chiarugi esistono documenti scritti che costituiscono i primi elementi di datazione ufficiale anche se la critica si è arrovellata non poco per tentare di spiegare le numerose incongruenze presenti in queste carte. La prima vexata quaestio riguarda un’immagine fotografica comparsa in una nota rivista che li ritrae innevati in bicicletta. Col metodo del C14 è stato possibile far risalire questa foto ad un periodo compreso fra il 5 ed il 6 giugno 1988 e l’imprecisione di un giorno ha generato due scuole di pensiero interpretative. La prima sostiene che i due siano stati eroicamente immortalati il 5 giugno sulle rampe del Passo Gavia prima di assistere ad una storica tappa del Giro, la seconda opina con malizia che i nostri fossero ingenuamente impegnati il giorno dopo nella scalata dello Stelvio mentre i professionisti, graziati da Torriani, li sorpassavano in ammiraglia.
Non meno irta di contraddizioni è l’interpretazione di un documento datato 18 luglio 1988. Si tratta della classifica ufficiale della seconda edizione della Fausto Coppi a cui Nucci e Chiarugi avrebbero ardimentosamente partecipato. Da un’attenta analisi paleografica risulta sesto classificato Nucci Roberto dell’U.C. Pontorme, il che rappresenterebbe una palese violazione del principio d’inferiorità dei bubboni alla cui schiera Nucci degnamente apparteneva. I dossografi pertanto dubitano assai della veridicità del documento, tanto più che alcuni testimoni affermarono di aver visto Nucci arrivare in Piazza Galimberti con quasi un’ora di ritardo dal 526° (che sarebbe Chiarugi).
Le difficoltà esegetiche di tutti questi controversi codici non infirmano comunque la constatazione dell’esistenza in nuce di un impetus ciclistico che attraversava in maniera disorganizzata e parcellare le coscienze giovanili. Una recondita gagliardia, che s’innalzava idealmente verso le erte vie solcate dai campioni, era sul punto di manifestarsi.
Uno spettro s’aggirava per l’Empolese: il Tour de France.
E Tour fu.
In quel tempo di Chiarugi, Magnani e Pagni si sono perse le tracce. Sappiamo soltanto, tramite narrazioni vaghe e frammentarie, che Magnani è in diuturna competizione con l’obesità e la moglie, che Pagni, per emulare Fidippide, corre seminudo sui sentieri appenninici e che Chiarugi continua a fare incetta di passi alpini.
I personaggi su cui si concentrano le attenzioni degli storici sono Caparrini, Nucci e Bagnoli protagonisti della prima rudimentale spedizione al Tour. L’assenza di manoscritti ha consentito di dipingere quest’evento con forti sfumature di leggenda ma sappiamo per certo che più di tutte le salite affrontate fu dura l’opera di convincimento nei confronti di Bagnoli, colto in extremis da una di quelle sue resipiscenze che diverranno proverbiali.
L’Alpe d’Huez attendeva maestosa i nostri temerari incutendo giustificati timori a causa della loro approssimativa preparazione fisica. Preparazione che evidentemente era carente anche sul piano automobilistico, poiché la prima sosta per sgranchire gli arti fu effettuata alle porte di Marcignana.
Giunti a Bourg-d’Oisans ed ispezionato il primo tornante della salita, i nostri pionieri rafforzano la loro convinzione d’inadeguatezza e Caparrini preconizza che quello sarà il suo punto d’arrivo. Miracolosamente invece tutti concludono la scalata ed assistono al passaggio di Bugno, Lemond e Breukink procurandosi soltanto qualche ustione di primo grado durante la lunga ed assolata attesa sotto il gonfione indicatore dell’ultimo chilometro. Galvanizzati da un’impresa di cotanta fatta, l’indomani i tre decidono di affrontare l’ascesa al titanico Galibier stabilendo, come vile compromesso fra ardore di conquista e consapevolezza di inanità, di scalare in macchina il Col du Lautaret (ossia la maggior parte della salita). In totale il primo Tour dell’embrionale Empolitour vantò la bellezza di 42 chilometri simmetricamente distribuiti fra salite e discese.
La narrazione degli eventi che si susseguono dal 1991 in poi è stata facilitata dal ritrovamento di un anonimo manoscritto dilavato e graffiato. Si tratta di una sorta di libretto contabile su cui una mano incerta ha vergato con dettagli talora maniacali l’elenco delle spese dei viaggi al seguito di Giro e Tour. La sua decifrazione ha richiesto l’intervento di una équipe di valenti etruscologi e nonostante ciò alcune glosse sono rimaste incomprensibili, probabilmente perché i membri dell’Empolitour usavano per comunicare fra sé un linguaggio costellato di termini strettamente gergali. Questo documento rende possibile non solo una cronologia certa ma anche una precipua analisi di costume, evidenziando l’evoluzione del tenore di vita e delle abitudini alimentari del gruppo.
Il 1991 fu l’anno dei Pirenei ed anche quello dell’aggregazione di Chiarugi che costituì se non altro il principale elemento di sviluppo atletico dell’Empolitour. Nucci e Caparrini incontrano casualmente Chiarugi sul Goraiolo e, verificato che la velocità di un ciclista in salita può essere anche superiore ai loro abituali 8 km/h, gli offrono la partecipazione al Tour coi gradi di capitano. Bagnoli s’ingegna per risolvere il problema delle quattro biciclette: come trasportare su una berlina 4 biciclette con 4 portabiciclette difformi collocati su un tettuccio avente superficie inferiore a quella occupata dalle 4 biciclette medesime. Arriverà ad una soluzione grazie all’utilizzo di un grossolano manufatto noto come catafalco di cui si hanno soltanto sommarie descrizioni.
Con un
programma approssimativo quanto le cartine autostradali in possesso di
Caparrini, i quattro affrontano un’epica migrazione verso Lourdes. Da cronisti
transalpini è descritta una loro curiosa sosta ad Arles dove impongono la
preparazione di quattro varianti morfologiche di pain bagnat.
Già prima di arrivare a destinazione v’è comunione d’intenti sul principio ontologico (ispirato ad Anselmo di Aosta) della scelta dell’albergo che dovrà essere id quo nihil vilius cogitari possit, ovvero da una stella in giù. Il Relais de la Montagne soddisfa pienamente tale principio e consente sane ed insufficienti cene fornite da un allegro gestore chiaramente uso a clientela geriatrica.
L’indomani vengono scalati tre colli: l’Aubisque e due volte in macchina il Marie-Blanque con visione della tappa Pau-Jaca in un incrocio strategico al termine della discesa del Col d’Ichere dove s’apprezzano le capacità frenanti dei professionisti.
S’arriva al giorno del Tourmalet. I nostri ciclisti si dimostrano previdenti portando seco una borsina da manubrio nella quale stipano espadrillas, maglietta e pantaloncini di ricambio, tranci di baguette, frutta assortita e fette di pattona.[1] Caparrini porta seco anche una borraccia definita intascata. Di questo controverso sostantivo, ricorrente nel manoscritto, sono stati proposti due significati.
1. Lectio facilior: oggetto di dimensioni tal da poter essere trasportato nelle tasche posteriori della maglietta ciclistica.
2. Lectio difficilior: oggetto che viene meno ad aspettative derivanti dal suo valore commerciale o dalle sue presunte proprietà.
Sembra infatti che un artigiano empolese avesse venduto questa borraccia decantandone le virtù termostatiche e che Caparrini avesse verificato non solo l’inesistenza di siffatte virtù ma anche l’impossibilità di berne il contenuto senza versarsi addosso una quantità equivalente a quella bevuta.
Tetragono ai colpi di ventura e di sole, Caparrini domerà comunque il Tourmalet quando gli altri ormai disperavano di vederlo arrivare. Un canalicolo d’acqua impura serve a dissetare i quattro durante le quattro ore d’attesa prima del passaggio della tappa Jaca-Val Louron la conclusione della quale sarà intravista in un bar di La Mongie intasato da guerriglieri baschi vestiti (si fa per dire) da tifosi di Indurain e visibilmente sbronzi. Imperituro sarà il ricordo di questa tappa, non tanto per la vittoria di Chiappucci, quanto perché il suo profilo altimetrico sarà ostentato sulle terga delle future divise sociali.
La spedizione si conclude con l’ascesa palindromica dell’Aspin allietata dalla consumazione di caramelle definite energetiche dall’anonimo redattore del manoscritto. Probabilmente si trattava di campioni di glucosio puro liofilizzato allo stato di gel. Per niente sazi i nostri si concedono un’ultima strippata pirenaica a Campan, ricordata per la letizia della tintinnante melodia dei cucchiaini che fendendo un gelato di consistenza duro-lignea urtavano ritmicamente il sottostante piattino; e neanche una notte passata ad Arles, fra tori e voraci zanzare anopheles, riesce ad indebolire questa generale allegrezza.
Durante l’inverno il nucleo ciclistico si sfalda. Chiarugi fa il maratoneta, Nucci il cestista mentre Caparrini e Bagnoli si ritrovano sporadicamente per uscite invereconde durante le quali evitano accuratamente ogni salita più dura del Cavallaia.
Il richiamo del Tour è però irresistibile e gli obiettivi prefissati, Iseran e Croix de Fer, sono preceduti da una giudiziosa preparazione appenninica. Un barista di Chiozza, paesino situato lungo la salita di San Pellegrino in Alpe, ha in seguito dichiarato di aver rianimato col caffè due ciclisti che si erano accasciati nel suo locale dopo essere stati staccati da un loro più allenato compagno di viaggio (che li attenderà per circa un’ora sul passo).
Nonostante le condizioni atletiche chiaramente differenziate, i soliti quattro ciclisti uniscono nuovamente animi e bagagli per il Tour scegliendo come base logistica Bourg-St. Maurice. Il principio ontologico sembra vacillare perché l’albergo è dotato di TV in camera e di una spaziosa hall che diverrà la fucina di sofferte decisioni programmatiche.
Il primo giorno, dopo una fugace occhiata alla cartina, è dedicato ad un giro di scarico con la scalata a ranghi compatti di Cormet de Roselend (in macchina), Colombiere ed Aravis con visione della tappa diretta a St. Gervais in un tratto assolato e pianeggiante. Il ritorno alla macchina per la successiva scalata del Cormet prevede il passaggio da Sallanches e Megeve che la fugace occhiata alla cartina aveva considerato d’uguale quota ignorando le minacciose frecce ascendenti sulla strada fra le due località. Ah quanto a dir qual era è cosa dura esta salita selvaggia e aspra e forte che nel pensier rinova la paura! Un’inattesa successione di tornanti stipati di autoveicoli si dispiega davanti al basito Caparrini che ad un certo punto ode risuonar nell’aere i fiati di un’orchestrina di Combloux che scambia per le trombe del giudizio. Allora si ferma ad aggredire una fontana con aria stancamente rassegnata ed animo non propriamente benigno nei confronti dell’ideatore di cotanto giro di scarico (probabilmente Chiarugi) che di scarico ebbe soltanto i gas.
In confronto al Megeve, i 48 Km di Iseran diventano una rilassante escursione montana alla quale infatti partecipano anche due commercialisti empolesi notoriamente sedentari e sovrappeso (le fonti comunque non dicono con quali mezzi essi siano giunti sulla vetta). Indurain lascia libero Chiappucci che vince al Sestriere mentre i nostri per assistere televisivamente alla sua vittoria sono costretti a consumare un immeritato gelato in un bar di Val d’Isere. Anche questa spedizione però non passerà alla storia dell’Empolitour per la vittoria di Chiappucci ma per le roventi scodelle di lasagne ingurgitate con voracità in un locale di Bourg-St. Maurice[2].
L’elezione di papa Gregorio X richiese 18 mesi di conclave durante il quale i cardinali furono impegnati in estenuanti trattative che portarono ad una decisione finale per sfinimento. Qualcosa di analogo deve essere successo la sera del 18 luglio 1992 nella hall dell’albergo quando si trattò di decidere l’ora di partenza per St. Jean de Maurienne, da cui era prevista la scalata della Croix de Fer. Rispetto all’animato conciliabolo fra i quattro ciclisti e i due sedentari, gli ultimi sei erti chilometri di questa salita provocarono sicuramente meno sofferenza ed anche le usuali quattro ore d’attesa sul passo (uno dei luoghi più torridi di tutto l’emisfero boreale) sembrarono vieppiù brevi.
Il giorno dopo, con tre voti a favore ed uno contrario, la scalata del Nivolet, che era stata ottimisticamente ventilata, fu cassata e ignominiosamente sostituita da una passeggiata turistica per le vie di Cogne con ovvia sosta al ristorante dove le estenuanti contrattazioni riguardarono stavolta la mancia da elargire all’avvenente cameriera.
È stato recentemente restaurato un prezioso frammento cartaceo datato 3 marzo 1993 che rappresenta l’atto di nascita ufficiale della Ciclistica Empolitour. Esso sancisce de iure un’aggregazione già consolidata de facto e soprattutto stabilisce i principi dell’uniformità di vestiario e dell’autonomia finanziaria, il che equivale all’obbligo di provvedere motu proprio et sine sponsore all’acquisto dei capi di abbigliamento sociali che ogni anno diventeranno sempre più vari e costosi. Il principio d’uniformità non si estende però alle biciclette, tant’è che Caparrini, Nucci e Bagnoli si dotano di lussuose Colnago reconditamente opinando di poter colmare il divario atletico con Chiarugi che rimane dotato di cancello Ceccherini a tre moltipliche.
La prima innovazione della neonata Empolitour è la partecipazione al Giro in un piovoso week-end dolomitico. Bagnoli con una comunicazione telefonica dagli effetti gastrolesivi[3] decide di non contribuire alla partecipazione nella sua nuova veste di vicepresidente nonché responsabile tecnico. In una Corvara invasa da alte personalità ciclistiche Caparrini, Nucci e Chiarugi vengono notati sotto un tendone da circo pieno di montanari alticci che addentano polli arrosto serviti in mano senza posate, il tutto allietato dai fragorosi ottoni della filarmonica della Val Badia. L'indomani i tre escono a fare quattro passi ed assistono ancora una volta ad una vittoria di tappa di Chiappucci ed un’anticipata vittoria finale di Indurain.
Il nucleo fondatore è di nuovo unito in occasione del Tour che viene onorato con un’aurea quaterna di colli dei quali l’Izoard (2361 m) risulterà il più basso. Ma non poche vicissitudini sono superate per portare a compimento questi giornalieri itinerari verso l’assoluto. Per quanto riguarda la sistemazione alberghiera, il principio ontologico è sostituito da quello di sopravvivenza. A Briançon l’unico albergo libero, già caro, raddoppia i prezzi al passaggio del Tour. A Barcellonette circolano voci terrifiche sulla mancanza di posti nel raggio di 100 Km e quando ormai si era sul punto di predisporre la macchina alla notturna bisogna, salta fuori un insperato albergo di Le Souze che dà dimora a tutti i pellegrini dispersi nell’oscura selva del Tour.
Ciascuno dei quattro ciclisti è oltretutto sottoposto a prove di virilità aggiuntive. Il giorno del Galibier Nucci, costretto al digiuno da una misteriosa cinetosi, subisce l’onta d’essere staccato financo da Caparrini. Nella discesa della Bonette Chiarugi cade rovinosamente distruggendo una ruota e ciò gli nega il piacere d’affrontare in bici la salita verso Le Souze, descritta da Bagnoli e Caparrini con note di iperbolica durezza. La scalata dell’Izoard, preceduta da una cena a base d’insalatina dietetica e pizza in porzioni omeopatiche, fa registrare crisi ipoglicemiche generalizzate. Ci vogliono due lattine d’Orangina per rianimare Caparrini giunto sul passo in un preoccupante stato di ottundimento del sensorio. Prima di partire verso il molt’anni lacrimato Nivolet, Bagnoli, in preda ad una profonda crisi di resipiscenza, invoca il ritorno anticipato a casa ed è ricondotto a più miti consigli soltanto al termine di una tormentata riunione nell’abitacolo della macchina. Mai sofferenza fu però così ben ripagata. L’arrivo a Noasca alle falde del Nivolet riconcilia gli animi col ciclismo e col cibo. Quella paradisiaca salita, abbandonata da ogni consorzio umano, è preceduta e seguita da sontuose strippate. Della polenta concia e della graziosa cameriera di Noasca (alla quale viene elargita come mancia una maglietta da colazione) si parlerà per lungo tempo.
L’eco delle gesta dell’Empolitour si spande per l’orbe empolese producendo nel giro di un anno la triplicazione degli affiliati, tutti appartenenti alle classi sociali più abbienti (evidentemente perché le onerose spese di tesseramento, vestizione e ristorazione erano inaccessibili al volgo). Così troviamo eminenti clinici, insigni operatori finanziari, stimati professionisti del settore edile e imprenditori tessili uniti dalla passione comune per la bicicletta e le cene sociali. Da segnalare la ricomparsa di Magnani che dalla moglie ottiene tre ore settimanali di libertà provvisoria con obbligo di circolazione entro un raggio di 40 Km da Empoli e ritorno a casa non oltre le 12.00. Grazie a questa generosa concessione egli solca ripetutamente i dolci clivi limitrofi e da obeso qual era si riduce in uno stato cachettico insidiando la supremazia atletica finora indiscussa di Chiarugi. La sua partecipazione a Giro e Tour presenta tuttavia le stesse difficoltà concettuali della dimostrazione dell’ultimo teorema di Fermat.
La rivelazione dell’anno è comunque Sani, più noto come Vinicio. All’inizio si distingue per la sua limitata capacità vescicale che lo costringe a ripetute soste nei pressi di alberi o cespugli[4], in seguito mostra doti di genio e sregolatezza atletica quando, per esempio, stacca tutti sull’Abetone indossando una camicia (sic) sotto il completino ciclistico.
Ai nastri di partenza del giro si presentano in sei: il nucleo storico, Sani e Barni un gregario probabilmente scelto per tirare Caparrini in salita. La prima tappa Silandro-Passo Stelvio-Silandro è affrontata con pacatezza d’animo. I 48 tornanti scavati nella roccia della montagna incantata hanno il potere di generare uno stato di atarassia e soltanto la salita di Lasa crea in po’ di scompiglio. Sul passo, prima delle foto di rito, Sani è colto da un’irrefrenabile restless leg syndrome (sindrome delle gambe senza riposo) che lo obbliga a girare vorticosamente nei pochi metri di pianura a disposizione. C’è tempo anche per assistere all’arrivo della tappa vera, Lienz-Merano, dove si attendono gli attacchi di Bugno e Chiappucci ad Indurain. Piomba invece sul traguardo un omino con le orecchie a sventola e la testa spelacchiata, di nome Pantani. I pochi che lo conoscono pensano alla solita vittoria per libera uscita ma il giorno dopo si ricrederanno con piacevole sorpresa.
Arriva infatti il Mortirolo col suo carico di fama sinistra. Le recensioni giornalistiche alimentavano non poco quest’aura minacciosa narrando di ciclisti che si accasciavano al suolo o che fingevano d’aver sete per fermarsi a bere. Ad Empoli erano andati a ruba i pochi esemplari in commercio di rocchetti da 30 denti. Da Aprica a Mazzo in Valtellina Caparrini cerca invano conforto nei ciclisti locali ma il fatto di vederne alcuni col 30x30 o con le scarpe da ginnastica non è di buon auspicio. Dopo pochi metri di salita innesta il suo 39x30 e lo spinge alla ragguardevole frequenza di circa 10 pedalate al minuto dimostrando doti di equilibrismo da navigato pistard. Il resto è storia: Caparrini doma il Mortirolo e Pantani in un giorno passa dall’anonimato al mito.
Il Mont Ventoux è il piatto forte del Tour e i quattro fondatori sono gli unici a partecipare ed a pregustare il paesaggio lunare e il clima sahariano della crosta calva. Mentre in Italia sventolano equivoche bandiere tricolori, i nostri assistono nell’esilio di un bar di Carpentras alla mesta finale calcistica del mondiale americano. Il lacrimato rigore di Baggio precede di un giorno la fuga del granatiere Poli che varca solitario il Monte Ventoso ove i quattro attendono da ore in balia (incredibile dictu) di un ventaccio freddo che impone l’uso del k-way. A fine tappa si ritira dal Tour Bagnoli fuggendo con la moglie Lunardi, una ciclista cui era riuscita l’encomiabile impresa d’arrivare quasi in vetta con la macchina. Caparrini, Nucci e Chiarugi si sottopongono allora al seguente programma a marce forzate:
· Trasferimento di 320 Km fino a Les Deux-Alpes.
· Trasferimento al bivio per il Col du Glandon.
· Scalata edita dell’Alpe d’Huez.
· Ascensione automobilistica del Glandon.
· Pernottamento ad Aiguebelle dove l’unico albergo è dotato di letti a mo’ d’amaca e dove l’unico ristorante offre menu fisso a base di Pal.
· Trasferimento a Moûtiers.
· Ascesa (?) verso Val Thorens per una strada che arriva miracolosamente a 2200 m senza mai salire.
· Trasferimento di 330 Km fino a Sampeyre.
· Scalata del Colle dell’Agnello.
· Ritorno ad Empoli, come si suol dire, stanchi ma felici.
Il 1995 è considerato dai critici l’anno più deprimente della breve storia dell’Empolitour. La partecipazione alle corse a tappe è limitata alla quaterna fondatrice. Al Giro la salita principale è il Maso Corto della quale mai abbastanza meritato sarà l’oblio. Per non parlare della seconda salita (absit iniuria verbo), il passo svizzero del Fuorn su cui i quattro ripiegano frettolosamente dopo un imprecisato disguido a livello doganale. Caparrini, braccato dalla staffetta dei motociclisti del Giro, precede d’un soffio Piccoli che sprinta sul GPM.
Al Tour si rinnova il pellegrinaggio sui Pirenei con base iniziale ad Ax-les-Thermes in un albergo le cui esorbitanti tariffe sono accolte con ironica rassegnazione. Il programma prevede la scalata di due colletti più l’arrivo in salita a Guzet Neige ma il clima da classica del nord ravviva considerevolmente la tappa. Lungo i 7 Km di discesa del col d’Agnes, Chiarugi accusa 10 minuti di distacco dal gruppo e in una Guzet Neige celata da una ghiaccia nebbia Caparrini scopre l’utilità pratica della boutique du Tour e si salva dal gelo grazie all’acquisto della T-shirt officiel (di cotone e a mezze maniche). Anche Pantani comunque vince con la maglia sbracciata.
Il Tour riposa ma non l’Empolitour che il giorno dopo è impegnato nel giro delle tre nazioni, così enfaticamente definito un anello di 140 Km che si sviluppa anche in terra di Spagna e di Andorra su strade rigorosamente statali e trafficate. Bagnoli si distingue per un rapidissimo cambio di camera d’aria al confine di Andorra nella cui densamente popolata capitale i quattro mangiano pane e frittata, esaminano tutte le vetrine che esibiscono gli orologi Festina e, dulcis in fundo, si prodigano nella memorabile ascesa verso Port d’Envalira. I giudizi della critica su questa salita non sono unanimi, ma quando una strada (larga come l’A1 e percorsa in quarta da autosnodati e autoarticolati) culmina in un piazzale con due vasti distributori di benzina, c’è qualcosa che urta contro il comune senso del ciclismo.
Il Tourmalet, che avrebbe potuto risollevare le sorti della spedizione, è offuscato dalla morte di Casartelli. L’Empolitour ricorderà quei giorni per la figura dell’unico albergatore di Lourdes disposto a dare ospitalità. Era un individuo apparentemente losco che aveva un solco lungo il viso come una specie di sorriso ma che in fondo era d’animo gentile ed a qualsiasi richiesta rispondeva sempre di sì.
Pagni, che era fugacemente apparso in qualche cena sociale, entra in maniera dirompente nell’Empolitour provocando epocali mutamenti nelle abitudini e nei costumi del gruppo. Inforca la bicicletta nonostante una spaventosa ignoranza tecnico-culturale fidando di possedere virtù atletiche infuse da anni di podismo e sport acquatici. Si narra però che sull’innocente strappo di San Vivaldo, nel corso della sua prima uscita coi nuovi compagni, egli abbia ontosamente poggiato il piede a terra e che da quell’episodio sia nata l’esigenza delle soste ristoratrici, in passato soltanto occasionali, da allora in poi prestabilite.
Dopo tre secoli di infruttuosi tentativi ad opera delle migliori menti del mondo, il matematico Wiles riesce a dimostrare l’ultimo teorema di Fermat e dopo anni di infruttuosi tentativi Magnani, con la probabile intercessione del cognato Pagni, riesce ad ottenere dalla moglie il permesso di partecipazione al Giro.
L’aggregazione di Pagni e Magnani al nucleo storico è adeguatamente festeggiata col sublime circolo comprendente Gavia e Mortirolo. Le dodici ruote solcano il perituro sterrato del Gavia in una soleggiata giornata di giugno che induce Bagnoli, Caparrini e Pagni ad affrontare la successiva discesa rifiutando orgogliosamente k-way, manicotti e giornali. L’amato Mortirolo respinge Chiarugi che con un temerario 41x26 arranca a velocità di poco superiore a quella di Caparrini. Sul passo trova Pagni in mutande che gli offre per consolarlo un’abbondante quantità d’aranciata Guizza. Si dice che mentre Gotti e Tonkov fendevano due ali di folla plaudente lungo la ripida mulattiera, Pagni passeggiasse con aria disinteressata (sempre in mutande) per le verdi malghe in cerca d’un appropriato recesso. Chiarugi si riscatta parzialmente sul Passo di Croce Dominii esibendosi con Magnani in una volata a due che Rino Negri avrebbe potuto paragonare a quella di Moser e Knetemann al mondiale 1978.
Pagni e Magnani non sono ancora pronti per il Tour che torna alla tradizionale partecipazione a quattro. Le quattro salite principali in programma sono: primo giorno Les Arcs, secondo Iseran, terzo Echelle, quarto Fauniera. Saranno tutte cassate.
Il giorno in cui Indurain conosce a Les Arcs la sua prima crisi i nostri conoscono la loro prima vera giornata di pioggia, quella che si suole definire a catinelle. Da Brides-les-Bains, dove avevano trovato un comodo alloggio ed una colazione servita con un climax di leccornie, partono sotto l’acqua d’intensità costante con numerose fasi di scroscio. Lungo la salita del Cormet de Roselend le ruote solcano letteralmente la strada che somiglia ad un torrente in piena. Sulla vetta, abitata solo da camper chiusi e silenziosi, s’indossano guanti e k-way già fradici sotto una pioggia sempre più fredda e battente e s’intuisce che la discesa sarà esiziale. Chiarugi scende a 15 Km/h fermandosi ogni chilometro per verificare l’esistenza in vita delle dita delle mani, persa ormai qualsiasi informazione su quella dei piedi. A Bourg-St. Maurice i quattro si rifugiano in un ristorante ed a turno si chiudono per mezz’ora in bagno dove un provvidenziale asciugamani a getto d’aria calda salva i loro arti da sicura gangrena. La pioggia cessa dopo 100 Km percorsi in otto ore e la salita finale di Les Arcs è affrontata per un breve tratto fra i ridicoli veicoli della carovana pubblicitaria cercando di sfuggire al placcaggio dei gendarmi.[5]
Il tema dell’elusione dei gendarmi si ripete nella tappa successiva a Val d’Isere, in un continuo smontare e rimontare sul sellino che si conclude a due chilometri dall’arrivo di fronte ad un poliziotto particolarmente caparbio. Perlomeno non pioveva. Pioverà ancora tenacemente a Bardonecchia, base per un programmato giro delle due nazioni con due colli prima dell’insignificante Sestriere. È inutile dire che si ripiegherà sul percorso ridotto col solo suddetto insignificante colle. L’ultimo giorno, quando finalmente il sole fiammeggiava sulle dentate e scintillanti vette piemontesi, troviamo l’Empolitour non sul Colle di Fauniera ma inspiegabilmente nella metropoli di Torino ad assistere alla partenza di una tappa di pianura. Secondo alcuni storici questo miserando ripiego, come quello verso il Fuorn al Giro 1995, fu causato da eventi legati in tutto o in parte alla negligenza del segretario Nucci.
La partecipazione alle grandi corse a tappe raggiunge il massimo storico. Otto sono gli iscritti al Giro, ai sei dell’anno precedente si aggiungono il velocista Bagnoli Andrea e il suo fido apripista Traversari. Un plotoncino di tute biancheggianti invade Saint Vincent la sera prima della tappa diretta a Cervinia e si mette subito in evidenza per un episodio di molestie ad una prostituta stradale. Il neoacquisto Bagnoli Andrea si distingue per una notte brava passata al Casinò ove biscazza e fonde la sua facultade. Il giorno dopo sarà staccato sul Cervino anche da Caparrini. Lo stesso morigerato Chiarugi risente probabilmente del clima godereccio della spedizione e prende sonore legnate su tutte e tre le salite del percorso. Pagni attacca baldanzosamente sulle strade che gli rievocano la luna di miele e, giunto a Cervinia in evidente stato di denutrizione, mangia contemporaneamente due panini. Poi torna indietro nel punto più irrilevante della salita e con la scusa di assistere alla fuga dello sconosciuto Gotti si rifocilla nel bar di una gentile signora trascinando con sé il malcapitato Traversari.
L’indomani, a causa di una pioggerella primaverile quantunque incessante, la visione della 15ª tappa del Giro non avviene sul previsto Mottarone ma in un ristorante di Casale dove si degustano i famosi mitili della riviera monferrina.
Il Tour grazie all’esordio dei due cognati annovera il record di ben sei iscritti. Avrebbe dovuto attenderli un’epica Gran Fondo di 180 Km con tre colli HC, ma più che la pioggia poté una viscida rotaia ove slittò la ruota dell’imprudente Nucci. La sua coscia conseguentemente abrasa da un ruvido muricciolo si mostrò come definitivo ammonimento a desistere dall’impresa dopo che le prime ore dell’alba si erano perse in un inquieto tergiversare fra dubbi e preoccupazioni climatiche. Alla fine quando ormai le nubi si erano completamente diradate i sei partono per una rappezzata Alpe d’Huez e la trovano invasa da mefitici autobus che non di rado s’incastrano nei tornanti bloccando tutta la teoria degli inferociti ciclisti. Meno male che almeno vincerà Pantani.
Tramontata l’idea della Gran Fondo, i giorni successivi si affrontano itinerari d’ordinaria difficoltà: l’edita Croix de Fer seguita dall’inedita e imprevedibilmente dura Madeleine; il Col de Joux Plane dove si procede a ranghi quasi compatti inneggiando a Bjarne Rijs nel modo in cui sogliono farlo i suoi sovente sbronzi tifosi; infine l’apoteosi del Fauniera. Per arrivarci è necessario un interminabile trasferimento automobilistico fino a Pradleves durante il quale Pagni, tormentato da spasmi e borborigmi intestinali, lancia epiteti irripetibili verso varie entità religiose. Pradleves è una ghost town ove un irreale silenzio pervade ogni luogo, tranne la camera di Pagni adiacente ad un tonitruante compressore che per tutta la notte lo invita a rivolgersi alle entità religiose coi medesimi irripetibili epiteti. Si sa che le sofferenze aprono le porte del paradiso e così il mattino dopo Pagni e compagni sono assunti in cielo tramite quell’erta mistica, quel cammino d’espiazione che conduce in un iperuranio spazio senza nome ove eremitici pastori offrono ricotta ed acqua sorgiva in cambio di qualche minuto di compagnia.
Castellano propone di martedì la più importante tappa del Giro col desiato Fedaia e l’Empolitour pur di esserci s’inventa una tre-giorni dolomitica con base a Canazei. I costumi sociali sono ormai irrimediabilmente corrotti dallo spirito gaudente di Pagni. L’albergo è infatti dotato di palestra e sauna che (o tempora o mores !) verrà anche utilizzata dal 50% dei partecipanti. Nei due giorni liberi dalle tappe i sei ciclisti scalano sette colli su ognuno dei quali sostano per consentire a Pagni ed ai suoi sempre più numerosi seguaci di libare caffè servito a tavolino con paste ridondanti di crema e di rimirare il panorama con rituale unzione del viso e delle membra denudate. Nell’unico giorno dedicato al Giro Pagni, perpetuando la sua ignoranza ciclistica, fugge ad un congresso medico e i cinque rimanenti si esibiscono nei decantati dirizzoni del Fedaia prima d’essere testimoni dell’ennesima esibizione di Pantani.
Il Tour è disegnato su misura per Pagni con quattro spensierati giorni sulle amene sponde del lago di Annecy ideale per abluzioni post-ciclistiche e per passeggiate mondane con gelato Carpigiani. Ma Pagni preferisce altre amene sponde e con lui danno forfait Bagnoli in attesa di erede e Magnani tenuto in cattività dal datore di lavoro. Con Caparrini, Nucci e Chiarugi si torna al minimo storico d’iscritti ma la qualità della spedizione non risulterà menomata.
Il primo giorno dedicato al Galibier assurge addirittura a quell’eroica solennità ciclistica che coinvolge non solo il protagonista Pantani ma anche i pazienti comprimari che lo incitano ai bordi della strada. È una grigia mattina di fine luglio che a fondo valle promette pioggia e che sul colle mantiene la promessa. Nucci e Chiarugi arrivano ai 2646 metri fradici e intirizziti suscitando la compassione di alcuni operatori di France 2-3 che offrono loro un sinistro composto chimico dalle effimere proprietà vasodilatanti. L’attesa di Caparrini prima e di Pantani poi è quasi costantemente sotto l’acqua. I tre riescono a conquistare tra la calca qualche lembo di un telo di nailon, sbatacchiato dal vento freddissimo, sotto il quale s’intravede un televisore da 5 pollici che trasmette la tappa. La febbre della passione ciclistica riscalda anche i corpi e pertanto la discesa non arreca molti danni. C’è anche il tempo di assistere all’apoteosi pantaniana a Les Deux-Alpes tramite un altro televisore da 5 pollici che obbliga ad ergersi su un’instabile panca per lanciare lo sguardo aldilà di varie file di teste prevalentemente italiane.
Il mattino dopo si consumano a colazione tre croissant e tre Équipe dal titolo C’EST UN GĒANT che in cuor suo ognuno dedica un po’ anche a sé stesso. Nel prosieguo della spedizione si apprezza nuovamente la cattiveria della Madeleine, si conosce sul Mont Revard la beffa dello sciopero dei ciclisti, si guata il panorama lacustre dal Col de la Forclaz pensando a Pagni e si dichiara chiuso il Tour con un’impacciata nuotata ed un buffet in cui vige la gradita regola della consumazione ad libitum.
La legge sulle pari opportunità ha ripercussioni anche sull’Empolitour che accoglie nelle proprie fila, insieme al canottiere pluridecorato Castiglioni, la leggiadra Bertelli. Ciclisticamente ella mostra un’ignoranza tecnico-culturale non inferiore a quella di Pagni ma quando spinge sui pedali cela con virile eleganza queste sue lacune. Non a caso le cronache dell’epoca ne esaltano le gesta in svariati agoni ciclistici e non v’è gruppo incrociato per strada che non comprenda almeno un membro che la riconosca e la saluti col dovuto ossequio. Nessuna pendenza stradale le è nemica e si narra che abbia scalato il Mortirolo quasi inconsapevolmente.
Quando Castellano propone il Fauniera al Giro si plaude alla riedizione del giorno mistico del ‘97 ed anche i nuovi adepti aderiscono magno cum gaudio. Alla fine i partenti per Demonte saranno in sette a causa dell’ennesima defezione in extremis di Bagnoli. Il primo punto fisso della spedizione è la degustazione come nel ’97 delle specialità di Salomone Guido: spaghetti con Pomì, fettina panata e narrazione finale di episodi di guerra partigiana. Se gli spaghetti e la fettina sono esattamente identici a quelli di due anni prima, si scopre invece che il narratore partigiano non era Guido ma l’inopinatamente deceduto Giuseppe (che invero sembrava già in limine vitae nel ’97).
Il Fauniera, che gli indigeni conoscono come Colle del Mulo, è affrontato con totale adeguamento toponomastico da Castiglioni che si carica sulla groppa un basto di qualche decina di chili. Soltanto così riesce a farsi staccare da Nucci e Chiarugi che ingaggiano la solita asperrima battaglia.[6] Giunto sul colle, Pagni mira subito al secondo punto fisso della spedizione: la visita all’eremo del giovine pastore conosciuto nel ’97. Colla sua suadente loquela riesce a plagiare anche l’inesperta Bertelli trascinandola in una delle esperienze più sconvenienti che un membro dell’Empolitour abbia mai provato: vedere il passaggio dei ciclisti in discesa. Tanto più che l’ascetico pastore, evidentemente sedotto dalle lusinghe della mondanità, aveva abbandonato l’alpeggio perfuso quel giorno da una gelida nebbiolina che controindicava la sosta ad ogni animale a sangue caldo.
Biella, appestata dai rosei bubboni di un raduno cicloturistico, è la sede di partenza della seconda tappa con arrivo ad Oropa. Si sceglie d’allungare la minestra con l’oasi naturale del valico di Bielmonte ove Pagni e i suoi proseliti addentano enormi schiacciate ripiene dopo aver rinforzato con paste ipercaloriche una colazione alberghiera a dire il vero offensiva per la sua frugalità. Dopo la profanazione del santuario della Madonna Nera, i sette si predispongono lungo le transenne all’arrivo del sanguigno Pantani che eccelle in una specie di corsa ad inseguimento.
Al Tour si schiera l’inedita quaterna Caparrini, Chiarugi, Nucci e Pagni divisa in due fazioni, gli epicurei (Nucci e Pagni) e gli spartani (Chiarugi) moderate dal presidente Caparrini. Tornano i Pirenei ma il tema della spedizione è il lungo litorale da Sète a Le Cap d’Adge nelle cui acque marmoree i quattro si concederanno due fugaci bagni per stemperare la monotonia delle migrazioni. A Lourdes Pagni sfoggia tosto la sua imbarazzante intraprendenza intimando al primo passante di salire in macchina per condurli ad un albergo. L’omino, intuendo la qualità degli avventori, li accompagna in una bicocca senza stelle governata da una compita madame le tariffe della quale, ovviamente modiche, salveranno la spedizione dal tracollo finanziario. Gli epicurei prendono infatti l’indiscutibile sopravvento e colui che dovrebbe essere il moderatore dà loro regolarmente pieno appoggio. Le cene sono sempre bagnate da vini pregiati che per tre quarti del loro volume rimangono nella bottiglia di origine. Al prezzo di quattro nutrienti Carpigiani vengono bi-giornalmente acquistati gelati che sono la quintessenza dell'impalpabilità. La Dame Blanche,[7] che nel ’91 fu oggetto di scandalizzate reazioni, nel ’99 diventa la regola. Soltanto la pertinace opposizione della fazione spartana consente di scongiurare la paella o il boeuf bourguignon.
La tipologia delle soste in bicicletta, oltre a quelle tradizionali sui pochi passi scalati, si arricchisce di nuovi pretesti: visitare cimiteri, ingurgitare le indeglutibili pattone ed acquistare patè de fois gras (una forma altamente pura di colesterolo esterificato allo stato semisolido). Le salite fra una sosta e l’altra meritano comunque un breve excursus per fissare le immagini più significative: Tourmalet e Luz Ardiden nella cui discesa Caparrini riesce addirittura a sostituire da solo la camera d’aria forata, Piau Engaly dove Pagni insegue in mutande le esterrefatte fanciulle della carovana pubblicitaria, Soulor ed Aubisque a cui la nebbia sottrae lo spettacolo del Cirque du Litor ma che consente agli epicurei di orinare indisturbati sull’orlo d’un precipizio.
È l’ultimo Tour degli anni Mille. Sic transit gloria mundi.
[1] Tipico dolce pirenaico avente densità ³20x10³ g/L tale che, impastato di saliva, costituisca un bolo non deglutibile senza spasmi esofagei diffusi
[2] Il successo di questa pietanza a base di Pal, servita a temperature tali da cagionare fastidiose flittene linguali, appare razionalmente incomprensibile. Ciò nonostante pare che alcuni membri dell’Empolitour abbiano successivamente organizzato una vacanza in quei luoghi per ripetere siffatta esperienza gastronomica con le proprie consorti.
[3] Sono stati infatti segnalati strani fenomeni di gastrite acuta erosiva in soggetti appartenenti all’Empolitour che abbiano ricevuto simili telefonate di disdetta. Tali episodi non sono particolarmente gravi ma tendono a recidivare con facilità.
[4] Nel gergo dell’Empolitour il nome Vinicio si associa per antonomasia alle soste per finalità minzionali. L’espressione sosta-Vinicio è poi divenuta d’uso comune anche in ambienti extraciclistici e pure l’Accademia della Crusca si è espressa favorevolmente sull’uso eufemistico di questo neologismo.
[5] La carovana pubblicitaria ed i gendarmi del Tour meriterebbero un’approfondita analisi sociologica. Basti qui ricordare che per la prima volta l’Empolitour non usufruisce del prezioso servizio di distribuzione gratuita di gadget offerto dai francesi per alleviare le interminabili attese dei tifosi ai bordi della strada.
[6] Alla luce delle mediocri prestazioni atletiche di Magnani e Jimenez su questa salita, si può invocare per loro l’adeguamento alla variante toponomastica considerata più corretta del valico, cioè Colle dei Morti.
[7] Gelato che consta per il 95% di panna ottenuta con circa 10 ml di latte vaccino ad un prezzo pari a 10 tetrapak da un litro della suddetta bevanda.