Giro 2014
Biella 23 - 25 maggio 2014
Il Giro della rivincita
Introduzione
C'era bisogno di un chiaro segnale di ripresa dall'onta. L'Empolitour
aveva subito nel 2013 due gravi affronti: la cassazione
climatica della tappa al Giro e l'interruzione poliziesca di
quella al Tour. Che poi da questi episodi di privazione sia
scaturita una letteratura consolatoria è un altro discorso. Il
supremo legislatore Caparrini tutto l'anno si prodiga per
portare alla visione di tappa un torpedone di ciclisti e non
tollera che uno sbarramento di neve o di gendarmi possa
inficiare l'ortodossia del suo programma. Pertanto fin dallo
scorso ottobre ha annunciato che il 2014 sarà l'anno della
rivalsa: basterà abbassare le quote altimetriche per scongiurare
la neve ed ambire a lunghe pedalate narrative, quasi integrali,
sui percorsi di tappa senza incorrere nei divieti delle forze
dell'ordine che al Giro sono per altro costituite da sparuti e
mansueti volontari che si scongiurano da soli. La
quattordicesima tappa da Agliè a Oropa è chiamata a questo ruolo
catartico anche perché ha un tracciato a cappio che si annoda su
Biella, città industre e dotata di capienti alberghi come
l'Agorà.
Qui si parrà la nobiltà dell'Empolitour: Baglioni, Bagnoli F,
Bagnoli L, Bertelli, Buglione A, Caparrini, Chiarugi, Cianetti,
Cordero, Garosi, Giunti, Maltana, Mancini, Marconcini, Muritano,
Nucci Ri, Nucci Ro, Rinaldi, Salani, Starnella, Tempestini,
Ulivieri, Bitossi, Buglione F, De Rienzo, Gastasini, Goti,
Mazzanti, Pisaturo, Scardigli, Selmi, Seripa. Questi sono i nomi
dei predestinati, molti ancora assetati di vendetta: i
patriarchi Caparrini, Chiarugi e Nucci che ne hanno visti
ventidue e che insieme alla Bertelli sono gli unici superstiti
del Giro 1999, quando c'era anche Pantani e loro erano più
giovani e forti ma andavano da Biella a Oropa per vie più
facili; i consecutivi lunghi come Bagnoli L, Giunti, Muritano,
Salani e Tempestini, che hanno già inanellato varie e datate
partecipazioni e quelli brevi come De Rienzo, Maltana, Nucci Ri
che sono al terzo tentativo; i recidivi o ex esordienti
Baglioni, Cianetti, Mancini, Mazzanti, Pisaturo, Selmi che
riprovano ad esordire con una tappa reale; i redivivi che
tornano al Giro dopo assenze più o meno lunghe, Bagnoli F,
Garosi, Marconcini, Starnella, Ulivieri e soprattutto il
bradicinetico Goti, l'unico partecipante che dichiara un'età
maggiore dei chilometri di allenamento.
In questo rosario di nomi noti, già approfonditi in precedenti
occasioni e comunque assidui lettori di se stessi, non poteva
mancare almeno un ignoto. Trattasi di Gastasini che alcuni
frequentatori di gruppi eterodossi conoscono con l'appellativo
di Maestro, senza però chiarire quale sia la sua disciplina di
docenza. Sembra invero assai ferrato su argomenti tecnici e le
sue dettagliate descrizioni dei motorini elettrici per pedalate
assistite potrebbero rivelarlo più forte di quel che traspare da
una seppur ben curata senescenza.
Con tale carico d'interessante materiale umano e di pesanti
mezzi e bagagli, dopo che le luci dell'alba hanno svelato un
indefinibile grigiore e dopo che il presidente è riuscito a
procurarsi una vistosa escoriazione al ginocchio, il fedele
auriga Coletti e il premuroso furgonista Sabatini sanciscono il
moto dei loro veicoli con destinazione, si dirà, Biella. Invece
no, Pisogne.
Tappa in anticipo
Quel lembo del lago d'Iseo che volge a settentrione tra due
catene non interrotte di monti risale dopo dolci insenature a
prender corso e figura di fiume, ma dove finisce l'Oglio e
comincia il lago nessuno l'ha visto. Tutti sono intenti a
ricercare e ricomporre le parti smembrate e insaccate delle loro
bici ma non tutti hanno capito perché si trovino in uno slargo
di un'anonima via Mazzini di Pisogne. In effetti, scalare il
Plan di Montecampione il venerdì quando il Giro ci va la
domenica non sembra una strategia di rivincita molto sensata se
non si conosce l'evoluzione storica dell'Empolitour. Nel secolo
scorso quando c'erano le auto, i cambi d'albergo e le abitudini
frugali il programma sarebbe stato il seguente: venerdì Biella,
sabato tappa di Oropa e poi trasferimento a Pisogne, domenica
tappa di Montecampione e poi discesa a lavarsi sul greto
dell'Oglio prima di rincasare. Oggi, nell'era dell'autobus, del
furgone di scorta e dell'albergo a quattro stelle queste marce
forzate sarebbero inattuabili, soprattutto per la
quadruplicazione dei partecipanti che però, si badi bene, è
conseguenza non causa dell'agio. In altri termini, non si fanno
programmi più comodi perché i ciclisti sono tanti, ma viceversa.
Se il presidente avesse previsto abluzione nell'Oglio e ristoro
in autogrill invece di doccia calda e pranzo luculliano in
albergo, avrebbe registrato una trentina di defezioni.
Già in queste condizioni la scalata di Montecampione non è
unanime: Seripa è assente, Goti inane, Ulivieri pavido e Bitossi
indecifrabile. Caparrini in autobus ha cercato di educare i
riottosi discepoli con proiezione della sfida fra Pantani e
Tonkov, e con lettura della recensione di Ferraris e ne ha
ricavato sbadigli e disattenzione. Ma la corsa premierà in modo
inaspettato i pochi attenti. Sono dunque ventotto gli aspiranti
scalatori da Pian Camuno a Plan di Montecampione, tutti
Empolitour senza inclusione di eterodossi. Apparenti intrusi
sono De Rienzo, Mazzanti, Starnella e Gastasini che indossano
livree ectopiche, evidentemente non lusingati dallo smercio
presidenziale e itinerante di capi sociali. Dopo tre ripide
curve il gruppo si sminuzza in terne e coppiette. Con un po' di
fantasia si possono riconoscere due nuclei gravitazionali: i
tempestiniani e i caparriniani. I primi cercano di non farsi
staccare dal dominante Tempestini, i secondi cercano di staccare
il presidente Caparrini o in subordine di rimirarne la sua savia
schiena. Salani sembra il più alacre dei tempestiniani mentre
Buglione A presidia la schiena presidenziale a guisa di zecca.
De Rienzo è già disperso. La salita fino ad Alpiaz è monotona e
implacabile, per distrarsi si possono leggere graffiti rosa
lungo i terrapieni dove scorrono riflessioni piene di originale
saggezza, come quella che la scelta della bicicletta è un atto
di libero arbitrio di cui la fatica della pedalata è
un'irrinunciabile e implicita conseguenza (L'hai voluta la
bicicletta? E or pedala).
Le gerarchie e le classificazioni sarebbero già definite anche
senza l'appendice di Plan. Risuona nella Val Camonica la botta
di Nucci Ro che dai tempestiniani rincula fra i caparriniani, ma
per gli altri la salita non sembrerebbe foriera di sorprese.
Ferraris però aveva ammonito per bocca di Caparrini di "tenersi
sulla sinistra ignorando l'arteria che conduce agli impianti di
risalita." La noncuranza dell'ammonimento è così decisiva.
Tempestini sta giocando con Cianetti e Salani, e probabilmente
pensa di staccarli, tornare indietro e staccarli di nuovo, e con
questo giochino da gatto e topolino tutti e tre virano a destra.
Solo una pronta resipiscenza limita il danno al ricongiungimento
con gli accorti Chiarugi e Selmi. Anche Scardigli, Garosi e
Cordero, che ambivano alla schiena tempestiniana, non tengono la
sinistra e si ritrovano con un bonus di due chilometri di
salita. Di fatto, siccome la via destrorsa sale e quella
sinistrorsa scende, per intuitiva buona fede tutti sbagliano
strada o la sbaglierebbero se non incontrassero quelli che
tornano indietro. Tant'è che sbaglia pure Caparrini
evidentemente inascoltato pure da se stesso durante la lettura.
Va a finire che l'errore collettivo non altera il destino dei
tempestiniani perché Tempestini, una volta ristabilita la retta
via, li stacca tutti dopo la sosta. Semmai è il baricentro dei
caparriniani che si riposiziona, perché ne arrivano molti più
davanti che dietro al presidente. Egli è scortato
dall'inamovibile Buglione A e da Baglioni raccolto per strada,
ma il suo compito istituzionale di attesa illimitata degli
ultimi si riduce a poche unità assistenziali, vale a dire
Bertelli, Muritano, Bagnoli L e la strana coppia composta
dall'alcolico Mancini e la sobria Maltana. L'aspetto di Plan di
Montecampione spoglio, deserto e pure freddino non invoglia i
suoi compagni a condividere quest’assistenza perché tutti dopo
poche foto e convenevoli ridiscendono rivestiti in Val Camonica.
È così che ognuno appura l'esistenza in salita anche di De
Rienzo e Gastasini che erano ingiustamente dati per retroversori.
Si scoprirà che Gastasini è pure maestro di carità perché é
riuscito a tenere il passo pedonale di De Rienzo per fini
umanitari e non per crisi.
Ci vogliono più di tre ore fra salita e discesa per ristabilire
a Pisogne lo status quo ante, ma i ciclisti dopo
quest'esperienza di Montecampione sono cambiati nel loro intimo,
sono più fieri, più sudati, più odorosi ma soprattutto più
affamati.
A tutta tappa
A placare la fame di cibo ci penserà l'Agorà di Biella col
buffet darwiniano a cena e a colazione, e riedizione biblica
dello sciame di locuste che atterra sui vassoi e poi si posa
all'unisono sui tavoli senza lasciare traccia di commestibile.
Chi invece ha ancora fame di salite può saziarsi sul percorso di
tappa con Noveis, Bielmonte e Oropa. Come supremo custode del
programma e della nutrizione Caparrini si premura di informare
che il menù non è fisso. Ovviamente i consumatori dell'intero
trittico riceveranno tutti gli onori della cronaca ma per
rispetto dei più deboli di stomaco e di gamba, non saranno
denigrate neanche le varie opzioni riduttive. A parte l'opzione
minima di sola Oropa o quella nulla di sola Biella (scelta
dall'infortunata Cucinotta), le combinazioni binomiali di
riduzionismo, Noveis-Bielmonte, Noveis-Oropa e Bielmonte-Oropa
conferirebbero ai rinunciatari una residua parvenza di dignità.
Va da sé che la fazione degli ipometrici, capitanata da Rinaldi,
sceglie all'unanimità l'unico binomio che esclude l'Alpe di
Noveis, inedita ma già ammantata di sinistra fama.
Anche il commissario tecnico Cassani, occasionale coabitante di
Agorà, vuole pedalare evitando il Noveis. Vorrebbe evitare anche
le foto cogli Empolitour davanti al garage ma un po' per garbo,
un po' per coercizione, svolge con velato sorriso l'ingrato
ufficio. A quel punto la carovana biancazzurra pedinata dal
furgone ammiraglia può muoversi lungo le frecce del percorso
interamente rosa, a parte un breve excursus iniziale su una
rampa di superstrada. Una lunga fase di pianeggiante studio
tiene il gruppo unito e ingombrante. Al Tour a quest'ora del
mattino ci sarebbe già la gente accampata sulla statale, qui ci
accontentiamo di qualche stizzito sorpasso con annessa
clacsonata. Ci sarebbe ancora tempo per cambiare il proprio
destino ma le decisioni prese in albergo paiono irrevocabili.
Presso il crocevia di Azoglio, donne (Bertelli e Maltana),
anziani (Rinaldi e Mancini), inani (De Rienzo e Gastasini) e
pavidi (Buglione A e Ulivieri) rinunciano al Noveis scorciando
verso Bielmonte. E poi appare lui: il fuori quota, colui che
sembrava retrocesso al ruolo di consulente fotografico scende
dall'ammiraglia con piglio e mascelle volitive, e inforca la
bici. È Goti che fa il suo ingresso solenne nell'arengo del Giro
salutando subito quelli che vanno a Noveis, giacché pare a tutti
scontato che per la sua immolazione Bielmonte e Oropa bastino e
avanzino.
Il torrente Sessera funge da Rubicone. Chi lo varca ha già
tratto il dado, perché se è vero che la maggioranza è costituita
da tempestiniani allenati, alcuni ciclisti si affidano
all'azzardo e alla speranza spesso vana che l'esperienza possa
compensare la pendenza. I due Bagnoli, per esempio, che nel 2004
scelsero scientificamente di scansare il Mortirolo da Mazzo,
forse non sanno d'incontrare sul Noveis una sua fedele
riproduzione. E dove non arrivano l'allenamento e l'ardimento ci
pensa l'astuzia. Giunti, Muritano e Nucci Ri chiedono il
permesso di una fuga minzionale ma poi rinunciano ad orinare per
avvantaggiarsi su Tempestini. Egli dal suo privilegiato punto di
vista non li teme e si diverte a lasciarli andare, come non teme
le transitorie baldanze di Pisaturo e Garosi.
Con i rapportini moderni, in cui i denti della moltiplica sono
di poco superiori a quelli dei rocchetti, l'acerrimo Noveis
garantisce la sopravvivenza anche ai più poveri. Solo Chiarugi è
condannato dal cambio ad usare un antico e gravoso 39x21, e lo
si vede zigzagare penosamente tra Cordero e Starnella. Per il
resto sono rispettate le gerarchie di Montecampione e anche i
reprobi fuggitivi subiscono i meritati sorpassi. La scorta
presidenziale non è molto dissimile perché Baglioni si conferma,
Buglione F ottiene l'eredità del padre e il serafico Seripa si
aggiunge. A costoro va un elogio suppletivo, perché alla
sopportazione della salita si somma quella non meno stoica di
rantoli e sibili caparriniani.
A Noveis si contano ventitré Empolitour, nessun eterodosso, due
abitanti e una guardia forestale che, come vedremo, indurrà
l'indomani ad un cambiamento del programma ufficiale come
soltanto la neve era riuscita a fare. A Coggiola dopo la discesa
si tirano i fiati e le somme, e si scopre per esempio che tra i
ventitré c'è anche l'illocalizzabile Bitossi che, ligio alla sua
definizione, in salita nessuno ha visto. A questo punto tutti
pensano di aver già passato la tempesta e di scalare il valico
di Bielmonte al passo dei festosi augelli, vagamente memori
d'informazioni riguardanti un'oasi naturale. Per qualche
chilometro, complici il solicello e la pendenza rilassante, il
gruppo procede infatti come uno stormo di ilari quaglie. Ma
quando arriva anche una muraglia di fiori a ingentilire un
tornante, l'idillio invece di prosperare svanisce con
un'impennata letale. "L'oasi naturale che ti pugnala", titola la
recensione di Ferraris che nessuno ha letto. La pugnalata è
sufficiente per ristabilire la frettolosa bipartizione fra
tempestiniani e caparriniani. Il solicello lascia il posto alla
nebbiolina e nella Val Sesia risuona il boato della crisi
alimentare di Nucci Ro ma anche gli altri non sono molto più
satolli. I due gruppi trovano separati ostelli sul valico,
ignorando la loro reciproca posizione e a maggior ragione quella
degli anticipatori bradicinetici e del furgone a cui qualche
ingenuo aveva affidato le mantelline. Le menti sono generalmente
obnubilate e qualcuno sostiene di aver visto pure Bitossi. Gli
stanchi morsi a panini e torte sono l'unica risorsa terrena per
ambire all'apoteosi di Oropa e poco beati sono coloro, come
Buglione F, che dopo aver atteso invano l'ammiraglia devono
gettarsi ignudi nella diaccia discesa verso Biella.
Nell'Empolitour ci sono molti lavativi ma nessuno nel ricircolo
da Biella é tentato di fermarsi in albergo cassando Oropa, anche
perché dopo tanto deserto qui si capisce d'essere su un percorso
di tappa di un Giro d'Italia. La cronaca della salita non è però
schematizzabile in gruppi o partiti perché ognuno la prende come
atto d’individuale contrizione e molti evitano di aspettare
compagni per non farsi vedere nel loro pietoso stato. Unici
caparriniani sono Chiarugi, Marconcini e Salani che però non
sono intenzionati ad accompagnare a lungo la sua dispnea. È di
conforto una popolazione ciclistica mediamente molto più lenta
anche del più debole o critico degli Empolitour, tanto che pure
Caparrini è sempre in attivo nel bilancio dei sorpassi. In
verità è difficile pensare come abbiano fatto a sorpassare
qualcuno Muritano e Nucci Ri, colti nel duro tratto di Favaro a
velocità statica, tratto che il pur esploso Bagnoli F riesce ad
evitare sbagliando inconsciamente strada.
Oggi, dopo duemila metri di dislivello anche un'innocente botta
non deve essere considerata un vituperio, perché significa che
il ciclista si è eroicamente sacrificato fino allo stremo delle
forze per la causa dell'Empolitour, per vendicarsi di quel
destino cinico e baro che aveva annullato la tappa un anno fa.
Oggi, come pegno alla strenua esecuzione di una tappa quasi
integrale, la solita ironia sugli stanchi e i derelitti lascia
il posto alla lode. Sono perciò descritte senza commiserazioni,
facce ceree, sudorazioni profuse e visioni mistiche. Qualcuno
sostiene di aver incontrato in salita la madonna nera di Oropa o
addirittura la sagoma scura di Bitossi, in realtà si trattava
probabilmente del figlio etiope del locale Marforio venuto a
salutare gli antichi compagni di Giro e Tour.
Tutti questi salmi finiscono nella gloria del traguardo dove i
ruoli s'invertono e i deboli privi di Noveis stanno aspettando i
forti che il Noveis ha reso deboli. E in questo connubio di
debolezze incombe l'arrivo dei veri ciclisti forti, perché al
Giro ci si può permettere il lusso di precederli anche di pochi
minuti senza infrangere il codice penale come al Tour. Il
supremo custode dell'ortodossia ricorda allora a tutti gli
astanti che per coronare il meritato plauso devono adempiere ad
un ultimo e facile dovere, quello della visione di tappa. Ma,
sarà per il freddo, sarà per il senso d'appagamento, sarà per il
fraintendimento di visione con televisione, fatto sta che una
nutrita o forse denutrita schiera di disertori discende
rapidamente verso le mollizie dell'albergo. Rimangono fedeli a
Caparrini soltanto i patriarchi Bagnoli L, Chiarugi e Nucci Ro,
le onorate damigelle Bertelli e Maltana, e i palafrenieri Nucci
Ri e Seripa, mentre Marconcini e Salani sono fedeli alla tappa
ma non al luogo scelto da Caparrini per visionarla, che in
effetti è uno dei più freddi di Oropa, sebbene dotato di
venditore di cibarie, dove compaiono reali e socialmente vestiti
anche i due Marforio.
È qui, sbocconcellando panini dietro una transenna, che avviene
la fatale epifania. Saliva da una di quelle rampe un canuto
ciclista il cui aspetto annunziava un atletismo avanzato ma non
trascorso e vi traspariva una baldanza velata e offuscata, ma
non guasta, da una gran passione. La sua andatura era affaticata
ma non cascante; i pori non davan sudori ma portavan segno
d'averne sparsi tanti. È Goti, il cui arrivo ormai insperato
merita una descrizione solenne e manzoniana. Acclamato più degli
imminenti professionisti e scortato dal cireneo Gastasini, che
si dimostra ancora una volta maestro di virtù teologali, egli è
accolto, nutrito e rivestito dai compagni increduli che si
arrendono all'evidenza, senza indagare troppo sui dettagli del
suo percorso di tappa e del tipo d'aiuto ricevuto dal pio
Gastasini.
Gli atleti che poi ci passeranno davanti a velocità doppia o
tripla potrebbero essere figli nostri o nipoti di Goti, eppure
in quel momento sembrano loro gli adulti e noi i bambini che li
incitiamo e che da grandi vorremmo pedalare in quel modo. In
quell'ora scarsa di visione siamo visionari e crediamo di poter
diventare come loro. Poi in discesa ci svegliamo e ce li vediamo
sfrecciare davanti, abili a districarsi in mezzo alla folla
perché anche loro devono tornare in albergo con mezzo proprio.
Con una differenza sostanziale nella non invidiabile cena che li
attende e che difficilmente sarà un libero sfoggio di voracità
come mostreremo nell'Agorá.
Tappa buchi
Si mangia per pedalare o si pedala per mangiare? Anche a
colazione il dilemma è tangibile, ma un altro più impellente si
sovrappone e riguarda l'antefatto della guardia forestale di
Noveis. Si sa che la gente dà buoni consigli quando non può più
dare cattivo esempio. Egli da sedicente ciclista suggerisce a
Caparrini di non andare oggi a Piedicavallo dopo un circolo
vizioso nel biellese, come vidimato nelle sacre scritture del
programma, ma di sperimentare il giro dei due santuari, tornando
ad Oropa ma dalla terra incognita di Graglia. E il presidente
vacilla, medita, si consulta, rimugina e poi cede al
cambiamento. Ormai il suo Giro non ha più niente da perdere, la
vendetta della tappa è compiuta, i conti saldati e la merce
venduta. Questa domenica ha mere funzioni conviviali e
riempitive. Si pedala per giustificare il pranzo nell'Agorà, si
pranza per giustificare le docce e ci si lava per giustificare
le pedalate.
Il nuovo percorso riceve consensi unanimi, o quasi, perché i due
Buglione tornano a casa, Goti è ovviamente pago, e la Bertelli
bubbola perché la salita del santuario di Graglia potrebbe
somigliare ad un pezzo di Noveis. Continua a bubbolare quando
Caparrini torna in camera perché ha dimenticato la fascia
frontale, quando il gruppo passa col rosso e quando qualcuno si
mette a tirare con troppa foga. Si capisce perché nei pressi di
Donato, al sorgere della prima salita, chi può cerca di
staccarla e riservare il bubbolio ai caparriniani. E si capisce
perché il gruppo dei tempestiniani sia più numeroso del solito
quando si scopre che la salita del santuario di Graglia è
proprio un pezzo di Noveis. Da lì si passa sul Tracciolino, una
viuzza blandamente ondulata che fino ad Oropa mette d'accordo
tutti con l'idillio della verzura, del panorama e degli
strapiombi. Anche il cronista può rilassarsi perché non deve
ricordarsi le classifiche, i distacchi o le botte. Dopo un
tappone può bastare anche un capitolo di scarico solo per
descrivere il ritorno ad Oropa in versione quieta. Una
frettolosa foto in mezzo alla strada è l'ultima immagine di
unità dei ciclisti perché il pranzo nell'Agorà che dovrebbe
essere conclusivo ed ecumenico si svolge con la solita lotta
alla sopravvivenza individuale senza che nessuno soppesi i
sessanta chilometri consumati con la razzia di viveri attuata.
Si pedala per mangiare, è la soluzione del dilemma. Poi
guardandosi intorno nella sala piena di commensali normali, si
scopre una verità nascosta di vita quotidiana che può essere
messa come il sugo di tutta la storia: mangiare senza pedalare é
più facile che pedalare senza mangiare.