16-17/06/2001 Silenzi e
altipiani
Si può immaginare un lungo discorso come
un’indefinita successione di silenzi, un’indefinita sequenza di pause tra le
parole e d’impercettibili interruzioni sonore tra vocali e consonanti:
infinitesimi stati di quiete che sommati tra loro formano un pensiero esplicito.
Allo stesso modo una montagna può essere pensata come un’infinita
sovrapposizione di pianure, tant’è che esistono gli altipiani come più
evidente espressione di questo paradosso. Allo stesso modo un lungo cammino sui
pedali diventa una somma incommensurabile di soste, e non soltanto quelle
canoniche e macroscopiche che per l’Empolitour sono istituzioni dogmatiche
della dottrina ciclistica; non soltanto, se vogliamo sviscerare il concetto, la
ciclica ricorrenza dei punti morti fra una pedalata e l’altra durante i quali
le gambe del ciclista sono per un istante ferme. Parliamo più profondamente
delle soste dell’anima, del pensiero e della parola che si susseguono, metro
dopo metro, millimetro dopo millimetro, come in un film che poi altro non è che
una rapidissima successione di fotogrammi statici.
Con queste premesse di pseudofilosofia eleatica può
essere meglio compresa un’opera d’arte ciclistica come l’Empoli-Ovindoli,
durata venti ore al netto di pedalata, due giorni, 487 chilometri, 6011 metri di
dislivello e cinque regioni. Gli autori, che sono buoni atleti ma non
superuomini, hanno forse superato inconsciamente questo viaggio apparentemente
disumano scomponendolo in tante sospensioni della mente e del corpo, in tante
mete intermedie da conquistare. Non sarà la Parigi-Brest-Parigi o la Race
Across America ma per l’Empolitour, dopo la megafondo giubilare Empoli-Roma
2000, questa prova estrema rappresenta un altro gradino di quell’ideale itinerarium
mentis et corporis ad infinitum inseguito dai membri più eclettici,
creativi ed ovviamente allenati.
Questa seconda crociata verso una terra incognita ha
visto come autorevole vessillifera la principessa Beatrice di Spicchio (più
nota alle cronache come Bertelli) che ha riunito attorno alla sua corona tre
ardimentosi cavalieri, Chiarugi da Castello, Nucci da Empoli e Seripa de Roma
(dotato d’armatura sociale per l’occorrenza) e la nocchiera Egiziana ma
inglese, adibita alla guida della carrozza alata, verde come le terre da
attraversare; un’inseparabile tentatrice angelica, una presenza che conforta e
dispensa sorrisi e viveri.
Da tanti milioni di fotogrammi si possono estrarre quelli che, ricomposti, diano all’opera la migliore continuità possibile, ben sapendo che ognuno dei partecipanti ha filmato con i propri occhi panorami di emozioni che nessun racconto potrà mai rivivere pienamente.
7.02 Empoli Km 0
Mentre girano ruote e pedali, ai ciclisti possono
pure girare le palle e come la rotazione degli organi meccanici prosegue per
inerzia anche dopo aver rimosso la causa efficiente del moto, così la
metaforica rotazione degli organi genitali può perdurare a lungo anche dopo la
risoluzione del problema scatenante. Ne è un esempio il cavalier Nucci che per
futili motivi (il metro quadro di cartina del percorso negligentemente
dimenticato da Chiarugi ma tosto ricostituito in disiecta membra) mette
in moto un giramento testicolare che come un’elica lo spinge subito in fuga e
lo lascia tacito ed ombroso per un centinaio di chilometri.
8.05 Chiesanuova Km 23
Prima salita. È noto a tutti che la mamma del cretino è sempre incinta ma si può aggiungere che tale prolifica signora sveglia e manda fuori i suoi figli di buon mattino e che costoro appena vedono una bella donna che pedala si sentono simpatici nel rivolgerle originali epiteti sessuali. Coloro nei quali s’imbatte Beatrice sono solo gli ultimi di una numerosa progenie. Il ministro Buttiglione vorrebbe dare soldi alle donne che non abortiscono, noi li daremmo volentieri a questa mamma se facesse il contrario, sempre.
9.26 Poggio alla Croce Km 54
Sempre in tema sessuale, Beatrice è all’inizio di
un animato dialogo fra il sellino e la sua massima intimità che le parla con un
linguaggio di fuoco e spine. Sono le uniche parole che si odono nell’aria già
calda perché l’umore di Nucci odora ancora di contagiante mutismo.
11.27 Castiglion Fibocchi Km 102
In una strada assolata senza attrattive acquatiche la
sete sveglia Nucci e la sua voce. Chiarugi lo scorta pensoso dopo un tentativo
di ambasciata riconciliante. Più indietro il cavalier Seripa scorta intanto la
principessa nelle sue laboriose operazioni di restauro vulvare, osservate con
curiosità da un ignaro passante. È arrivato il bastimento di Egiziana carico
di frutta. La fame si sfoga su banane e albicocche. La truppa rifocillata
attraversa il ponte di Buriano, il più vecchio della Toscana, più vecchio di
quello Vecchio, nel punto di confluenza fra la Chiana e l’Arno panciuto a
mo’ di lago. Sembra che questo sia il ponte disegnato alle spalle della
Gioconda ma la nostra Monna Beatrice ancora non s’illumina nei suoi
accattivanti sorrisi.
12.28 Valico di Scheggia o della Libbia Km 125
Una salita senza Boldrini è un’istigazione al
quieto vivere così come una sosta senza Pagni è uno stanco appiattimento su un
banale caffè. Presso l’Antico Posto di Ristoro la principessa bevendo si
scotta la lingua. Poco male, ella pensa, se gli umori sono questi l’organo
rimarrà per molto tempo sottoutilizzato.
12.45 Anghiari Km 135
Scrive Machiavelli, riferendosi alla famosa battaglia
qui combattuta nel 1440: “Ed in tanta rotta ed in sì lunga zuffa che durò
dalle venti alle ventiquattro ore non vi morì che un uomo, il quale non di
ferite né d’altro virtuoso colpo, ma caduto da cavallo e calpestato spirò”.
Nell’Empolitour per fortuna lo stato di rotta e zuffa silenziosa comincia a
sciogliersi negli inediti panorami e in una foto pacificatoria sullo sfondo di
una salita al 13% tracciata con riga e squadra come una strada di San Francisco.
13.50 Città di Castello Km 157
Nell’antica Tiferno, poi divenuta Castrum
Felicitatis prima di Civitas Castelli, si cerca d’inseguire un giocondo
spirito turistico, trapassandola da parte a parte sopra un lastricato ameno ma
vuoto come qualche stomaco. Così la fame sovrasta la felicità ma l’incontro
con la carrozza delle vivande è rimandato aldilà del Tevere per disguidi di
viabilità.
14.46 Umbertide Km 178
La successione di infinitesime pause del corpo e
della mente non basta più, ci vuole una sosta vera, non una sosta dell’anima
ma una sosta animalesca per mangiare, bere, pisciare e leccarsi le piaghe
recondite, anche perché da qui in avanti la stanchezza diventa un sentimento
lecito benché prematuro. Davanti allo stadio Città di Torino (nota con
perplessità il cavalier Seripa de Roma e romanista), arena di gloriosa
militanza in serie D della Umbertide Tiberis Calcio, tali necessità moratorie
sono parzialmente soddisfatte. La coreografia di un rovente muro d’orto lungo
la statale non pare infatti degna di Empolitour.
16.17 Gubbio Km 206
Questa cittadina è teatro di una svolta decisiva
negli animi del gruppo, non tanto per le vivide testimonianze francescane e
l’impatto storico e artistico. Dove San Francesco riuscì ad ammansire il
lupo, una gelataia dalle carnose labbra riesce ad ammansire definitivamente lo
scontroso Nucci. Nasce di conseguenza la prima sosta a tavolino che, per
ricordare i luoghi natii ormai lontani, è addolcita con gelato Sammontana
sfuso. Le voci poi tornano a nascondersi fra le grinze ormai diffuse della
fatica. Chiarugi vorrebbe spartire coi compagni il bottino di energie che sente
di aver trafugato alle innumerevoli pedalate, ma può soltanto offrirsi al vento
come instancabile capofila, con un’occhiata sempre rivolta indietro perché,
quando inizia un estenuante mangia-e-bevi sulla via Flaminia, rischia
continuamente d’isolarsi in fughe inavvertite.
18.10 Nocera Km 246
È il momento di guardarsi negli occhi dell’anima,
perché quelli del corpo sono troppo appannati, e decidere dove abbandonare le
dolenti membra fra le braccia della notte. Colfiorito è un saggio compromesso
fra ansia d’immediata requie e sconto sulla gravosa ripartenza
dell’indomani. Fra Nocera e l’hotel Villa Fiorita c’è un emblematico
Colle Croce. La salita è un’ora di raccoglimento tra ferite ancora aperte.
L’uomo non si è piegato alla terra che il 26 settembre 1997 con un mortale
brivido sembrava averlo annientato. Le case ricrescono più lentamente della
vita; i ciclisti osservano con le loro piccole e giocose sofferenze i segni
della lotta fra la crudeltà della natura e la tenacia delle sue creature. Lotta
anche Seripa contro la salita, un nemico molto meno crudele, ma in quel momento
per lui assai strenuo.
19.30 – 8.17 Colfiorito Km 267
Il risveglio sul primo degli altipiani apre pensieri
elevati che fluttuano in una grande palude prima di un piccolo valico e in una
lunga strada accogliente e selvaggia diretta a Norcia. Si svegliano anche le
parole in mezzo a quelle distese di silenzio verde. La principessa Bertelli, nel
suo ruolo di ministro per le politiche relazionali itineranti, non si lascia
sfuggire l’unico ciclista domenicale umbro per recuperare la favella repressa.
La purezza di quei boschi e il profumo dell’acqua del fiume Sordo rendono
quasi tollerabile anche un pugno di civiltà che colpisce i ciclisti sotto forma
di veicoli incolonnati coi loro aliti maleodoranti.
11.40 Norcia Km 325
Campeggia in petroso e latineggiante stampatello la
scritta VETVSTA NVRSIA sulla porta di questa città che da Nortia, dea etrusca
della fortuna, prende il nome e lo divulga nelle sue famose specialità
gastronomiche. Nucci, nel suo ruolo di ministro ad interim per le politiche
mangerecce, conduce il gruppo presso la Boutique del Pecoraro, un’azienda che
davanti alla statua di San Benedetto benedicente espone come insegne cinghiali
decapitati e pecore scuoiate, e in un angusto volume stipa un’originale varietà
di manufatti anatomici come coralline, norcinelle, salamelle, bastoni di fegato,
coglioni di mulo, ciauscoli, capocolli, guanciali etc. Un boccone di ricotta,
offerto dal simpatico norcino con la u facile, è come un’ostia
consacrata prima di una religiosa ascensione verso l’altopiano di Castelluccio.
Dalla salita di Forca Canapine la vista spazia sempre più sconfinata
sull’altopiano nursino per prepararsi alla sublimità del Piano Grande,
gelosamente nascosto fra le cime brulle. Appare d’incanto un grande lago verde
incastonato fra i monti e screziato da gocce variopinte di fiori che sembrano
galleggiare fra i riflessi d’onda delle erbe scompigliate dal vento.
Castelluccio osserva dal suo cocuzzolo tanta meraviglia. L’invasione umana di
auto, aquiloni e deltaplani è una testimonianza pur sgradita di un’oggettiva
bellezza naturale e Seripa commenta dentro di sé che, dopo aver conquistato un
luogo del genere, un ciclista stanco può dirsi serenamente appagato e
serenamente si ritira nella carrozza con la sua nocchiera Egiziana.
13.37 Pretare Km 369
Passa come occasionale luogo di ristoro nel breve
sconfinamento marchigiano ma questo, come leggenda vuole, è il paese delle fate
lussuriose dai piedi caprini che di notte scendono furtivamente dal monte
Vettore per accoppiarsi con bei giovani pastori all’insaputa della loro regina
Sibilla. Si narra che ad un pastore, invidioso perché brutto ed escluso ma
informato dei fatti, le fate concedessero di estrarre ad libitum monete
d’oro dalle tasche purché mantenesse il segreto. Quando però il giovane
ricattatore arrivò ad accumulare un tesoro volle lo stesso fare la spia,
sperando forse in una ricompensa d’altra natura da parte della regina, e le
fate gli fecero perdere tutto. La nostra fata sensuale siede invece coi due
rimanenti cavalieri-maghi mangiando un panino di gomma e maionese, con la musica
dei sette nani come sottofondo. Fatta salva la solita spinosa intimità col
sellino, la sua leggiadra freschezza è ancora intatta. Quando mancavano 140
chilometri alla conclusione aveva commentato con l’irriverente esclamazione
“Solo”.
15.00 Amatrice Km 394
Dopo l’ennesima occulta manovra di riassetto
genitale, la principessa accompagna i paladini in un altro lembo di mondo
disabitato dove, oltre alla carrozza che propala dai gioiosi nocchieri le
incipienti gesta di Roma calcistica, passa soltanto un carro a motore carico di
fieno che ella, più per gioco che per comprensibile delirio da chilometraggio,
scambia per Falkor, il cane-drago della Storia Infinita cavalcato dal piccolo
Bastian nei cieli della fantasia. Anche i tre crociati cominciano a solcare
mondi fantastici con le ruote e con la testa per estraniarsi dallo spazio
percorso che è tutto stampato nei muscoli pazienti ed ora capaci di
accelerazioni solo immaginarie.
16.47 L’Aquila Km 446
Turisti per scelta e spossatezza, i nostri s’acquietano e si refrigerano nel gelato di Piazza Duomo mentre risuonano le bandiere dello scudetto romanista. Beatrice cultrice d’arte mostra agli ignoranti cavalieri la chiesa di Santa Maria di Collemaggio descrivendo il suo stile romanico del XIII secolo e la grandiosa facciata decorata con tasselli marmorei bianchi e rossigni. Un altro capolavoro sta per essere portato a termine. Ora c’è un’ultima salita per elevarsi all’ultimo altopiano ed elevarsi anche ai cieli della compiuta impresa. Mancano 40, 30, 20 chilometri al completamento di questa maestosa opera d’arte in bicicletta. Gli ultimi tocchi di pedali echeggiano nell’altopiano delle Rocche, presidiato da Rocca di Cambio, Rocca di Mezzo ed infine Ovindoli, la magione dei nocchieri sede dell’estremo riposo. È forse l’altopiano più vasto fra i molti attraversati ma nessuno lo guarda con la dovuta ammirazione. Sei occhi, torpidi fuori e felici dentro, fissano solo una strada diritta scandita dalla voglia d’arrivare che nemmeno l’ostilità d’un vento permanente può ormai indebolire.
19.20 Ovindoli Km 487
L’arrivo non è di quelli in pompa magna: un
cartello bianco con una scritta nera, un cassonetto dell’immondizia,
un’anonima piazzetta e una foto sulla scalinata prima d’essere accolti nella
nuvola degli angeli-nocchieri. Ma i nostri personaggi amano la bellezza della
semplicità, perché questo difficoltoso cammino è la somma di milioni di gesti
semplici, di milioni di respiri, di sguardi, di gocce di sudore, di pensieri e
di parole (no, forse queste sono state molte di meno). Molti uomini virtuosi
hanno affermato che le cose semplici sono le più belle, lo ha ricordato anche
la principessa Beatrice narratrice di favole, lei, semplicemente bella, che alla
fine del viaggio come sugo di tutta la storia ha concluso con un candido sorriso
che in fondo ci siamo divertiti.