Giro 2010

Tolmezzo 22 –24 maggio

Il Giro dello Zoncolan

 

 

Lo Zoncolan, che il presidente Caparrini aveva temuto che potesse entrar con una tappa domenicale del Giro d’Italia, c’era entrato davvero, come è noto. E c’era entrato in un modo talmente endemico che sembrava impossibile evitare il suo contagio senza incorrere in palese violazione dei principi costituzionali del Programma. Si trattava di trovare un compromesso tra la bramosia dei forti e la sopravvivenza dei deboli senza compromettere la presenza attiva sul percorso di tappa ma senza annegare nell’oceano delle folle, così da intitolare la spedizione carnica come diciottesimo Giro d’Italia dell’Empolitour.

Allora il supremo legislatore emanò un decreto dal sapore cerchiobottista: la tappa senza Zoncolan e lo Zoncolan senza tappa e pure senza obbligo di versante. Soluzione gradita ai bradicinetici e non sgradita ai tachicinetici, tanto che l’autobus esaurì in breve tempo i posti bici e l’hotel Al Benvenuto di Tolmezzo fu precettato fin da novembre.

La vertigine della lista non ci esime dalle solite citazioni preliminari secondo il criterio presidenziale che enumera alfabeticamente i tesserati (Barni, Bertelli, Caparrini, Chiarugi, Cocchetti, Giunti, Malucchi, Marconcini, Muritano, Nucci, Pagni, Rinaldi, Salani, Tempestini, Traversari, Ulvieri), gli aggregati (Bartoli, Bitossi, Borchi P, Borchi R, Goti, Lupi, Rossi, Vezzosi) e gli extracomunitari (Cucinotta, Marforio, Seripa).  Alla luce dell’alto tasso di letalità insito nello Zoncolan sarebbe altresì interessante classificare i partecipanti in base al contachilometri, criterio tanto oggettivo quanto sovente inaffidabile perché i ciclisti sono notoriamente mendaci per sottostima quando si tratta di confessare il loro stato d’allenamento. Comunque sulla base d’intercettazioni telefoniche e dichiarazioni giurate si possono individuare alcune categorie di veicoli: ciclisti a chilometri zero (Goti, Malucchi, Vezzosi), ciclisti con incentivi alla rottamazione (Borchi R, Lupi e Rinaldi), usati sicuri (Muritano, Pagni, Tempestini, Traversari), usati insicuri (Barni, Marconcini, Rossi), veicoli con rimorchio o marsupio (Ulivieri), revisionati con successo (Cocchetti), ciclisti da corsa (Bartoli, Bitossi), modelli di ultima generazione (Borchi P, Salani) e ciclisti d’epoca (Bertelli, Caparrini, Chiarugi, Giunti, Nucci).

Sia chiaro che questo tentativo di classificazione svolge un semplice ruolo declamatorio, perché sarà lo Zoncolan l’estremo classificatore, l’orribile giudice che esamina le colpe nella salita e mostra ai ciclisti catena e ruota come strumenti medievali di tortura. Una pena che per due giorni aleggerà sulle spoglie del gruppo, udibile ma invisibile, e sul finale piomberà inesorabile quando gli acrobati saranno già caduti per lasciare posto ai clown.

 

 

La tregua

 

La scelta di cominciare la guerra con la pace infonde serenità e ottimismo nell’animo della squadra, perseguitata in ogni frase, in ogni pedalata e in ogni sonno da spettri di Zoncolan. Tumiec o, come dicevan tutti Tolmezzo, era un’operosa e sedentaria cittadina la cui economia si basava sull’industria del legno e della carta, e che invece da qualche anno si basa sull’indotto turistico e commerciale dello Zoncolan, come la vendita ambulante di pignoni a trenta o più denti.

L’Empolitour pertanto lascia al rumoroso volgo il banchetto dello Zoncolan nel dì di festa e aspetta il dì di riposo per pascersi dei suoi avanzi. Cominciando col rito propiziatorio della catarsi. Il passo Pura è un opportuno nomen omen: purificare l’animo agonistico ad un’imbelle divinità dei monti carnici per essere degni di partecipare alla cruenta mensa. Per i ciclisti normali è un antipastino, per quelli a chilometri zero è un piatto ricco che può giovare gravemente alla salute. Goti e Malucchi sono ovviamente i più adocchiati e nominati perché s’isolano al primo sentore di pendenza. Il pastore Caparrini è costretto a fermare il gregge ad Ampezzo e calcolare in base al loro ritardo la probabilità di riuscire a vedere la tappa del Grappa in TV applicando integralmente il principio d’attesa dei lenti. I calcoli sono pessimistici perché il pascolo è interminabile. Giunti e Traversari orinano due volte, Borchi R e Rinaldi hanno già violato il principio e scalato un bel pezzo di Pura.

L’esito naturale del principio d’attesa è l’avvistamento, quando cioè s’intravedono due sagome caracollanti tutti ripartono in tromba senza troppe domande sul loro destino perché, opinano, dopo avere ascoltato in autobus la recensione caparriniana della salita la loro strada è già segnata. Ed è anche vero che se i baldi scalatori accettano d’interpretare questa ascensione con animo puro, sotto sotto non gradiscono di risultare staccati da due avi come Borchi R e Rinaldi. Così con spirito corporativo ma accelerazioni impercettibili e occhi vigili verso l’alto, un drappello informe avanza nel silenzio dei faggi lasciando una scia di rallentanti ogni volta che la pendenza lo desidera. Pare che sia un desiderio forte nonostante le premesse deboli, perché alla cima rimangono soli Bartoli e Nucci mirati da Cocchetti e Salani dopo l’inevitabile fagocitosi dei due anticipatori.

Gli auditori più attenti sapevano già che il passo non prometteva cartelli e quindi foto segnaletiche. Non era promessa nemmeno la pioggia che invece arriva rinfrescante e punitiva sui lenti, mentre i veloci sono già nel rifugio davanti alla TV. Caparrini che in questi frangenti funge da supremo contabile non solo di denaro ma anche d’anime, cerca con ardua digitazione d’arrivare fino a ventiquattro dopo la diaspora dell’acquazzone. Pressappoco, fra quelli già discesi, quelli tornati indietro e quelli manducanti ci dovremmo essere tutti, sostiene. Ma non può approfondire la precisione del conteggio perché incombe l’arrivo di tappa che con istantaneo emendamento ha deciso di vedere ad Ampezzo.

Per evitare il tragitto bifrontale è preordinata una manovra a cappio attorno al monte Sesilis con acclamazione del lago di Sauris e di una sequela di vibranti gallerie. Ad Ampezzo il presidente si rende conto che le somme sono in debito di Goti e Malucchi ma, sostiene, saranno stati indotti a provvidenziale retromarcia dall’impurezza del passo Pura. La verità scoperta a tarda sera non è molto distante dalla loro sorte ma se ne discosta per la topografia della beata insipienza che li ha condotti sulla via del passo Mauria, violando l’ortodossia del programma insieme alla purezza di allenamenti mai vissuti prima. Omnia munda mundis. I puri di chilometraggio e di spirito e si possono consolare evangelicamente perché ora sono degni di conquistare il regno delle erte: beati pauperes spiritu quoniam ipsorum est Zoncolan.

 

 

Se questa è una tappa

 

Sembra un anello di Moebius e invece è il percorso architettato dal Supremo Cartografo per garantire il maggior numero di chilometri rosa col maggior numero di partecipanti biancoazzurri. Con originale metafora i puristi avevano obiettato che visionare la tappa sulla Sella Valcalda invece che sullo Zoncolan era come andare a Roma a vedere il papa in televisione, ma il Supremo Custode dell’Ortodossia controbatteva che comunque il sommo pontefice delle salite avrebbe impartito la benedizione privata del lunedì senza troppi fedeli scalpitanti tra le ruote.

Con questi inoppugnabili convincimenti la partenza diventa un concilio ecumenico ad onta dei 144 chilometri da sorbire, perché i più neghittosi sanno bene che otterranno indulgenza e menzione anche con un solo circuito. Non sembra nemmeno un avvicinamento al percorso di tappa. Ciclisti in senso inverso si sbracciano per indicarci che stiamo sbagliando strada, ma non ci sono segni convenzionali per spiegare i motivi che ci spingono, unici in tutta la Carnia, a non andare oggi sullo Zoncolan. Oltre a loro incontriamo più volte il Tagliamento sfilacciato sul vasto letto, laghetti verdi come il ramato di Rinaldi e Ottavio Bottecchia morto a Peonis nel 1927 in circostanze misteriose.

Ma non è un mistero che le strade rimangano disabitate anche dopo la prima freccia rosa di Anduins, quando mancano cento chilometri ad un traguardo che non traguarderemo mai. La popolazione locale, verosimilmente emigrata sullo Zoncolan, ha lasciato esposti sulle soglie di casa palloncini, fantocci e biciclette rosa per dare illusione di presenza e partecipazione. In realtà la Sella Chianzutan è scalata solo dagli Empolitour e da un tizio che pedala supino su bici da circense.

Salita facendo con grande stupore s’incontrano un eterodosso asociale, che si affretta a precisare d’essere diretto sullo Zoncolan, e un eterodosso sociale ed effimero, presentato come membro onorario ed unico della sezione friulana dell’Empolitour. Sul GPM ci sono addirittura cinque o sei spettatori che però sotto l’effetto del Tocai credono d’essere sullo Zoncolan e si compiacciono d’aver trovato un posto in prima fila.

Caparrini fa scattare la litania cronometrica del principio d’attesa che dovrebbe completarsi con l’arrivo delle delegazioni piemontese (Marforio) e laziale (Seripa, Cucinotta). Una deroga presidenziale garantirebbe d’ignorare Goti e Vezzosi, esecutori di un solo orbicolo, ma non Malucchi, sedicente integralista. Ma dopo un quarto d’ora dall’arrivo della Cucinotta una deroga della deroga autorizza anche al suo abbandono perché, sostiene Caparrini, a questo punto è meglio che anche lui torni in albergo.

Così dopo 72 chilometri bisogna ricominciare da dove siamo partiti ma con più dubbi, meno ciclisti e con l’unica certezza delle frecce rosa che rischiarano il cammino di un gruppo ormai disseminato. Impossibile è infatti ricostituire le aggregazioni spontanee indirizzate al passo Duron. Una stima affrettata parla di due sottoinsiemi principali e vari pedalatori liberi, fra cui l’intrattenibile Borchi R e l’illocalizzabile Bitossi. Neanche il Duron, altro nomen omen, funge da radunatore perché sul suo angusto cacume c’è posto solo per una sosta di Muritano che esige foto in premio alla pena patita. Naturalmente nessuna traccia di tifosi e nessuna traccia di Malucchi.

Il crocevia dei destini è situato presso il bar Erica di Sutrio dove si chiarifica meglio la decimazione: due Borchi sono tornati in albergo senza Duron, Rossi vi torna col Duron, Nucci è in fuga, Bitossi illocalizzabile e Pagni affamato. Ed è proprio sulla fame dell’arconte eponimo delle soste che si decide la tappa. La sosta Pagni coinvolge Muritano, Chiarugi, Tempestini, Traversari, Giunti, Rossi ed egual numero di panini iniquamente distribuiti. In sincronia parte la sosta Caparrini che coinvolge più o meno tutti gli altri con privilegio per i palafrenieri Rinaldi e Cocchetti riparatori di ruota presidenziale.

L’indugio è decisivo perché favorisce la clamorosa agnizione del negletto Malucchi che appare a Caparrini con la stessa ultrice ferocia di Edmond Dantes fuggito dal castello d’If. Ma i colpi di scena non sono finiti. A Sutrio due lusinghevoli frecce rosa puntano verso lo Zoncolan, ma non è un tentativo in extremis di corruzione bensì il percorso per le vetture del Giro. Per una sorta di lapsus pedalis Chiarugi le segue con Tempestini e Traversari ma si pente dell’errore dopo dieci metri. Le segue la Bertelli che però è resipiscente dopo cento metri. Le seguono Pagni e Muritano che scompaiono ma, siccome sono dotati di GPS cartografico di ultima generazione, l’uno, e di palmare con collegamento a Google Earth, l’altro, si suppone che possano ritrovare facilmente la retta via.

Alla spicciolata la Sella Valcalda è ora conquistata da tutti i reduci che si ricongiungono ai preesistenti Nucci e Bitossi curiosamente mescolati ad inattesa folla nei pressi di un tendone da sagre. Per sottrarre qualche spettatore allo Zoncolan i paesani di Ravascletto, oltre ad offrire una visione di tappa su un GPM particolarmente insulso, hanno organizzato un gaio banchetto a base di frittelle, cioccolatini, musicanti e celebrità nazionali, come Claudio Chiappucci, quello dell’Isola dei Famosi, che sfregia col pennarello la pregiata maglia carboniosa di Nucci. Più che su Chiappucci, meritevole comunque di presenziare in foto sociali, gli Empolitour si accalcano sul desco con le generose pietanze e se ne separano soltanto durante il breve sacramento della visione di tappa.

In questo viavai di piatti e ciclisti qualcuno si ricorda di Pagni e Muritano che secondo l’opinione prevalente avrebbero attuato una fuga satellitare verso l’albergo. Una telefonata anonima parla invece di un loro avvistamento sullo Zoncolan ma Caparrini è pronto a negarne la veridicità anche in presenza della prova televisiva. In televisione infatti, sic transit gloria Zoncolan, finisce la tappa più visionata nella storia del Giro, a venti chilometri dal bar dove gli Empolitour sono pure costretti all’obbligo morale della consumazione dopo la gratuita libagione.

Tornati Al Benvenuto, quando nel tirare le somme del lungo inviluppo si dovrebbero elogiare per esempio le imprese di Malucchi con zero chilometri o di Ulivieri con marsupio e k-way lombo-sacrale, tutto l’interesse è invece rovesciato su Pagni e Muritano. I quali, invece di trovarsi sullo sdraio in ciabatte, sono ancora con la bici tra le gambe a raccontare agli attoniti astanti di aver scambiato lo Zoncolan per la Sella Valcalda e di aver proseguito imperterriti fino in cima nonostante le pendenze singolari e gli avvertimenti strumentali e toponomastici. Qui bisognerebbe aprire una lunga parentesi istruttoria per capire, in mancanza di prove fotografiche, se siano stati capaci di una così grossolana ancorché meritoria agnosia, o se invece abbiano sostenuto fino in fondo una concertata presa per il culo. Il fatto che uno dei due sia uno stimato notaio induce a propendere per la prima ipotesi, ma i dubbi rimangono.

 

 

I sommersi e i salvati

 

“Si racconta che il principe di Condé dormì profondamente la notte avanti la giornata di Rocroi”, proprio come il presidente Caparrini prima della giornata del giudizio, per gli stessi manzoniani motivi: la stanchezza già pagata e le disposizioni già impartite. Non aveva bisogno di consulte angosciose per scegliere da quale Zoncolan farsi giudicare, perché la sua decisione era già irrevocabile da molti mesi. Non altrettanto placidi furono i sonni di molti suo sudditi ancora tormentosamente impegnati a sciogliere le prognosi. Quattro opzioni di Zoncolan erano infatti candidate: l’antonomasia di Ovaro, l’edulcorazione di Sutrio, l’incognita di Priola e l’opzione di Tolmezzo, cioè rimanere in albergo ad aspettare il pranzo celebrativo.

Fatti salvi Marforio, rimpatriato prima d’ogni decisione, e gli inani Goti e Vezzosi, esentati da certificato medico, tutti gli altri si presentano nell’arengo con uno Zoncolan nella testa. Quasi tutti gli altri, perché all’ultima ora il marsupiale Ulivieri dopo una notte da Don Abbondio opta per Tolmezzo.

Lo Zoncolan dei destini che si biforcano ha inizio tra la gente del mercato di Tolmezzo che si stupisce del nostro posticipo e poi si ristupisce perché vede la grossa parte dei ciclisti svoltare verso Sutrio. Il partito del presidente ottiene infatti la maggioranza assoluta, compresi i voti di alcuni franchi tiratori, come Tempestini, Traversari, Giunti e Borchi P, prenotati per Ovaro, e dell’indipendente Nucci che però sceglie il misterioso Priola. Niente si può obiettare invece sul voto di Bitossi, imprevedibile per contratto, o della Cucinotta che la logica avrebbe collocato nella fazione di Tolmezzo.

Ma questa è salita irrazionale e illogica, e lo dimostrano i sette ardimentosi iscritti al partito di Ovaro, capitanati da Pagni (sic) e chiosati da Malucchi (ancora sic). Nel mezzo stanno Bartoli, Chiarugi, Cocchetti, Lupi e Salani che almeno insieme all’ardimento esibiscono anche un po’ d’allenamento, come dote minima di sopravvivenza teorica anche se qui lo scarto fra teoria e pratica aumenta col quadrato della pendenza della strada.

I due leader aprono probabilmente in sincronia il cerimoniale della scalata e a quel punto iniziano 23 storie diverse di sofferenza, molte delle quali intime e inesplorabili. Poiché non le possiamo narrare tutte diciamo che sono inenarrabili, senza così discostarsi molto dal significato abituale dell’aggettivo. Tutti ormai conoscono lo Zoncolan della TV, delle riviste e dei DVD, e questo sarebbe il momento per conoscere ogni singolo Zoncolan degli umili ciclisti che volontariamente si sono offerti al giudizio divino per dimostrare che la sofferenza giova all’anima o che c’è ancora molto d’imperscrutabile nell’arte del ciclismo, se è vero che si può partire apposta da Empoli per farsi divinamente castigare. Non vogliamo nemmeno raccontare numeri in forma di spazi, tempi, velocità, rapporti e pendenze che molti hanno già cantato con miglior plettro, solo riassumere qualche consiglio per chi volesse proporsi al giudice infernale, considerando la nota equivalenza di pena fra i tre chilometri finali di Sutrio e i sei centrali di Ovaro.

Lo spazio. Sullo Zoncolan non si misura in chilometri ma in ettometri, talora in decametri. E bisogna evitare di contarli per non demoralizzarsi troppo.

Il tempo. Siccome gli ettometri dopo Ovaro durano tantissimo, come passatempo si possono ammirare le icone votive di alcune vecchie glorie come Magni, Gimondi, Moser e Saronni che non hanno mai scalato lo Zoncolan e che avrebbero cambiato mestiere se glielo avessero fatto scalare.

La velocità. Un podista mediamente allenato avrebbe staccato tutti. Un normale pedone non sarebbe arrivato ultimo. Lo ha capito la Cucinotta negli ultimi chilometri.

La salute. L’importante è sempre quella. Chi come Lupi, Borchi R e Muritano ha praticato lo Zoncolan interruptus non deve essere redarguito.

Le soste. Ripartire è più difficile che fermarsi. Gli appiedamenti per stato di necessità di Nucci, Bartoli, Chiarugi e Cocchetti o quelli per stato d’inanità di Barni, Marconcini e Rossi valgono un pari livello di dignità.

La mente. Si sa che dà forza, ma se ce l’hanno fatta due come Pagni e Malucchi vuol dire che il corpo umano ha risorse davvero inesplorate. Comunque se uno s’allena è meglio.

I rapporti. Non tanto quelli fra i denti delle moltipliche e dei rocchetti. Alla fine contano anche quelli sociali. Lo Zoncolan è un affare crudelmente individuale ma la comunione di una ventina di soddisfazioni su una vetta così impervia lenisce almeno temporaneamente il mal di gambe.

Questo consiglio c’è parso così giusto che abbiam pensato di metterlo qui, come il sugo di tutta la storia. Sul piazzale dello Zoncolan dove giacciono sparse le vestigia del Giro d’Italia della Gazzetta giunge a compimento il Giro d’Italia dell’Empolitour. Sommersi e salvati sono uniti nell’allegria, le pene sono scontate e le foto sfocate dal sudore addensato sugli obiettivi ma la memoria di questi giorni non si appannerà facilmente, nemmeno con gli incubi ricorrenti delle inumane pendenze. I ciclisti sono privilegiati tra i dolenti perché le loro sofferenze condivise finiscono in gioia.

 

 

 

Fotogiro