Giro 2019
San Martino di Castrozza 31 maggio
Il Giro delle Pale
Ciclisti o escursionisti
Anche un patriarca ben memorioso avrebbe difficoltà ad elencare
tutte le spedizioni dolomitiche nella storia dell’Empolitour ma
a ciò sopperiscono i sacri annuari. Fatta salva l’insipienza
topografica sull’esatta delimitazione delle Dolomiti se ne
dovrebbero computare sette, e questa sarebbe l’ottava su
ventisette, indubbiamente inedita perché le Pale di San Martino
furono solo in qualche occasione da lungi rimirate nella loro
petrosa solennità. Il presidente Caparrini nonostante
l’abdicazione dal seggio ciclistico ha sempre un pensiero di
riguardo per i suoi adepti pedalanti quando redige un programma.
S’immedesima nei loro desideri e nei loro sudori prima di
partorire alberghi e percorsi, e nonostante l’inevitabile
ripetitività di corse e ricorse riesce ancora a scovare novità,
come questa di San Martino di Castrozza ove le Pale
giganteggiano e incutono un doveroso senso di piccolezza nei
turisti che aprono le finestre degli hotel, come questo Cima
Rosetta che s’ispira ad una Pala senza che gli ospiti la
sappiano riconoscere con certezza.
Caparrini in qualità di supremo organizzatore e prenotatore ha
allestito al netto delle defezioni e delle iscrizioni tardive
una dignitosa formazione che al netto dell’età crescente e
dell’allenamento decrescente sfida il serio rischio di sbaraglio
in sua compattante assenza. Egli invece non teme disgregazioni o
ammutinamenti in seno alla sua compagine di palafrenieri
scarpinatori che quest’anno consta del solo Masini, una volta
smessi i panni di centauro. Nel gruppo dei ciclisti invece
resterà per sempre vacante il suo ruolo di accentratore,
nonostante la presenza di gloriosi e navigati esponenti dell’Empolitour:
Chiarugi è infatti troppo estremista, Nucci troppo lunatico, la
Bertelli troppo bubbolante, Seripa troppo serafico, Traversari
poco orientato, Bagnoli F poco autoritario, Salani troppo
pacato, Marconcini troppo silente, Cilia poco decisionista,
Scardigli troppo agonista, Mazzanti troppo atletico, Calugi
troppo sedentario, Innocenti poco veloce, Starnella troppo
assente. In questo vuoto di potere non mancano però gli
esordienti: Farinelli garantisce il rispetto giuridico delle
quote rosa e pare destinata alla temibile egida bertelliana;
Starnella M rinverdisce la tradizione del fratello più scarso
assoldato con compiti di gregariato, tradizione in vigore dai
tempi di Serse Coppi, passando per Gaetano Baronchelli,
Prudencio Indurain fino all’attuale Antonio Nibali. Lo Starnella
maior sarà perciò denominato Starnella A, come si soleva
distinguere Bagnoli F dall’estinto Bagnoli A anche se non si è
mai capito chi dei due fosse quello più scarso. In tema di
rinnovamento anche lo storico auriga in fase di quiescenza cede
il timone del disoccupato autobus a Nannariello, sedicente
podista che potrebbe fungere anche da gregario camminante del
presidente. Intanto punta la prua verso Strigno o Grigno.
Strigno o Grigno
Sul programma distribuito alla cena sociale v’era scritto
Strigno ma in autobus il supremo cartografo parlava di Grigno,
abitato da strignati l’uno e da grignati l’altro, ambedue
valsuganotti ma entità distinte, come dalle nostre parti
Martignana e Marcignana. Se la tappa in linea è vergata come
Strigno - San Martino di Castrozza, quando si decidesse di farla
partire da Grigno non sarebbe più la stessa tappa, tant’è che
Chiarugi approfittando di tale libera interpretazione delle
scritture vorrebbe farla passare dal passo Brocon, ricevendo
però contrarietà decisiva dalla metà della componente femminile.
Tutte queste variabili confondenti finiscono per aggravare
l’insipienza topografica media dei ciclisti privi del faro
caparriniano nel momento in cui sono scaricati a Grigno. Prima o
poi avrebbero incontrato le ufficiali frecce rosa della tappa
vera Treviso - San Martino di Castrozza, li aveva rassicurati
Caparrini, e con tali rassicurazioni erano partiti verso
Castello Tesino, fallando seppur per poco il primo bivio: un
presagio.
Siccome la salita è subitanea, il cielo finalmente assolato e le
gambe vogliose dopo il torpore del viaggio, non si notano
preamboli amichevoli: il gruppo esplode e i frantumi tentano
faticosamente di gravitare attorno a centri di pedalata comune.
Mazzanti e Salani guidano, staccandoli, i tachicinetici
Chiarugi, Cilia, Nucci e Scardigli, mentre le femmine governate
da Seripa tentano di attrarre i bradicinetici, fra i quali
spicca Calugi sponsorizzato dalla sagra del papero di Cerreto
Guidi. La salita di Castello Tesino emette un’anteprima di
verdetti che vengono lentamente annullati dal rispetto del
postulato caparriniano di attesa illimitata degli ultimi. La
visione di una freccia rosa e d’inequivocabili addobbi
isocromatici rilassa quella tensione orientativa che in vie
incognite costringe a consultare fotocopie di cartine dissolte
nel sudore o più moderne tracce di GPS. Questi rosei ausili che
illuminano la strada ai derelitti invalidano di fatto l’amicale
postulato caparriniano e insufflano il peggior fumus agonicus
nelle nari dei potenti. La tregua vige ancora a Pieve Tesino,
che un sottotitolo definisce paese natale di Alcide De Gasperi,
e su un passo Forcella a 910 m.s.l.m. che a pensarci bene non
sarebbe dovuto esistere ma che regala i saluti di un gruppo di
bubboni in sosta con le bici a pile. La sua discesa scatena i
ciclisti imbizzarriti: a Mazzanti, Salani, Cilia, Scardigli e
Nucci si aggiunge la foga dei due Starnella, tutti giù a capo
chino come se non avessero mai veduto una discesa.
Chi invece il capo può alzare nota due anomalie non
trascurabili: cartelli blu che indicano convintamente
Strigno nel senso di
marcia dei ciclisti e un cartello roseo ove è scritto
altrettanto convintamente
150 km all’arrivo. Ora, chi non avesse il sensorio ottuso
dall’agonismo dovrebbe ponderare che Grigno e Strigno erano
paesi mutualmente esclusivi in questo percorso e che negli stati
di dotazione degli infallanti computerini dovrebbero mancare al
massimo 70 km all’arrivo, e da queste premesse maggiori giungere
ad unica e ovvia conclusione con immediata frenata inchiodante.
Se invece i ciclisti continuano a proseguire imperterriti per la
loro non retta via è probabilmente per due motivi: o non hanno
ancora capito la differenza tra Strigno e Grigno, o la fede
nelle frecce rosa è talmente cieca da indurre dislessia nel
cartello fra arrivo e partenza.
Chiarugi è il primo a capire dopo qualche chilometro che il
cartello indica un vero moto a luogo e che il luogo è sbagliato.
E prima di capire chi abbia lì piazzato quelle ingannevoli ma
originali frecce rosa, ha già eseguito una resipiscente
retroversione. Per gli otto fogati che lo hanno staccato in
discesa la pena più equa è l’abbandono ai loro destini senza
telefonate mentre ai sette ritardatari che incontra offre
salvifico sconto di chilometri esornativi. I più lesti ad
accodarsi alle sue pedalate riparatorie sono Bagnoli e
Traversari, con Innocenti che però cede sulla riedizione del
passo Forcella dove i soliti ciclisti elettrificati risalutano
perplessi. La Bertelli indugia con Calugi, Farinelli e Seripa
per qualche tentativo misericorde di telefonata ma i forti,
troppo impegnati nel
certamen fingono di non udire gli squilli.
A quel punto la corsa è corsa, ognun per sé e chi c’è, c’è, chi
non c’è, non c’è, mentre Caparrini li sta attendendo ignaro a
San Martino di Castrozza nel quartiere di tappa o dietro una
transenna. Bagnoli, Chiarugi e Traversari si godono
l’inaspettato momento di celebrità su strade di elfi e gnomi che
portano a Lamon rivestito di tutto rosa ma stavolta senza
inganni: ora si trovano sul percorso di tappa odierno, prima
stavano sul tracciato dell’indomani, quello della tappa Feltre -
Monte Avena già dipinto a festa. L’equivoco è costato dieci
chilometri agli accorti battistrada e ai lenti inseguitori della
schiera bertelliana sui quali infierisce anche il fato della
meccanica con improvvisa paralisi della ruota di Calugi. Invano
cercano aiuto fra i lamonesi capaci magari di organizzare una
sagra del papero ma non di riparare una bici. Solo scardinando
un freno l’impassibile Calugi prosegue l’avventura verso le Pale
con agonia di poco superiore a quella che avrebbe patito con
bici integra. L’agonia è invece superba e meritoria per i
reprobi agonisti che si accorgono dell’errore quando s’imbattono
nel cartello di Strigno e sono costretti a ricondursi al caso
originale con un aggravio di venticinque chilometri. Quella che
sarebbe dovuta essere una semplice tappa di trasferimento
diventa una complicata rincorsa contro il tempo. Dopo che
Chiarugi, Traversari e Bagnoli traguardano San Martino con
placida fatica al cospetto delle Pale e dei basiti Caparrini e
Masini, passa un’ora prima di rivedere Mazzanti autore di una
furente rimonta, l’unico che si salva entro il tempo massimo,
mentre gli altri, disseminati in vari gruppuscoli, rischiano
d’essere raggiunti dai professionisti provenienti da Treviso o
d’essere fermati dallo zelo degli italici militi, fenomeno raro
al Giro ma che sarebbe accaduto al Tour già sei ore prima.
Comunque la Bertelli che ha litigato con tutti i gradi della
gendarmeria francese riesce a ripetersi anche con un finanziere.
Bave esiccate, sudori cristallizzati, esoftalmi: segni che
nemmeno l’anno scorso sullo Zoncolan si erano notati
caratterizzano i ritardatari su questa irrisoria salita.
Caparrini li vede sfilare con quest’aria cachettica e non osa
richiamarli ai propri doveri. L’obbligo di presenziare al rito
della visione di tappa sarà subordinato alle manovre di
riassetto, lavatura e asciugatura. Soltanto gli Starnella sono
ligi al dovere in panni ciclistici giacché costretti a scendere
dall’arrivo di Chavez. Ma nonostante l’errore sia imputabile a
negligenza, imperizia e imprudenza c’è aria d’indulgenza
plenaria.
Attacco o stacco
La giuria composta e presieduta da Caparrini decide in mattinata
di riammettere al Giro tutti i ciclisti finiti fuori tempo
massimo. La colazione del Cima Rosetta con modalità
ad libitum ha portato
consiglio e preventiva energia dopo una cena raffinatamente
geriatrica con piatti tipici serviti da camerieri in livrea,
come la minutaglia di
spatzle immersa in un piatto a forma di sombrero. Senza
clemenza e nutrizione adeguate sarebbe impossibile la
sopravvivenza nella seconda tappa dopo l’esiziale esperienza
della prima, e stavolta non sono ammesse interpretazioni,
varianti o travisamenti: quattro passi senza soluzione di
continuità con visione di tappa sul Rolle dotato di genuine
frecce rosee. Lassù troveranno il presidente ad elencarli dopo
un’innevata scarpinata fino alla conquista di una malga assolata
e di un pranzo invidiato. Degni di partecipare al suo passo e
alla sua mensa i piloti Masini e Nannariello, potenziali
testimoni di un’altra ecatombe.
I ciclisti sono gli stessi e cercano d’imparare dagli errori del
giorno prima. Calugi si sveste della sagra del papero per
indossare un poco promettente Skatzi. La partenza in discesa
impone precoci mantelline che celano tutte le diverse
espressioni tessili di socialità, con l’evidente discromia della
Farinelli a cui Caparrini non è riuscito a vendere nessun capo
della boutique Empolitour. La svestizione delle suddette
mantelline a Siror rappresenta l’ultimo episodio d’ecumenismo
prima di cena. Il passo Cereda è sufficiente per un’equa
bipartizione: fra il gruppo di Chiarugi e quello di Calugi si
stabiliscono due diversi fusi orari in mezzo ai quali
vivacchiano Starnella A orbato di fratello e Marconcini dotato
di civettuola bandierina rosa sul casco. Durante la foto
cartellonistica qualcuno ipotizza addirittura un’attesa
caparriniana dei lenti ma l’ipotesi decade col pensiero della
susseguenza dei colli. La breve Forcella Aurine decreta
l’espulsione di Marconcini per manifesta ridicolezza e la
sparizione di Starnella A per manifesta lentezza. Lo statuario
Mazzanti governa le manovre lungo la valle del Cordevole
brulicante di gallerie mentre ai bradicinetici non par vera
l’esenzione da consimile atletismo che lascia piena libertà di
garrulo trastullo. In ambedue le anime s’insinua però una vaga
sensazione d’inanità. A mezzogiorno un sole vanamente a maggio
invocato su tanti sambaronti ora colpisce di prepotenza le
strade agordine che non dovrebbero salire ma lo fanno, e come
tutte le salite che non contano nuocciono più del pensiero dei
due passi ancora da scalare.
Gli avanguardisti osservano un minuto di raccoglimento a Falcade
per riempire le borracce mentre le soste dei retroguardisti sono
innumerevoli con sommatoria oraria: preparazioni differenti per
affrontare il sottovalutato Valles. Fratello minore del temuto
San Pellegrino, questo passo tradotto dalla cartina all’asfalto
diventa un castigatore implacabile. Salani è l’unico che lo
scala decentemente staccando i volitivi Nucci e Mazzanti. Il
patriarca Chiarugi giunge sderenato ma atteso, Cilia e Scardigli
non pervenuti, gli altri dispersi con prece. Se il Rolle finale
fosse un passo serio, Caparrini, sazio di malga, assisterebbe
ancora una volta a una sfilata di lemuri. Invece scoprono sotto
le ruote una salita dimidiata con blande pendenze che non lesina
tifosi manducanti e avvinazzati lungo i bordi.
Il supremo custode della visione di tappa dovrebbe trovare
convincenti argomentazioni per trattenere i ciclisti da una
rapida discesa in albergo. Mazzanti e Salani sono i primi ad
evadere, Nucci si ferma perché ha fame, Chiarugi si ferma perché
ha tradizione e gli altri rischiano di fermarsi per l’imminente
passaggio della corsa, anche se il lassismo delle forze
dell’ordine al Giro potrebbe consentire subdola infiltrazione
nel gruppo della maglia rosa da parte degli Empolitour e pure di
Skatzi. Calugi infatti nonostante l’estrema bradicinesia veste
in modo attillato e professionale senza orpello di zaino. Su di
lui Caparrini ha impostato il riferimento cronologico perché è
facilmente pronosticabile che dopo il suo arrivo non ci sia più
nessuno da enumerare.
Il Rolle è dotato di ampio cacume ed è meno affollato di una
sagra del papero ma Caparrini riesce comunque a perdere il conto
dei ciclisti: sa dell’esistenza di Bertelli, Nucci e Seripa
barricati in un bar, vede Chiarugi su una panca dedito al salto
del pasto e quando sente gli elicotteri in cielo ipotizza per
gli altri una visione di tappa in discesa sulle terrazze
dell’hotel. Poi però compaiono Calugi e Innocenti. Deludendo chi
li dava già per esplosi, mostrano complessioni asciutte e
flemmatiche, in particolare Calugi appare misteriosamente
sornione e confabulante con altro ciclista dall’aria complice e
di favella cerretese. Forse anche Innocenti sa e finge di non
sapere, ma la verità precede di poco le staffette della polizia.
Volle il caso che nel pieno della passione sul passo Valles,
Calugi sia stato affiancato dall’auto del suddetto cerretese,
abitudinario frequentatore della sagra del papero e possidente
di trilocale a Falcade. Pare che l’intesa fra i due si stipulò
senza troppi convenevoli e che la mano galeotta di Calugi riuscì
ghermire con fermezza il telaio del finestrino abbassato
resistendo alle dure rampe senza mai mollare la presa. Per
rendere più onorevole la scalata il cireneo cerretese parcheggiò
auto e annesso Calugi a Panaveggio affrontando con lui il
restante Rolle in panni ciclistici ed onesta propulsione
muscolare. Innocenti, da loro raggiunto, fu solo testimone del
misfatto ma coerente col suo nome.
Caparrini riceverà accurata e sincera confessione solo durante
la parca cena e con l’animo puro degli ignari assisterà al
passaggio della corsa coi due palafrenieri podisti e i quattro
ciclisti veterani visionatori di tappe. Lo attende una discesa
lunga e perigliosa ma immersa nella bellezza delle Pale ed anche
a tratti nella neve fino al polpaccio. Per i ciclisti invece
l’agio del Giro si conferma anche nell’ultima discesa che in
assenza di blocchi o divieti può essere svolta in comunanza con
gli atleti visionati. Professionisti, amatori, bubboni, bikers
ed elettrici uniti e integrati sopra lo stesso asfalto: una
conclusione idilliaca che al Tour ci invidierebbero.
Passi o cassi
Nell’era moderna dell’Empolitour l’ultimo giorno di Giro è
pensato a guisa di breve esibizione mattutina che renda almeno
meritevole il pranzo obbligatorio ma quest’anno il pensiero del
supremo topografo sembrava trascendere i normali canoni
dell’esibizione. Forse l’attenzione rivolta a sentieri e alpeggi
lo ha reso dimentico degli evidenti limiti della sua squadra
quando ha deliberato un percorso di quattro passi molto più duro
dei precedenti, latori di sconquasso. Pertanto a Caparrini non è
stato necessario indire riunioni o consigli direttivi per
emendare ciò che il buon senso aveva già emendato nottetempo. Il
giro pattuito col rinforzo del San Pellegrino era oggettivamente
incompatibile col pranzo e con la vita di alcuni ciclisti che si
dovranno accontentare di un suo assaggio palindromico, in
pratica un vile anda-e-rianda sul Rolle. E pure questo ripiego è
dissuasivo per Bagnoli, Cilia e Traversari che ambiscono alla
malga presidenziale. Ci sarebbe poi da affrontare anche la
questione della punibilità di Calugi ma anche in questo caso il
giudice opta per la clemenza dopo aver accertato il pentimento e
la volontà d’espiazione con una porzione suppletiva di Valles.
La brevità della prova non implica unanimità. Dopo due curve
risuonano nell’aere terso i bubbolii della Bertelli che vorrebbe
un’andatura moderata e plenaria. In gruppo però rampollano
alcune questioni ancora irrisolte. Starnella A per esempio
vorrebbe fugare l’insinuata evidenza d’essere lui il fratello
più scarso e così parte all’attacco. Altresì Chiarugi vorrebbe
fugare ogni equivoco d’assonanza col rimorchiato Calugi, e detto
fatto parte al contrattacco. L’indifferenza che suscitano nei
tiratori del plotone queste due fughe è ripagata a metà perché
Starnella desiste e Chiarugi insiste e resiste con fanciullesco
fiatone: braccato dai celeri segugi Mazzanti e Salani, riscopre
il magnanimo sangue patriarcale e si dimentica di usare la bici
solo nelle grandi occasioni.
Poi qualcuno organizza una piccola simulazione del giro originario scendendo dal versante opposto e risalendo il solito Rolle dopo una scalata immaginaria di altri due passi, in modo da riprodurre l’inizio e la fine della tappa, faticosa anche nel l’immaginazione. Mazzanti invero va fisicamente pure sul Valles adempiendo per procura al voto di Calugi che si scioglie a Panaveggio. Il Rolle, di diritto, di rovescio, di prima o di replica è il momento più opportuno per riflettere all’ombra delle Pale sulle magnifiche sorti e progressive dell’Empolitour che durante l’anno vanta innumerevoli tentativi di disgregazione e d’estinzione ma che si rianima quando sente la guida attenta e vigile dell’unico e insostituibile presidente, anche se vestito con felpa, scarponi e pantaloni di fustagno.