Giro 2006

Aosta 19-21 maggio

Il Giro dell'autobus

(e della pioggia, della neve, dei santi, delle scarpe...)

 

 

 

 

Un tram che si chiama desiderio

 

È arrivato un torpedone carico di Empolitour. Il ventre della Sita inghiotte ventuno ciclisti ed altrettante bici smembrate, infagottate ed etichettate per l’imbarco. Scene mai viste che suscitano nell’enigmatica espressione del Presidente Caparrini un misto di gaudio e turbamento. Il Supremo Custode dell’ortodossia, che ama la tradizione, la conservazione, le strade solcate, gli hotel collaudati e i menu prestabiliti, sta per essere travolto da un’ondata di anomale novità, tutte concatenate al primum movens di questa spedizione valdostana: il mezzo unico.

Bisogna risalire ai primordiali Giri di tre elementi per vedere tutti i partecipanti inglobati in un’unica vettura ma stavolta per ammortizzarne il costo fisso bisogna riempirla, e per riempirla bisogna essere in tanti, e per essere in tanti bisogna racimolare proseliti, e per racimolare proseliti non bisogna essere esigenti: il supremo custode deve spalancare le porte ad ogni ciclista, definito in senso lato come possessore di bicicletta, senza esigere referenze sul grado di atletismo e allenamento. Perché il presidente intanto bada a fare numero e cassa, imponendo soltanto una blanda socializzazione del vestiario, poi, sostiene, in salita qualche santo li aiuterà, visto che proprio a due santi, Carlo e Bernardo, saranno titolate le scalate previste dalle Sacre Scritture del Programma.

Così la partenza pullula d’inediti che diventano presto oggetto di morbose attenzioni intellettuali. Si sa e si ripete che la letteratura ciclistica gode sadicamente delle sofferenze dei propri protagonisti, e fra gli inediti, esentati dalla presentazione di qualsivoglia curriculum atletico, potrebbe nascondersi qualche interessante vittima di quelle crisi esplosive che i lettori da sempre amano sentirsi raccontare. I venticinque lettori, che per ironia letteraria coincidono quasi interamente coi protagonisti, non s’indigneranno se la presentazione indugerà su questi homines novi, glissando a titolo di elenco su quelli antiqui che potranno comunque meritare maggiori attenzioni con loro impreviste, ma sempre gradite, defaillances.

Ecco pertanto incedere nell’arengo dell’autobus gli immarcescibili Caparrini, Chiarugi e Nucci, i fedeli Bagnoli L, Bertelli, Pagni, Boldrini, Tempestini e Bitossi coi recenti Bagnoli F, Zio Garosi, Malucchi e Seripa. Maggiore interesse cagionano il redivivo Traversari, la cui indimenticabile ultima tappa al Giro risale ad una navigazione sul Lago Maggiore nel 1997, e pure i due seminuovi Vezzosi e Salani G. Il primo è il meccanico che con la scalata del Colle delle Finestre nel 2005 ha contribuito ad estendere non poco i confini del possibile. Il secondo con l’entusiasmo accumulato su quel magico sterrato ha contribuito ad estendere il diritto di partecipazione ad altre due unità, raccolte nella cerchia dei propri cari. Costoro, più due ignoti reclutati da Vezzosi, più un altro inedito ma ben noto, costituiscono il quintetto dei nuovi assoluti, attentamente sorvegliato dall’occhio impietoso del cronista.

Il nuovo noto è quel Muritano di cui i vati cantano dal vicino ottobre le aspre rime delle sue cotte. Ha bruciato molte tappe e molte polveri esplosive, ed ora è pronto a ripetere tali gesta anche in prosa. Cosa non detta in prosa mai né in rima si dirà invece degli altri quattro: Cocchetti e Lupi che con Vezzosi costituiscono un sottoinsieme di G.S. Avane nell’Empolitour ma che a prima vista mostrano segni e prove di pericoloso atletismo, come Marconcini, adepto di Salani G, che è ritratto in una stampa apocrifa sulla vetta dell’impegnativo Parco di Caviglia. Tutto il desiderio è pertanto riposto sul più incredibile dei neofiti, il fratello Salani S sul quale è trapelata una clamorosa indiscrezione, da lui subito non smentita. Si favoleggia che egli sarebbe disposto ad immolarsi sull’altare delle Muse pedalando non solo senza allenamento, requisito mancante anche a taluni più esperti, ma anche senza le scarpe d’ordinanza, quelle col tacchetto a sgancio rapido, che in genere servono a scremare i ciclisti, pure bubboni, dai generici utenti di bicicletta. Così, mentre la componente comica dell’opera è a priori garantita, è facile anche trovargli un appellativo con le parole di Enzo Jannacci: el portava i scarp del tennis.

Se sia stato davvero un film comico andremo subito a scoprirlo, grazie anche all’atavico cineoperatore Marchetti che si prepara a saltare in groppa al centauro Torcini, già in avanscoperta sul set aostano.

 

 

Armageddon

 

Frizzi, lazzi e cachinni, che accompagnano inevitabilmente l’ecumenico viaggio, lasciano il posto alla seria preparazione della tappa del Colle San Carlo. Pochi ridono al risveglio, ottenebrato da un velo irregolare di triste nuvolaglia che gli aruspici traducono in pioggia ad alte quote. Anche il solito sondaggio di Caparrini tra gli indigeni non dà responso migliore.

Il senso del ridicolo non è però del tutto spento a basse quote, basti osservare alcuni partenti. Non vogliamo infierire sul ridicolo inevitabile, come le cosce di Boldrini, perché ironizzare sulle deformità umane è un turpe mestiere, ma su quello evitabile non v’è amnistia. Così Nucci si presenta con un folto sottobosco faciale di baffi e favoriti, un misto di mister Hyde, lupo mannaro e Vittorio Emanuele II che ha resistito al dileggio itinerante. Come hanno resistito al dileggio di precedenti edizioni anche i manicotti bianchi di Malucchi, il cofanetto sottosella di Salani G e le gobbe triadiche di Chiarugi, mezzi che con un po’ d’indulgenza almeno giustificano il fine termostatico. In tal senso l’arconte Pagni è saggio, perché inzeppa lo zaino d’abbigliamento invernale, ma anche furbo, perché sbologna la ridicola soma nella conchiglia del centauro.

Man mano che il gruppo si raduna sul set, in effetti si distinguono dagli incorruttibili autosufficienti i furbi che stipano con vestiario di conforto il bagagliaio torciniano, in quella che già si prefigura come gara di sopravvivenza. Fra gli autosufficienti si colloca anche Salani S, la cui discesa in campo è accolta da un’ovazione. El porta davvero i scarp del tennis, Adidas per la precisione, con calzettoni rotulei ingentiliti da una splendida mise sociale che ne esalta le protuberanze. La sua autosufficienza è insita nel sottosella che esibisce una versione maggiorata del baule di suo fratello. Con qualche foro di aerazione potrebbe contenere un gatto o un cane di media taglia, utili per ingannare le cinque ore di attesa sul colle e come fonti di calore naturale in caso di freddo. Se tale artificio è comprensibile, resta invece del tutto irrisolto il dibattito sull’altra sua primizia tecnica, quella delle duplicate leve dei freni poste sulla parte alta del manubrio, forse da impugnare mentre si pedala in discesa col gatto in braccio.

Che questo Giro si alimenti ad innumerevoli fonti d’ispirazione lo si capisce quindi fin dalla partenza ufficiale, celebrata in un tripudio d’uniformità. Ventuno ciclisti tutti vestiti di sociale decretano il chiaro successo della pax caparriniana che assicura unanimità anche sull’orario d’inizio e sul percorso di tappa, con la sola eccezione di Bagnoli L che rifiuta l’incognita variante montana di Rumiod, preferendo avvantaggiarsi sul San Carlo per più sicure vie pedemontane.

Il timore di pendenza si rivela però infondato perché scopriamo che i paesini della Valle d’Aosta arroccati sulle boscose pendici appartengono a due categorie: o non esistono ma sono segnati sulla cartina, o esistono ma non sono segnati sulla cartina. Poco male se si considera che il kit d’orientamento premurosamente preparato e distribuito dal presidente è pressoché illeggibile. Fatto sta che Rumiod non verrà mai raggiunto e si dovrà ripiegare su un placido Saint Nicolas (altro santo) con buona pace di chi porta i scarp del tennis.

La raccomandazione ad un santo aggiuntivo può far sperare in qualche grazia climatica, invece col passare dei chilometri il sentore pluviale si acuisce. Sulle prime si cerca di attribuirlo agli schizzi d’una roboante cascata o della turbolenta Dora Baltea, ma alla scaturigine del San Carlo nessuno può più negare l’atmosferica evidenza.

Piove sulle nostre mani ignude, piove sui nostri vestimenti leggeri. I pensieri stanno già freschi dopo le prime ardue rampe e il cielo che li attende è argenteo o biancastro a seconda del grado di offuscamento visivo del ciclista.

Boldrini invece sobbolle ed è già in fuga, anticipando con Chiarugi il fatal varco della Dora. Come cagne magre, studiose e conte, una muta di famelici Nucci, Zio, Salani G e Tempestini si lancia all’inseguimento dei due reprobi: Chiarugi è divorato, Boldrini braccato. L’agone scalda quel che la pioggia raffredda, ma fra agone e agonia il passo è breve. Finché dura la dura salita l’agonia è controllabile: Malucchi e Bagnoli F stagnano, Vezzosi pencola, Marconcini ondeggia, Muritano barcolla, Salani S intervalla. Siccome sono quelli che vanno più piano, sono anche quelli che si bagnano più di tutti. Ma il giudizio divino non tarderà a pareggiare i conti.

Intanto le avanguardie danno spettacolo. Bagnoli L fresco e dilavato attende tutti a braccia conserte sulle soglie del colle. Attende Boldrini, attende Nucci, attende Zio e invece passa in testa Tempestini, primo ciclista con le lonze a vincere una tappa al Giro.

Sotto una pioggia troppo simile a neve i protagonisti cominciano a dibattere e pianificare, e dopo un breve processo alla tappa capiscono che cinque ore così sono incompatibili con la vita. Da quel momento in poi la trama, che prevedrebbe attesa, riunificazione, foto, alimentazione e attesa, si sconvolge e s’ingarbuglia. Ha inizio l’Armageddon.

“Essi sono coloro che sono passati attraverso la grande tribolazione e hanno lavato le loro vesti rendendole candide col sangue dell’Agnello. Non avranno più fame, né avranno più sete, né li colpirà il sole, né arsura di sorta.”

Una moltitudine di anime vaga in cerca di calore e riparo, ma la Provvidenza ha già assegnato iniquamente tali privilegi a chi è salito col camper o con abito da sciatore. Ai ciclisti non resta che la spartizione di qualche albero poco frondoso, dell’ombrellone della boutique rosa o dell’angusto rifugio che ben presto equivale ad un fetido carnaio. Pertanto gli Empolitour che arrivano alla spicciolata sono costretti a scegliere in tempi rapidi tra la vita e il Programma Ufficiale. E siccome in tempi rapidi non si presume l’arrivo degli ultimi, l’istinto di sopravvivenza finisce per avere il sopravvento sullo spirito di solidarietà. Così al grido di “ognun per sé” o “si salvi chi può”, molti si abbandonano alla discesa verso il traguardo di La Thuile, come se laggiù li attendessero calore e salvazione. Anche il Custode dell’Ortodossia comincia a vacillare sul rispetto delle Sacre Scritture, ma è comunque obbligato ad aspettare il fin de course, che non dubita essere Salani S. Il dubbio è se con le calzature bagnate egli abbia ripiegato su saggi propositi minimalisti, come fermarsi o tornare in albergo. Invece dopo un’ora buona lo si vede arrivare in sella e in carne, meritevole di concise congratulazioni, senza molto tempo per calcolare nei dieci chilometri percorsi in due ore quanto asfalto abbiano calcato i scarp del tennis.

La sua impresa offusca quella di Muritano che, giunto mezz’ora prima, esala l’ultimo respiro per invocare un taxi. Agli altri, che sono meno pretenziosi, basterebbe un congruo rivestimento per la discesa, poiché ormai la permanenza sul colle non è più difendibile nemmeno del Supremo Garante del Programma. Il quale, Caparrini, è ovviamente munito soltanto di manicotti (dopo sofferto ballottaggio mattutino) e sostitutivo (la mantellina idrosolubile).

La calata dei ventuno probandi verso La Thuile avviene così in tempi molto diversi ma in modi molto uguali, e cioè infernali. Se in salita cadeva su tutta la fronda l’argentea pioggia che monda, in discesa diventa la piova del terzo Cerchio, etterna, maladetta, fredda e greve, con biblica uguaglianza tra ultimi e primi. Anzi, per ristabilire vera uguaglianza di martirio, gli ultimi, notoriamente meno ossuti, patiscono meno dei primi. Eccezion fatta per Tempestini che ha le lonze, e Muritano che, essendo ultimo ma ossuto, quando giunge comatoso a La Thuile continua nel delirio ad invocare il taxi.

Quando un po’ alla volta tutti capiscono che La Thuile come centro d’accoglienza profughi è molto simile ad una Caina, coi ciclisti dannati a digrignare i denti ed a rollare con la ruota governata dal tremito, si formano due scuole di pensiero: i renitenti e i resistenti.

I renitenti tornano in albergo disinteressandosi alla futura corsa rosa. Appartengono a questa corrente, Boldrini che sfreccia a chiorba bassa senza nemmeno accorgersi dell’esistenza di La Thuile, Zio che cerca invano d’inseguirlo, e poi una serie di gruppuscoli nati da casuale istinto di coesione, come la coppia Tempestini-Traversari che si ferma in pizzeria, quella Malucchi-Bagnoli F che fa in tempo a fuggire quando Muritano comincia a parlare di taxi, ed un bel sestetto multietnico formato dai tre avanesi più il sibarita arconte Pagni e gli insospettabili Bagnoli L e Chiarugi.

Dei nove restanti resistenti solo due sono tali per ortodossia, cioè visione della tappa a qualunque costo: il presidente Caparrini che come estremo baluardo contro il freddo acquista la t-shirt del kit rosa scartando a malincuore cappello, ciondolo e portachiavi, e l’indolente Bitossi che per tutto il viaggio aveva sfoggiato il lasciapassare rosa ed ora vuole usarlo. Gli altri si fermano all’arrivo solo perché non potrebbero procedere oltre in quelle condizioni. Bertelli, Marconcini, Salani G e Seripa non sembrano molto più lucidi di Muritano, ma lo fanno desistere dal taxi invocando tutti insieme l’autobus sociale. Il pio Nucci allora si prodiga per la redenzione dell’anima dopo aver già meritato un bel pezzo di grazia scortando il derelitto Muritano in un tratto di salita ridiscesa. Come possa un autobus civile percorrere quaranta chilometri di strada chiusa per il Giro lo sa solo lui, ma comunque non potrà mai dircelo perché tutte le telefonate vanno a vuoto. Allora passa all’azione diretta impetrando il noleggio di un furgone ai paesani coi quali però, quando lo vedono in faccia, ottiene lo stesso successo di un lupo mannaro che sbuca all’improvviso nella nebbia.

Scartata anche l’idea disperata e individualista di fuggire in groppa al centauro abbandonando la bici e l’ottantenne Marchetti, non resta allora che resistere come vuole il presidente: occupare cinque ore un ristorante, mangiando molto e lentamente, e poi uscire a vedere gli intirizziti corridori. Nel frattempo si ricordano di Salani S che arriva serafico e per niente intirizzito. Grazie ai suoi presidi tecnici ha potuto frenare con quattro mani e con un po’ di suola Adidas. È andato più piano che in salita ma non ha preso freddo, anche in virtù dell’acquisto di due kit rosa di cui, a differenza di Caparrini, ha utilizzato solo i sacchetti per involgere i piedi.

L’occupazione del ristorante è efficace, come però non lo è il rito di cessazione della pioggia che Caparrini esegue uscendo e rientrando decine di volte per vedere se piove. Piove e pioverà, senza esclusione di ciclista, da Bordini a Salani S, da Basso ad Aranaga.

L’Empolitour è divisa ma in definitiva la differenza fra le due correnti di pensiero, Caparrini escluso, è che i resistenti vedono la tappa in TV nel ristorante di La Thuile e i renitenti vedono la tappa in TV nell’albergo d’Aosta. E per assistere a questo spettacolo c’è voluto un autobus da cinquanta posti.

 

 

Il grande freddo

 

Appurato che un altro giorno così non sarebbe stato sostenibile, né fisicamente, né letterariamente, precisiamo subito che il grande freddo è solo una trovata giornalistica per concludere col filone cinematografico, coniugando il Gran San Bernardo col suo freddo che non è stato grande solo per poche nubi. Aggiungendo in cielo un paio di nembi e cumuli con qualche bel fiocco di neve in più, avremmo rivissuto scene da flagello ed esizio come solo lo Stelvio ha saputo darci nella storia dell’Empolitour, in quella recente, quando la corsa vera nemmeno ci passava, e in quella preadamitica, quando i professionisti preferirono passarci in macchina.

Le premesse stavolta erano leggermente diverse: all’Empolitour l’intero passo coi suoi nevai ancora freschi, ai ciclisti veri la scorciatoia dell’inverecondo tunnel; a noi i geloni, a loro la gloria. In realtà la tappa non è stata epica né per loro, né per noi. Melliflua è l’aggettivo giusto, come, guarda caso, doctor mellifluus fu detto San Bernardo da Chiaravalle, oppure docile come gli omonimi cagnoni che, guarda caso, abbiamo incontrato lassù per la via.

Su questa dolcezza e mansuetudine non v’era però unanime consenso in principio, tant’è che Caparrini era già pronto a depennare qualche iscritto dall’ordine di partenza: Muritano e Salani S, tanto per dirne due a caso. Invece, nonostante i scarp del tennis ancora umide dopo un’alba di phon, e nonostante il divieto d’accesso ai taxi a causa d’una inamovibile sbarra a otto chilometri dal passo, entrambi rispondono convinti all’appello. Anzi, Salani S non risponde perché è già partito da un’ora.

Caparrini conta diciotto maglie Empolitour ed una Avane, quella di Cocchetti che preferisce l’igiene alla socialità. Mancano all’adunata soltanto i lavativi Malucchi e Bagnoli F, coalizzatisi per una giornata di shopping. Anche sui pedali l’atmosfera dei chilometri preliminari è quella di un giro per negozi, vista la necessità di seguire le frecce rosa fin dalle origini nel centro d’Aosta. Ma quando l’odore di salita comincia a pervadere il gruppo, l’agonismo fiorisce e i manicotti s’estirpano.

Si sa già che il primo a scattare sarà Boldrini e che il primo a braccarlo sarà Nucci, ma poi succede che uno dopo l’altro tentano di braccarlo quasi tutti, compresi gli avanesi Cocchetti e Lupi che hanno presto imparato il noto proverbio: “ai ciclisti empolesi mai non dite quant’è buono staccar Boldrin sulle salite.” Caparrini avalla e benedice queste scorribande, non solo perché ama vedere la sua squadra viva, ma soprattutto perché così si leva di torno un bel po’ di fogati e può proseguire col suo passo regolare e noioso. In un sol colpo di pedale sono evasi dalla sua sfera d’azione, oltre ai già citati, anche Zio, Tempestini, Salani G e, dopo una forzata convivenza, Chiarugi, Pagni e Bertelli alla ricerca della perduta foga. Con la sua velocità oziosa il presidente si è pure scrollato inconsciamente di dosso Bagnoli L, Seripa, Traversari, Bitossi e Marconcini che hanno ormai come unico obiettivo di gara quello di riprendere l’anticipatore Salani S per salvare la faccia. Radiocorsa Torcini-Marchetti non ha invece più notizie di Muritano e Vezzosi, e dopo la fatal sbarra, sul più bello del Gran San Bernardo, nessuno avrà più notizie di radiocorsa. Il centauro bicipite, come i taxi, non può scavalcarla e pure Muritano senza queste garanzie decide di tornare indietro.

A Saint Rhemy (ancora santi), da quando si sono separati dall’inverecondo percorso della corsa rosa, i ciclisti s’immaginano padroni della montagna e dopo la sbarra ne prendono pieno possesso. Non sanno quando durerà il privilegio perché le nevi invadono, restringono e scavano la salita metro dopo metro. Bisogna respirare piano per non far rumore e per non svegliare col calore qualche valanga, ma l’agone è agone e i primi ignorano l’idillio dell’algido candore e si danno battaglia per poi raccontarla con vanto al presidente.

Vincitore di tappa, dopo il ciclista con le lonze, è il pensionato coi baffi. Zio taglia per primo il traguardo, anzi ha proprio l’onore di segnare lui il punto dove tagliarlo perché all’acme della cavalcata solitaria, ad un tornante dal passo scivola su una lastra di ghiaccio e con una culata decreta l’arrivo. Tempestini e gli altri decidono così di non tagliare tale traguardo e si congratulano con lui cento metri prima all’imbocco di una galleria.

In un’ambientazione di disgelo climatico ed atletico i ciclisti finalmente ridono e si fotografano. Ridono dei lividi di Zio, dei cagnoni sbavanti, delle cosce di Boldrini, delle basette di Nucci, della valanga che sommerge la bici di Pagni, della botta di Salani G che forse l’ha provocata. E ride Salani S dopo una salita eterna quando lascia sulla neve l’orma della scarp del tennis, che non sarà eterna come quella di Armstrong sulla luna ma resterà comunque nella storia. Ridono e intanto si rivestono perché, pur senza il grande freddo, una discesa innevata da 2400 metri incute molta reverenza negli ossuti. Infatti Caparrini la snobba a braccia ignude e giustamente assidera senza ammetterlo.

È comunque fiero di aver ancora una volta salvato i suoi ciclisti e il suo programma dalle insidie atmosferiche, senza ricorrere ad alternative, sotterfugi, ambulanze o taxi, rispettando tabelle e orari come piace a lui. E pure l’ultima discesa è calibrata in modo da incrociare il Giro vero che transita in direzione dell’inverecondo tunnel. Chi il giorno prima ha peccato può dunque redimersi guardando dal vivo il plotone dei ciclisti veri, applauditi col sottinteso che almeno in questo frangente dovrebbero essere loro ad applaudire noi.

Anche il sacro rito della visione (e non televisione) della tappa è stato celebrato. Ora sì che ci meritiamo l’assoluzione del Presidente e il gioioso rimpatrio con l’autobus da cinquanta posti.

 

Reportage fotografico