Ciclomaratona "Giubileo" EMPOLI - ROMA (km 300)
- da piazza Farinata degli Uberti a piazza S. Pietro in Vaticano -
L'Empolitour celebra il Giubileo dell'anno 2000 con questa impresa eccezionale. Rispetto alle precedenti edizioni, proposte ma mai effettuate, la tappa si arricchisce di alcune deviazioni dalla via Cassia particolarmente significative dal punto di vista ciclistico e si propone, con i suoi 300km e 2318m di ascensione, di stabilire un record assoluto di percorrenza giornaliera.
PROGRAMMA
Sabato 17 Giugno
ore 6.00: ritrovo in piazza Farinata degli Uberti e partenza dopo le foto ufficiali.
Salite da segnalare:
Torrenieri-S. Quirico d'Orcia: strada apparentemente innocua, è conosciuta per essere sede di gare automobilistiche in salita; a ogni edizione della corsa pare si verifichi un'ecatombe di motori.
Radicofani: si sale seguendo l'antico tracciato della via Cassia verso la Rocca di Ghino di Tacco; la pendenza media non inganni: sul tratto La Bisarca - Le Conie ci sarà da soffrire.
Acquapendente: sembra una salitella di 4km alla media del 4%; il nome è comunque inquietante.
Montefiascone: non discesa verso una località celebre per il vino bianco.
Monte Venere: epicurei decisamente favoriti su questo GPM; la scalata inizia a Viterbo e si arriva agli 850m seguendo la strada panoramica dei monti Cimini che costeggia il lago di Vico. Con i suoi 10 km e 501m di dislivello è la salita più impegnativa della giornata.
Monte Calvi: al km 243 godiamoci questi 6 km con pendenza media del 5%.
Dato il carattere totalmente inedito di gran parte del percorso e l'assenza di indicazioni più precise nelle cartine in nostro possesso non sono da escludere (purtroppo o per fortuna) ulteriori salite e strappacci imprevisti. Inoltre la parte conclusiva della tappa relativa all'ingresso in città potrà subire delle variazioni rispetto a quanto previsto in funzione delle condizioni del traffico e della viabilità locale. Contrariamente alla tradizione Empolitour le soste Pagni questa volta non sono prestabilite ma saranno decise di volta in volta e si prevedono comunque numerose; l'incertezza sull'orario di arrivo non dovrebbe in ogni caso pregiudicare la sistemazione alberghiera e la meritata cena. Inutile dire che la Capitale, famosa nel mondo per la sua cucina oltre che per la storia e i monumenti, offre una gamma praticamente illimitata di ristoranti e trattorie dove potremo gustare le specialità locali si spera senza sensi di colpa. L'imbarazzo della scelta si ripeterà per il canonico gelato che, in barba ai rimbrotti della fazione spartano/integralista, sarà consumato in uno dei mondani bar del centro; qui la presenza di Pagni potrebbe garantire performances da copertina di Novella 2000.
Domenica 18 Giugno
Per la prima volta nella storia dell'Empolitour non ci sono colli da scalare né tappe da vedere per cui la mattinata, che inizierà con una comoda sveglia seguita da una lunga colazione, sarà dedicata prevalentemente al riposo e al turismo. Sarà forse possibile un giretto di scarico (facoltativo) da decidersi in base alle condizioni psicofisiche residue. Il ritorno ad Empoli, quasi sicuramente in treno, avverrà nel pomeriggio e si preannuncia non meno avventuroso del viaggio di andata.
L’Empolitour, dopo aver conquistato le più alte e
ripide vette d’Europa fronteggiando con vigore e sprezzo del pericolo le forze
più ostili della natura, decide di sottoporre l’anima e il corpo
dell’uomo-bicicletta ad un’insolita prova d’audacia, un pellegrinaggio
ciclistico di 300 chilometri da Empoli a Roma. È un tragitto simbolico rimasto
per un lustro nel limbo delle idee provocatorie e delle occasioni perdute per
mancanza di un sufficiente fervore aggregante e di un necessario stimolo
trainante, condizioni che permettono di smuovere dall’inerzia le gambe più
allenate e di infondere energie quasi paranormali a quelle che sembrerebbero
inadeguate. Il pretesto del Giubileo sembra l’ultima occasione per rilanciare
questa sfida contro le imperscrutabili insidie degli spazi e dei tempi estremi.
È un itinerarium mentis et corporis ad
infinitum ma molti membri dell’Empolitour non percepiscono questo aspetto
poetico e filosofico e non riescono a scoprire il fascino nascosto sotto il
velame del disagio, delle difficoltà e del dolore che sono comunque a priori
garantiti. In cinque si offrono con convinzione ed ardimento a questa fuga verso
l’ignoto:
Bagnoli L.
La ciclomaratona Empoli-Roma è una sua creatura che viene alla luce dopo cinque
anni di travaglio. Introduce alcune migliorie nell’antico progetto e si
appresta a sorbire in un sol giorno una quantità di chilometri di poco
inferiore alla sua dose abituale mensile.
Bertelli.
In questo parto difficoltoso svolge il ruolo della premurosa levatrice. Col suo
brioso afflato organizzativo e la sua innata arte maieutica riesce a dissipare
ogni perplessità dai compagni più titubanti o diffidenti. Teme soltanto
l’eccessiva intimità col sellino.
Boldrini.
Coglie al volo l’occasione per mostrare le sue doti di ciclista ad oltranza.
Più che agli aspetti metaforici della spedizione è interessato a calibrare la
carica interna per attuare un prossimo programma di andata e ritorno in
bicicletta.
Chiarugi.
Parte con la consapevolezza di affrontare lunghe fasi di astinenza dalle salite
per andare incontro alla culla della civiltà e della mondanità. È però
attratto dall’inusuale esperienza di sofferenza ciclistica per lenta
consunzione fisica da cui può sempre trarre ispirazioni narrative.
Nucci.
La sua consacrazione come granfondista sociale (nonostante qualche perdita di
orientamento) dovrebbe renderlo immune dai nocumenti della lunga distanza.
L’assenza di Pagni gli conferisce anche l’onorevole ruolo di responsabile
delle attività sibaritiche del gruppo.
Piazza Farinata degli Uberti ore 6.20, è tempo di
migrare. Quattro baci assonnati della Bertelli servono a perdonarle 15 minuti di
ritardo e qualche negligente disguido di vestizione. Per una sessantina di
chilometri il gruppo è immerso in un silenzio a volte preoccupante. Il vento,
frontale fin dalla partenza, sembra spazzare via anche i pensieri che sono lenti
e appannati come le pedalate. L’attraversamento di Siena è effettuato col
criterio della massima laboriosità. Guidato da Nucci, il plotone cerca
d’imboccare le stradine più sconnesse del centro, possibilmente contromano e
in presenza di vigili urbani. Nel labirinto della città qualcuno chiede
indicazioni per Piazza S.Pietro ma non viene preso sul serio. A questo punto il
buon esito della spedizione dipende dall’incontro fra una gentile portaborse
(Brunella da Pulica promessa sposa di Boldrini) e due angeli custodi che, con le
umane sembianze di ciclisti romani (Maurizio ed Egiziana), hanno accettato
l’impegnativo compito di scortare, proteggere, custodire e governare i cinque
empolesi altrimenti destinati allo stritolamento nelle caotiche spire
dell’Urbe. L’incontro avviene con la stessa solennità di quello di Teano.
Bertelli funge da coordinatrice telefonica mobile e, nonostante una certa
malcelata diffidenza dei compagni, riesce a riunire le due avanguardie salvando
l’onore e vincendo una scommessa dalla posta in palio irripetibile. Durante il
trasbordo delle borse si scopre che gli angeli custodi hanno un auto piena di
vettovaglie tecniche (e ciò conforta i più goderecci) con un capiente
portabiciclette (e ciò conforta i più pavidi) e che si alterneranno nei ruoli
di guidatore e pedalatore per i restanti 230 chilometri. Si segue il tracciato
della Cassia che si fa sempre più deserta e soleggiata. Nella valle dell’Arbia
i cinque ciclisti, divenuti sei con l’angelo Egiziana e sette con un esponente
locale ingaggiato all’uopo per tirare, si danno un codice di
autoregolamentazione per i turni in testa. Inizia una fittizia e teatrale
polemica di Nucci con Boldrini accusato di tirare troppo poco o troppo forte e
da un punto di vista tecnico-tattico sarà questo il leitmotiv di tutta la
tappa. A Torrenieri c’è la prima deviazione migliorativa introdotta da
Bagnoli. È una salitella di bassa categoria comunque assai bramata dopo cento
chilometri di piattume vallonato. Bertelli rimane staccata per attività
salottiera itinerante con vari pellegrini scarpinatori che la convincono di
provenire da Santiago de Compostela in virtù di una conchiglia ciondolante dai
loro basti. A S.Quirico d’Orcia si assiste alla prima sosta-Pagni. Nessuno osa
chiamarla così per rispetto dell’assente e si utilizzano prefissi eufemistici
(pseudososta-Pagni o sosta-psudopagni) anche per tener fede a dichiarate
intenzioni di morigeratezza nelle soste. In realtà essa soddisfa quasi tutti i
criteri di tempo e di cibo definiti dall’arconte eponimo, manca solo
l’unzione del viso e delle membra denudate. La ginestra o fiore del deserto e
la rosa canina o fiore della Bertelli (rosa come la sua bellezza, canina come la
sua espressività canora) annunciano la seconda deviazione per la rocca di
Radicofani. I sei ciclisti (Maurizio è subentrato ad Egiziana e l’esponente
locale è tornato indietro) affrontano a ranghi non compatti questa blanda ma
panoramica ascesa. Per giustificare la prima sosta mondana Nucci impone la
ricerca del monumento a Ghino di Tacco, ghibellino descritto da Boccaccio nel
Decamerone (“per la sua fierezza e per le sue ruberie uomo assai famoso”) e
riesumato come pseudonimo da Craxi. Tutta questa rinomanza fa sì che la sua
statua (una pietra sudicia e grezza di scarso valore artistico) sia presa
d’assalto dai ciclisti per varie pose fotografiche. Quando si ridiscende sulla
Cassia il sole è allo zenit in un giorno vicino al solstizio d’estate e in un
tratto privo di vegetazione d’alto fusto. Sarebbe il punto meno adatto per
forare ma uno dei fascioncini lisi di Bagnoli lo costringe ad una rapida ma
sudata operazione di cambio camera d’aria con ansimato gonfiaggio ed ingente
consumo energetico. E così sulla salitella di Acquapendente cominciano a
serpeggiare in lui i primi pensieri dubitosi. È comunque per tutti il periodo
di massimo dispendio fisico. Dal chilometro 107 al chilometro 165 si contano
infatti cinque soste di cui quattro mangerecce. Intanto la visione panoramica
del lago di Bolsena distoglie per qualche minuto l’attenzione dalla stanchezza
ma è solo un palliativo perché quando si cala a lambire le sue sponde si
apprezza in faccia tutto il vento di lago che scompiglia i capelli e le membra
lievi e risparmia perciò soltanto Boldrini che tira con noncuranza. Sulla
collina di Montefiascone si annotano 200 chilometri di percorso. I corpi sono
impiastrati di sale a grossa grana e la fatica comincia a stemperare i sorrisi
ma nessuno sembra aver imboccato l’inesorabile viale della crisi, nemmeno
Bagnoli che però si deve fermare all’ombra di un platano per imbandire una
specie di tavola virtuale a base di panini estratti dalle tasche e
sbocconcellati con una medesima flemma. Per rendere più completo il suo picnic
manca soltanto il rinomato vino locale est est est. La prova della verità è il
passo del Cimino a cui il cartografo sociale aveva imposto la denominazione
ginecologica di monte Venere. Su questa salita si assiste anche alla prima ed
unica lieta bagarre della giornata. Nucci, dopo aver recitato per 220 chilometri
la parte del previdente risparmiatore di energie, sferra un attacco plateale che
però alla resa dei conti provoca solo il cedimento limitato ma sospirato di
Boldrini. Dalla vetta all’arrivo manca una sola ma interminabile
sosta-pseudopagni a Ronciglione ed una sola ma parzialmente inattesa salita
prima del lago di Bracciano. Fame e stanchezza diventano sensazioni
indistinguibili che si mescolano al torpido stordimento provocato dalla cottura
ultravioletta delle membra esposte. Per pochi ma pesanti chilometri si sfiora la
riva del lago che induce a desideri peccaminosi di abluzione completa,
bicicletta compresa, anche se le sue acque non sembrano meno torbide della mente
e dei riflessi di chi pedala da 12 ore. La presenza di Roma aleggia sulle strade
ormai appartenenti al traffico motorizzato. I ciclisti cominciano allora ad
estrarre i rifornimenti dalle tasche dello spirito quando ormai il corpo è in
fase di deliquio. Bagnoli, che sembrava predestinato al sacrificio, attacca con
un raptus di vigoria sull’ultimo strappo disponibile; Bertelli intona (si fa
per dire) canzoni con testi più incoerenti del solito; Boldrini guida senza
mani e si lascia andare a contorcimenti inconsulti di esaltazione; Chiarugi
pedala con l’ardore del sonnambulo; Nucci sfrutta il moto ondulatorio
causatogli dalla fame per zigzagare fra i veicoli. L’angelo custode Maurizio
diventa anche faro illuminante, chi perde il suo riferimento è destinato ad una
fine miseranda nella giungla. Per vie che nessuno saprebbe mai ripercorrere egli
guida gli ardimentosi pellegrini verso la santità del Cupolone quando
l’arancia ancora non rosseggia sui sette colli e maschera l’alba di una luna
quasi piena. Le biciclette sussultano rumorosamente sui sampietrini ma le
vibrazioni che avvertono i ciclisti non sono dolorose e si possono soltanto
immaginare le diverse sfumature d’emozione che albergano negli animi in quel
momento atteso da 13 ore e mezzo, quando Piazza S.Pietro si spalanca davanti
agli occhi spenti ma felici. E dopo baci, abbracci, strette di mano e telefonate
s’ode pure riecheggiare la voce tremula del papa che sembra dire:
“L’avventura è finita, andate in pace”.
Dopo questo bagno di retorica quasi mistica è meglio
togliersi gli abituali panni di colui che castigat
ridendo mores e non infierire sui fiacchi ed insonni ciclisti che, dopo una
nottata nella affollata mondanità trasteverina, trascinano faticosamente i loro
corpi inermi fra monumenti e fontane alla ricerca di prelibate bevande e frivoli
acquisti. Si può invece cercare la morale della storia, anzi le morali, una
spirituale ed una materiale. Quella spirituale è che la bicicletta sublima
alcuni principi basilari dell’amicizia: quando sono condivise, le sofferenze
si attenuano e le gioie si rafforzano e fra i ciclisti i vincoli di solidarietà
possono essere più spontanei e forti che fra i normali. Lo dimostra l’aiuto e
l’ospitalità quasi soprannaturale dei due angeli custodi (e di un terzo
angelo olandese che a Roma sacrifica l’appartamento per la disinfestazione dei
puzzolenti ciclisti) senza i quali saremmo oggi a scrivere di qualche rifritto
monte Serra.
Quella materiale riguarda più banalmente il
trasporto passivo degli amati veicoli. Le biciclette, piuttosto che essere
martoriate dal vento e dagli insetti o affastellate in sinistri automezzi,
sembrano gradire il movimento riparato dei vagoni ferroviari almeno finché non
si trovano in promiscuità con certe ferraglie di turisti tedeschi che hanno
messo a repentaglio la stabilità psichica del responsabile tecnico uscito
miracolosamente indenne dalla prova fisica con la sua ciclomaratona.