Giro 2018
Tolmezzo 18 - 20 maggio
Il Giro del secondo Zoncolan o della disgregazione
La conversione del presidente
Indietro,
indietro, d'anno in anno, di Giro in Giro, di salita in salita:
ognuna ricompariva all'animo presidenziale, consapevole e nuovo.
Ricompariva anche lo Zoncolan del 2010 con una mostruosità che
Caparrini sentiva ancora viva ma consolatoria, proprio perché
per lui irripetibile. Si voltava indietro senza rimpianti ma con
la responsabilità di tenere in vita l'Empolitour ciclistica
anche dopo il suo forzato appiedamento.
E fu così che
volle mandare in onda una replica otto anni più tardi con lo
stesso albergo Al Benvenuto di Tolmezzo, le stesse camere, gli
stessi cibi e lo stesso prezzo di cinquanta euri cadauno. Anche
la scrittura del programma ricalcava il passato e nella lista
dei partecipanti si notava più di un cinquanta percento di
reduci: oltre al supremo Caparrini e all'auriga Coletti erano
prioritari di citazione la garrula Bertelli, il taciturno
Chiarugi, il provocatore Cocchetti, il composto Marconcini, il
barbuto Nucci, l'atletico Salani, il serafico Seripa, l'allegro
Tempestini, il pacato Traversari e il pavido Ulivieri. In
un'altra decina stavano neofiti assoluti come Alderighi e Nonni,
e neofiti di Zoncolan, almeno nella versione Empolitour, come
Calugi, Gastasini, Innocenti, Mazzanti, Pisaturo e Scardigli,
per tacer del furgonista Sabatini e della consorte Bartolini,
citati per riconoscenza d'abnegazione e per rimpinguare la lista
ultimamente calante.
Potrebbe anche
bastare questa premessa anagrafica ma per capire bene
l'inviluppo degli eventi occorre almeno un tentativo di
classificazione per attività. Oltre ai ciclisti puri, quelli
dotati di bici e di volontà d'usarla, e al camminatore puro,
Caparrini, ci sono ciclisti impuri, Alderighi e Cocchetti,
dotati di bici e di volontà di non usarla, ciclisti
resipiscenti, Ulivieri, che all'ultimo momento l'hanno lasciata
a casa, motorizzati puri, Coletti, con velleità di sedentariato
e motorizzati impuri, Sabatini e Bartolini, con velleità di
camminamento. Per finire con l'ineffabile Gastasini dotato di
bici motorizzata. Come se questa tassonomia non fosse abbastanza
contorta, bisogna ricordare che al cospetto o al pensiero dello
Zoncolan anche il ciclista più puro potrebbe trasformarsi
temporaneamente o definitivamente in podista. È la salita ideale
per affermare il sincretismo caparriniano. Qui ciclismo e
podismo tendono a una medesima velocità con probabili inversioni
di lentezza. Qui la bici può diventare una soma talmente
insopportabile da desiderarne la rimozione. Altre conversioni o
almeno convergenze non sono pertanto escluse.
Spagliolìo
Il preambolo è
dolce e uguale prima dei due giorni di sacrifici allo Zoncolan.
Il pomeridiano passo Pura dovrebbe consentire la riunificazione
delle due truppe semoventi: i ciclisti impegnati in un cappio
con nodo ad Ampezzo e i podisti con una blanda ascensione dopo
trasbordo in furgone. Facile rievocazione se non fosse per i
guastatori. Col presidente impedalante ognuno si sente in dovere
di proporre varianti di valico, a partire dall'intrigante
Crostis che otterrebbe parecchi voti nonostante sia stato
lanciato dalla Bertelli, notoriamente boicottata. In verità la
Bertelli lancia il sasso e ritira la mano, proprio a causa di
riferiti sassi acuminati che impedirebbero l'accesso alla
panoramica delle vette con le ruote lisce. L'ipotesi rimarrebbe
però celata nelle menti di pochi temerari come Chiarugi e
Pisaturo se non fosse per la dilatazione spaziotemporale causata
prima da una fila autostradale e poi da un pranzo obbligatorio.
Così tra incertezza spaziale e ritardo temporale, è un temporale
scrosciante che lava via l'ultima traccia di Crostis e quella di
Zoncolan impressa nella mente anticipatoria di Tempestini che
vorrebbe levarsi subito il pensiero.
Alle quindici
e quindici, ora di Tolmezzo, ci sono tutti e quindici i ciclisti
appesi al medesimo cappio, in un'ipotetica fila che va
dall'irrefrenabile Pisaturo al pacifico Nonni passando dal
centauro Gastasini con trenta chili di mountain bike elettrica e
scarpe da ginnastica. Tempestini continua però a bofonchiare lo
Zoncolan insoddisfatto dell'andatura del gruppo ritagliata su
Innocenti e Nonni, cosicché nessuno denuncerà la sua scomparsa
nei pressi di Villa Santina. Da Ampezzo, paese famoso per
possedere Cortina, si dipana il circuito e ricomincia a piovere.
L'evento non sembra incidere sull'entropia del gruppo, e pure la
Bertelli lo accoglie senza eccessivo bubbolio, finché non
compare il fatal bivio ed un cartello giallo con una scritta
nera: strada chiusa.
Qui l'assenza
di Caparrini pesa molto e la batteria scarica non consente
consulenze telefoniche. L'antico condottiero avrebbe indossato
il cappellino e guidato l'assalto al grido di:
strada chiusa ma non per
noi. E invece qualcuno ha la pessima idea di chiedere a un
villico informazioni su siffatta chiusura ricevendo
irreversibile dissuasione a causa di un rally. Quello che non
poté la pioggerella lo poté il timore di collisione col
risultato di vile retroversione collettiva verso lidi
imprecisati. Se con l'itinerario presidenziale in tasca era già
difficile rimanere compatti, in questo lavacro
d'indeterminazione la diaspora appare imminente. Nucci, che
sembra un filosofo greco col casco ed è fine conoscitore dei
luoghi, tenta d'incutere autorevolezza sugli sbandati proponendo
percorsi alternativi prima che li proponga la Bertelli.
Gastasini intanto è già fuggito ai box prima della formulazione
dell'ipotesi e Mazzanti lo seguirà di lì a poco. Per i rimanenti
l'unico motivo di perseveranza verso quella nuvolaglia scura è
il ricongiungimento col presidente sulla strada del lago di
Sauris per rimettersi alla sua volontà. Ma nel momento in cui
s'apre uno spiraglio nell'indecisione, la nuvolaglia si chiude e
scarica. I primi a scappare sono il prudente Traversari e il
convalescente Marconcini, poi tocca all'insospettabile Chiarugi
che cela un'evidente inanità dietro l'espressa vacuità di una
salita che oltre l'inzuppamento minacciava un indecoroso
anda-e-rianda.
Intanto a
passi tardi e lenti i tre moschettieri presidenziali, Alderighi,
Cocchetti e Ulivieri ignari del ciclistico spagliolìo stanno
raggiungendo la meta per acclamare i loro beniamini. Perduti
nella pioggia e nelle gelide gallerie, sommersi ma salvati,
sparpagliati ma uniti nello scopo, i ciclisti più puri e
pertinaci meritano alfine sul Pura l'enumerazione caparriniana
che dietro ai prevedibili Pisaturo, Salani e Scardigli colloca
l'incredibile Calugi che non fa rimpiangere il suo pavido
assonante. Il quale Chiarugi non la prenderà bene quando gli
comunicheranno che il rally era una bufala e che i suoi colleghi
sono riusciti a completare il circuito del cappio sia pure in
senso antiorario. In appendice di beffa arriverà anche la
cartolina di Tempestini coi saluti dallo Zoncolan.
Sparpagliamento
Un tempo per
un ciclista era più facile rispettare l'ortodossia del
programma. C'era una tappa da visionare in un punto prestabilito
che doveva raggiungere utilizzando il percorso evidenziato sul
set caparriniano. Con lo Zoncolan invece non ci si deve
aspettare niente di semplice. La principale complicazione è
endogena ed è dovuta all'alta densità antropica prevista lungo
l'erta caprina di Ovaro prima del passaggio della corsa rosa.
Tant'è che anche i camminatori preferiscono sostituirla con
quella ancor più caprina di Priola. Per i ciclisti, come unica
concessione di novità rispetto al 2010, sarebbe invece previsto
un compromesso ragionevole tra percorso rosa col passo Duron e
visione di tappa sullo Zoncolan salendo dal versante
parzialmente edulcorato di Sutrio. Ma qui comincia la ridda di
varianti, eccezioni e opzioni in numero molto maggiore dei
quindici teorici proponenti, giacché molti ne serbano due o tre
nella testa senza essere d'accordo nemmeno con se stessi.
Per
semplificare si distinguono itinerari podistici, ciclistici e
ibridi. Nel podismo puro, oltre all'ascensione caparriniana
imperniata sull'occupazione intermedia di un ristorante, ci
sarebbe l'idea chiarugiana di lasciare la bici in penitenza e
correre fin sullo Zoncolan da Ovaro, evitando così l'inquietante
pranzo itinerante. Più serie ma complesse sono le varianti
ciclistiche, considerando che i forti non si sono dimenticati
del Crostis. Tutte sintetizzabili in tre ipotesi di lavoro.
1.
Estrema. Crostis più Zoncolan, con le sottospecie di Sutrio o
Priola. Umanamente e legalmente se la può permettere solo
Pisaturo.
2.
Eterodossa. Crostis senza Zoncolan, con l'opzione eventuale
della panoramica delle vette. È appannaggio di quelli
interessati più alla televisione che alla visione di tappa.
Genera perplessità l'idea dell'anda-e-rianda di fronte ai sassi,
fatto salvo l'illegale Gastasini che sarebbe attrezzato alla
bisogna.
3.
Riduzionista. Zoncolan senza Duron. Salverebbe l'ortodossia
della visione di tappa e la gamba dei bradicinetici a scapito
del percorso rosa.
Per itinerario
ibrido s'intende invece quello con susseguenza o alternanza di
ciclismo e podismo senza contemporaneità di movimento fra uomo e
bicicletta. Sono perciò escluse le ipotesi di bici in spalla
lungo la via sassosa del Crostis o di traslazione manuale della
bici, molto comune lungo le pendenze infernali dello Zoncolan.
In tale fattispecie s'inseriscono l'interpretazione nucciana che
prevede la custodia della bici nel ristorante espugnato dai
podisti e quella chiarugiana che prevede la custodia della bici
nel furgone di Sabatini. La prima è adattabile al programma
ortodosso e non può prescindere dal trasporto di un basto con le
scarpe da ginnastica, la seconda è adattabile al Crostis e al
salto del pasto ma non può prescindere dall'esistenza di una
seconda chiave del furgone.
Insomma, la
scalata dello Zoncolan sarà molto meno dura della sua
preparazione mentale e fra le otto e le nove, ora di Tolmezzo,
dopo una paginata di ipotesi partiranno i podisti compatti e i
ciclisti divisi in partes
tres.
1.
Ortodossi: Chiarugi (dopo aver verificato l'inesistenza della
seconda chiave), Marconcini, Nucci (col basto per l'ibridazione)
e Salani.
2.
Riduzionisti: Bertelli (anche lei attrezzata all'ibridazione),
Calugi, Innocenti, Nonni e Seripa.
3.
Eterodossi: Gastasini, Mazzanti, Pisaturo, Scardigli, Tempestini
e Traversari.
Tre storie da
raccontare cominciando dagli eterodossi del Crostis meritevoli
di menzione nonostante la manifesta asocialità. Vanno verso una
salita degna d’encomio pur sapendo che non sarà classificata
nell’annuario giacché fuori programma e scalata da una
minoranza. Hanno motori propri e impropri capaci di portarli
senza affanni verso una vetta cui lo Zoncolan ha tolto ogni
consorzio umano senza togliere pendenza e spettacolo. Poi però
subiscono il contrappasso della superbia. Pisaturo che primeggia
in salita è anche il primo ad accorgersi che un tappeto di neve
rende impraticabile la via panoramica anche ad eventuali
temerari che volessero improvvisarsi ibridi, compreso il
motorizzato Gastasini. Per tutti la giusta punizione è
l’anda-e-rianda. A Tempestini vengono comminate anche pene
accessorie: guasta una ruota, viene lasciato solo, torna
indietro dal meccanico, riparte, busca un acquazzone in salita,
ridiscende in ritardo ed è costretto a vedere il passaggio della
tappa in pianura.
Il tempo è scandito dai passi di coloro che si stanno arrampicando sulla mulattiera di Priola dove nessuno rimpiange la bicicletta. Caparrini detta una cadenza che fa selezione. I podisti avventizi Sabatini e Bartolini sono costretti all’autostop che Ulivieri rifiuta solo per puntiglio. Ma dopo un paio d’ore avviene l’ambita conquista dell’albergo Al Cocul che offre un pasto caldo e un rifugio per le biciclette consigliato a chi non se la sentisse d’affrontare i tre chilometri più cattivi di quello Zoncolan. Il presidente perciò si pone sulla soglia con sguardo misericorde annunciando ai ciclisti che passano ingobbiti sul manubrio la possibilità di custodia del loro grave mezzo, per poi salire più leggeri ma sazi verso una celestiale visione di tappa. I primi che transitano sono i riduzionisti che sembrano rifiutare tutti sdegnosamente l’offerta. In realtà la caparbia Bertelli sale e scende da ciclista per poi risalire e ridiscendere da podista. Gli altri invece s’accontentano di brevi tratti di podismo rianimatore e conquistata l’ardua vetta non danno tempo alle nubi d’incupirsi che sono già fuggiti Al Benvenuto. Tranne il catecumeno Nonni che si riveste di tutto punto per aspettare la tappa o quantomeno i quattro ortodossi.
Essi sapevano
da otto anni che il Duron è
nomen omen ma hanno
voluto ugualmente valicarlo per onorare il programma e
descrivere l'emozione del transito nel percorso rosa. Folle
plaudenti come al Tour non si trovano, al massimo qualche
montatore di cartelli e transenne. E comunque anche i cartelli
rosa non impediscono al platonico Nucci, fine conoscitore dei
luoghi, di sbagliare passo a Paularo tentando di guidare i tre
seguaci sul Casòn di Lanza invece che sul Duron.
Quando si
tratta invece dello Zoncolan, nessuno osa confondere Priola con
Sutrio. Per nove chilometri la salita consente relazioni
sociali: Chiarugi con Salani, Nucci con Marconcini possono
pedalare in coppie scambiandosi qualche occhiata. Poi gli occhi
rimangono fissi sul manubrio, l'asfalto o la ruota anteriore che
sembra ferma. A malapena riescono a scorgere Caparrini che si
sbraccia davanti Al Cocul: Chiarugi e Salani guardano e passano,
Marconcini tira innanzi. Cede solo l'orgoglio del mento di Nucci
che chiede asilo nel rifugio ignorando che la Bertelli lo ha
surclassato in questo gioco d'ibridazione. Riduzionisti
discendenti incrociano ortodossi penosamente ascendenti.
Nell'ultimo lentissimo chilometro possono elencare i raggi della
ruota. Quelli del sole non prevengono. Lassù sull'anfiteatro
dello Zoncolan cominciano le previsioni di sopravvivenza. Salani
e Marconcini dopo una breve perlustrazione di shopping tornano a
valle. Chiarugi e Nonni si giocano da soli una permanenza di
cinque ore all'addiaccio per la visione di tappa: il più esperto
visionatore con l'apprendista. Sono seduti su una lignea panca
vicino a un braciere acceso che li tiene in vita per un'ora. Il
dilemma, se rimanere lì senza vedere la salita o spostarsi sugli
spalti naturali senza vedere la salute, viene sciolto dai primi
goccioloni. In meno di un'ora sono a Caneva di Tolmezzo a
visionare la tappa presso il ponte sul torrente But dove
apprezzano le capacità frenanti dei professionisti in curva.
Caparrini sarà comunque indulgente in seguito a questo
sparpagliamento. Spetta a lui con gli altri tre podisti puri e i
due ibridi l'onore della visione più nobile. S'inerpicano
sull'asfalto sorpassando alcuni ciclisti pedalanti o appiedati
per prendere posto nello stadio a cielo aperto dove la pioggia
sembra asciutta e Froome sembra aggraziato.
Disseminazione
Si ricomincia
con un altro Zoncolan e un'altra visione di tappa. E
ricominciano le eccezioni. La notte Al Benvenuto porta qualche
consiglio di rinuncia ma il consesso della colazione potrebbe
anche ribaltare le intenzioni più passive. Girini ed Empolitour
sono per un mattino coabitanti di Tolmezzo e la strada che volge
a Ovaro è libera per la definitiva immolazione. Caparrini da
ciclista ha sempre scansato questa salita e continua a
disdegnarla da pedone. Il suo programma sarà ispirato ad un
riduzionismo contemplativo dentro il perimetro riservato alla
partenza della tappa. I ciclisti invece si svegliano distinti in
tre fazioni: ortodossi, eterodossi e Tempestini. Stavolta
l'ortodossia è maggioritaria ed annovera i prevedibili Chiarugi,
Mazzanti, Nucci, Pisaturo, Salani e Scardigli con gli
imprevedibili Calugi, Innocenti e Nonni, chiosati dall'elettrico
Gastasini che potrebbe prodigarsi per scopi umanitari. Il
plotone degli eterodossi è capitanato dalla Bertelli che
irretisce i malcapitati Marconcini, Seripa e Traversari con la
lusinga di morigeratezza. Li porterà a scalare tanti piccoli
Zoncolan senza mai sapere in qual parte di Carnia essere. Infine
anche stavolta Tempestini fa squadra a sé. Ha già esaurito gli
Zoncolan normali e ora ardisce quello anormale di Priola la cui
asfaltatura, sostiene Caparrini, sarebbe ascrivibile ai crimini
contro il ciclismo.
La corsa degli
ortodossi è la più appassionante perché genera pathos, patemi e
patimenti. In vista di Ovaro c'è già una bipartizione: i
prevedibili anticipano e gli imprevedibili si lasciano
dolcemente abbandonare all'amorevole custodia del ricaricato
Gastasini. I ciclisti che dovrebbero tenere alta la fama e la
velocità già pencolano subito dopo Ovaro, nel tratto di Zoncolan
che non conta. Sanno che l'inferno inizia a Liariis
opportunamente tappezzato di terzine dantesche. Se giovasse
l'esperienza Chiarugi e Nucci sarebbero in testa e Pisaturo in
coda. Ma qui accade l'esatto contrario. Forse chi ha già
partorito due o tre Zoncolan non dimentica i travagli vissuti e
sale col fardello dei dolori dei quindici anni precedenti. È il
primiparo Pisaturo che si esibisce nell'ennesima prova
d'irraggiungibilità staccando pure l'asociale Tempestini da
Priola nella speciale scalata differenziata. Desta scalpore il
secondo posto dell'aitante Mazzanti che con una stazza
caparriniana sorpassa i minuti Salani e Scardigli. Altri minuti
attendono l'intonso Nucci e soprattutto l'equilibrista Chiarugi
che con continuo surplace
su un impedalabile 39x26 conquista il titolo virtuale di
fin de course. Tutti
infatti si dileguano al suo arrivo per non perdere la rosea
partenza di tappa, ritenendo i tre bradicinetici destinati alla
retroversione o in subordine al fuori tempo massimo.
E invece gli
imprevedibili si confermano tali. Dopo una foto augurale a
Liariis il loro inseparabile maestro a pile impartisce alcuni
precetti di sopravvivenza che risulteranno efficaci.
Non misurare
la salita in chilometri ma rallegrarsi per ogni ettometro o
decametro superato.
Ignorare le
icone votive dei ciclisti che segnano i chilometri perché non si
capisce se sono i passati o i futuri.
Tenere lo
sguardo basso distraendosi con la lettura dei graffiti vergati
il giorno prima da tifosi faceti o avvinazzati, spesso
inneggianti alla fuga con la u stretta.
Approfittare
d'ogni slargo per attenuare la pendenza con traiettorie
sinusoidali o spiraliformi.
Fingere
impellenze minzionali o tachicardie parossistiche per invocare
brevi soste in tali rari slarghi.
Non
disdegnare, come estremo ausilio salvifico, il braccio
propulsore del maestro Gastasini che è tenuto al segreto
professionale.
È così che dopo un'asperrima tenzone, disseminati lungo lo strumento di tortura, Innocenti e Calugi riescono a farsi posticipare da Nonni che meritatamente s'aggiudica il titolo di fin de course et de Giro. Un ex obeso che in pochi mesi si è trasformato da uomo della strada a uomo del doppio Zoncolan. E non c'è molto tempo per rallegrarsene poiché incombe la visione di tappa al chilometro zero di Tolmezzo. Anche quest'ultima liturgia si celebra a ranghi disgregati secondo lo spirito di questa spedizione: gruppuscoli d'Empolitour acclamanti e fotografanti dietro le transenne si mescolano alla folla bambinesca. Così tutti torneranno a casa senza dover confessare d'aver percorso cinquecento chilometri per andare al Giro e vederlo in televisione. Così anche il bilancio del presidente chiuderà in attivo. Non solo perché sono avanzati molti soldi in cassa ma anche perché nei momenti di comunione di mensa e di viaggio ha visto volti soddisfatti e riconoscenti. Sbarcano a Empoli ornati di ricordi come trofei e finiscono come hanno cominciato, disgregati con bici e bagagli sotto un temporale.