Giro 2004

 

 

11/05/2004 Corno alle Scale

 

Cominciamo bene

 

Il dodicesimo Giro d’Italia dell’Empolitour, prima ancora di prendere forma e titolo, ha già un contenuto e conviene subito svuotarlo perché è molto istruttivo: un vero compendio di ciclopatologia sociale, utile per ripassare ed aggiornare lo stato dell’arte della squadra in vista degli appuntamenti clou. E poi c’è di mezzo un gemellaggio. Fra i venticinque visitatori del sito internet, uno si è svelato al presidente, riscontrando inaspettate analogie di spirito col suo club, il G.S. Avis-Verag di Prato dovizioso di iscritti. Incuriosito da alcuni topoi letterari ricorrenti, come sosta Pagni, leggiadra Bertelli e transgenico Boldrini, l’incauto navigatore ha chiesto e ottenuto un simposio di verificazione nell’ambito di una tappa feriale del Giro, quella destinata al Corno alle Scale con poca ma significativa ripidezza.

Così è nato l’incontro nel campo neutro di Sambuca Pistoiese. C’erano nove ambasciatori Empolitour, quelli che per opulenza o autorità potevano non lavorare o delegare, e sette Avis, quasi tutti volontari del reparto di ciclisti da tavola, una rara avis come quella di Giovenale.

Le prime occhiate e strette di mano servono ai pratesi per accertare l’esattezza dei dati teorici in loro possesso: la stazza di Caparrini, le chiappe della Bertelli e la facies godereccia di Pagni corrispondono in effetti agli scritti. Cercano invano un globicefalo da identificare nel transgenico Boldrini che però è assente per ricarica. I più preparati riescono anche a riconoscere Tempestini dalle lonze, Giunti dall’aria artistica, Chiarugi dall’aria intellettuale, Nucci dall’apparente egritudine, Pucci dall’apparente fanciullezza e Ziodipucci dall’apparente senilità. Noi invece dei sette volenterosi ambasciatori neanche nomina nuda tenemus. La frenesia dei preparativi impedisce di memorizzarli, a parte un facile Bertelli che con opportunismo anagrafico cerca subito di abbordare l’omonima. In quei momenti però non ci si può distrarre in convenevoli. Bisogna sciogliere in pochi minuti la prognosi dell’abbigliamento perché, se è vero che alla partenza il clima indurrebbe oggettivamente all’estivo, molte sono le variabili turbative previste per il resto della giornata e i pratesi, quasi tutti schierati in uniformi invernali [Foto1], acuiscono non poco gli interiori dilemmi che alla fine ognuno risolve secondo scienza e coscienza.

Bertelli: la portabagagli. Manubrio da soma e zainetto pieni di vestiario e prodotti per l’igiene intima, nonché treccia sfrondata per l’attacco di altri carichi pendenti come palloncini rosa.

Chiarugi: il gibboso. Minimalismo formale ma ricchezza di contenuti stipati nelle tre tasche a gobba di cammello mutante per la sopravvivenza ai poli.

Giunti: lo schiacciatore. Manubrio da piccola soma e grosso triangolo mistico incastrato nel telaio e contenente due scarpe da pallavolista piegate in due.

Pagni: il paracadute. Microscopico zaino scapolare contenente in forma ultracompressa una muta invernale, una sofisticata macchina fotografica e qualche litro di crema solare, il tutto all’occorrenza fuoriuscente in modo esplosivo tirando un’apposita cordicella.

Pucci: l’horror plenitudinis. Indeciso se portare o non portare lo zainetto, ne porta uno piccolo e vuoto.

Nucci: il coperto. Per non caricarsi troppo la schiena indossa tutto e subito, riservandosi una spessa incerata trasparente collocata al posto del kit per riparazioni (che tanto non sa usare).

Tempestini: la cornucopia. Ricorda vagamente un suonatore di cornamusa. Trasporta una gerla a tracolla che oltre ad essere enorme e rigonfia è anche asimmetrica e basculante fra l’addome e i lombi, cosicché pedala con una sola mano sul manubrio impegnando l’altra per evitare la continua deriva del carico verso i genitali [Foto2].

Ziodipucci: l’horror vacui. Ispirandosi al nipote reca seco uno zaino vuoto ma grande e sentendosi ormai invulnerabile si offre di riempirlo col pesante attrezzo del cameraman sociale Avis.

Caparrini: il duro e puro. Si veste secondo la scuola atermica del mentore Bagnoli L. che egli onora anche quando non c’è. Manicotti quanto prima estirpabili e tasche semivuote con mantellina quanto più tardi o mai utilizzabile. Sono l’unica concessione del presidente all’anomalia di questo maggio poco odoroso.

Si capisce subito che l’Empolitour vuole fin dai primi chilometri mostrare ai sodali il meglio di se stessa: pedalata morigerata, chiacchiericcio itinerante e naturalmente sosta Pagni precoce. Dopo sette chilometri gli Avis esperiscono la prima norma regale dell’Empolitour. Al sole riflesso dal lago di Suviana Pagni inzuppa un krapfen nel caffè e s’odono intorno a lui vocalizzi di stupore. Ci vuole un bel po’ di tempo prima di ripartire perché la metà dei partecipanti possiede una macchina fotografica che deve sfamare con immagini conviviali dei due gruppi fusi nel vestibolo del chiosco in un solo animo ciclistico [Foto3].

L’idillio dura il tempo di arrivare alla prima freccia rosa. L’Empolitour è buona e cara finché solfeggia fra seggiole e tavolini, ma quando entra nel percorso di tappa si strappa di dosso il vello di mansuetudine e si trasforma in un branco di lupi famelici. Il passaggio sotto l’arco dei trenta chilometri all’arrivo risveglia ogni sopita ferinità. La strada si popola di ciclisti eterodossi da braccare e, complici una salitella e una foratura, l’Empolitour si ritrova ben presto a Gaggio Montano senza più l’Avis. Caparrini, che vuol continuare a mostrare il meglio della sua squadra, ordina l’esecuzione dell’altra norma regale: l’attesa dei ritardatari. Poi tutto procede secondo le Sacre Scritture: gli ultimi saranno i primi, i ritardatari saranno attesi ed appena si riuniranno al nostro cospetto, ripartiremo in tromba e li staccheremo di nuovo.

Così il Corno alle Scale diventa il solito affare di famiglia dove spicca la dabbenaggine del conte Zio [Foto4], superbo esordiente che, ancora zavorrato di telecamera, si mette alla caccia di un fogatus interruptus (ciclista che parte a spron battuto e si ferma dopo un chilometro, figura ricorrente sulle salite di Giro e Tour) e poi esplode col sorriso sulle ansanti labbra. Chiarugi ringrazia, sorpassa e resuscita a quell’antico valore a cui anche Nucci tenta disperatamente di avvicinarsi con scatti dimostrativi e controproducenti. Poco più dietro, la Bertelli senza distrazioni colloquiali si ricorda d’essere l’antica donna d’agone e si sbarazza agevolmente di Tempestini, con la piva nel sacco, e di Giunti, che per poco non ha usato le scarpe da ginnastica me che ha ancora una carta da giocare per mettersi in luce. Caparrini incombe e prende nota, Pucci riempie di sudore lo zaino vuoto e Pagni si risparmia per futuri momenti di gloria.

Si diceva della carta di Giunti. A sorpresa la tira fuori: è un tesserino rosa che gli consente l’ingresso nel recinto dei vip fra Cassani e Coppi. Ne ha uno anche per Tempestini che riesce a passare nonostante l’accurata perquisizione della gerla. I due, ancora ponzanti di salita, vuotano piatti e bicchieri con insensata foga. Troppa foga. Il buttafuori s’insospettisce e scopre il trucco: piatti e bicchieri stanno trafficando in modo illecito al di là della rete, a beneficio dei non iniziati, Nucci in primis [Foto5, Foto6]. Giunti e Tempestini sono espulsi con disdoro ma sono, l’uno già sazio, l’altro già ubriaco. E lo show deve ancora cominciare, al Rifugio Cavone. Caparrini riesce ad accaparrarsi una tavolata da sedici posti, pensando anche ai pratesi che in questa disciplina potranno facilmente recuperare il terreno perduto [Foto7].

Il desco è reduce da una comitiva di iene ridens. Vi giacciono maleodoranti carcasse di animali incogniti e bicchieri che esalano superalcolici. Pagni è stuzzicato da un grosso piatto con un femore e una tibia spolpati, forse di maiale o di uomo di bassa statura. Caparrini inizia un’affannosa spola col cameriere per le ordinazioni perché la corsa rosa è annunciata fra sole tre ore. Una ne passa prima dello sgombero delle raccapriccianti minutaglie, ma Tempestini ha già contribuito a ripulire la tavola dagli avanzi di pane ed ossa. Le altre due passano in rumorosa gozzoviglia perché frattanto sono arrivati anche tutti gli Avis, che come previsto si dimostrano all’altezza del desco, e pure due nostri adepti da Giro, Bitossi e Cerri che, partiti da Pistoia con importanti propositi atletici, si lasciano plagiare da due tracimanti scodelle di polenta [Foto8].

Dopo la terza ora l’affanno di Caparrini diventa incontenibile [Foto9]. I minuti passano fra sguardi furtivi all’orologio e viaggi della speranza verso il cameriere per accelerare le ultime portate. Pagni e Tempestini sotto l’effetto di una potente grappa al mirtillo stentano a muoversi dal locale e finiscono per rifugiarsi nel camper di un losco figuro dove assisteranno dormendo alla tappa in TV. I compagni, incuranti della frescura montana che sembra ancor più pungente dopo tre ore e mezza di calori alcolici, si accampano dietro le transenne per incitare i corridori veri. In realtà non si capisce la logica di tali transenne, se non per esporre striscioni pubblicitari o evitare l’attraversamento di cani randagi, non certo quello dei tifosi che largheggiano lungo la strada vuota. Pantani, che trascinava le folle, sembra ora che se le sia portate via con sé. L’Empolitour, che molto si è esaltata con lui, rimane fedele anche a questo ciclismo di campioni un po’ più lenti. Un po’ troppo per Caparrini. Il passaggio del vincitore Simoni [Foto10] con un’ora di ritardo lo riempie nuovamente d’ansia per il ritorno alla base. Tant’è che dopo i soliti buoni propositi coi gemelli dell’Avis, decide di abbandonarli nuovamente al loro destino di ritardatari, a cui concede però un estremo commiato telefonico.

La fama socializzante dell’Empolitour si è così finalmente diffusa anche al di là del Montalbano.

 

28 – 30/05/2004 Edolo

 

Continuiamo meglio

 

Ora che sappiamo com’è andato a finire potremmo anche intitolarlo divide et impera, questo Giro d’Italia nell’industriosa Valcamonica. Caparrini ha capito di non poter imporre il verbo ecumenico dell’Empolitour a tutta la sua variegata sudditanza, fatta di esordienti imberbi, veterani focosi o compassati, ciclisti classici o avanguardisti, motociclisti d’epoca o contemporanei, registi, fotografi e vivaci famigliole. Costretto ad amalgamare un siffatto fremito di voglie non reprimibili, il presidente decide di lasciare libero sfogo alle autonomie locali per meglio accentrare su di sé il potere supremo che gli deriva per incontestabile diritto divino. Così un Giro che potrà sembrare l’affermazione di una lassistica politica di fiumiciattoli indipendenti, finisce per confluire in un estuario conviviale dove la pax caparriniana trionfa forte e irrigua. Un fiume rumoroso d’alcool e risate alluvionali che travolge, trascina e tracima. È il trionfo dell’unità nella molteplicità, che è da sempre una caratteristica intrinseca dell’Empolitour, ma che stavolta assurge a regola giornaliera e sconvolge programmi e aspettative. La secessione incruenta è il leitmotiv di questo dodicesimo Giro incorniciato da memorabili montagne: chi si aspettasse un Giro d’azione e di tenzone, come quelli ultimamente trascorsi, è invitato a cambiare lettura.

I maligni affermeranno che le frammentazioni topografiche nel gruppo sono state indotte ad arte dai contendenti annunciati per evitare il confronto diretto, come gli atleti rivali che s’iscrivono a gare diverse per non scontrarsi fra di loro. I benigni si appelleranno all’imperscrutabilità del fato e dei fenomeni caotici. Fatto sta che quest’anno non ripeteremo l’esperienza narrativa della boldrinomachia, per avviarci verso una rilassata esposizione dei fatti, dove anche il sanguinario globicefalo sembrerà essere una forma di vita uguale a tutte le altre.

 

 

28/05/2004 Convergenze parallele

 

La prima criticata dicotomia è già attiva alla partenza. Il passaggio dei professionisti sul Gavia vede l’Empolitour vivere in due dimensioni parallele: quella di sei attivisti che sono già sul posto, e quella di undici conformisti che partono il venerdì pomeriggio secondo l’atavica consuetudine.

È mattino ormai maturo quando Edolo ed Empoli si svegliano insieme. Sono entrambi trisillabi con la e chiusa ma non si somigliano. In Valcamonica, Bertelli, Bitossi, Cerri, Chiarugi e Nucci consegnano al fido centauro Torcini le loro ultime volontà racchiuse in zainetti comprimibili nel bozzolo posteriore, insieme a vestiario di conforto. Se la neve del Gavia li dovesse seppellire, i cani da valanga avrebbero almeno qualcosa da annusare per ritrovarli.

In Valdarno i preparativi sono molto meno escatologici ma molto più complessi. Si tratta di stipare in tre autovetture di media cubatura, undici uomini, molti dei quali in sovrappeso, nove biciclette, molte delle quali pregiate, due chitarre, una Vespa e una quantità indeterminata di borse sociali, asociali e borsette satelliti, che in peso e volume contano quanto i ciclisti grassi. Svolgendo semplici equazioni di statica dei corpi rigidi, alle ore 13 si giunge alla soluzione definitiva.

Auto-1, con Caparrini guidatore, Marchetti navigatore dormiente e l’esordiente Bagnoli F stretto nella corpulenta morsa dei veterani Bagnoli L e Pagni. Sopraelevate quattro bici incuranti dei moscerini.

Auto-2, con Tempestini guidatore, Boldrini navigatore logorroico, Giunti pentito di essere lì e Zio nel vano posteriore legato a mo’ di antifurto alle bici più costose.

Auto-3, con Masini e Malucchi e i rispettivi biruote: una vespa mastectomizzata e affastellata ad una ferraglia di bicicletta come cancello di contenimento.

In tutte e tre le vetture si cerca di occupare l’aria respirabile con un impaccamento di borse, secondo il ben noto principio dell’horror vacui, cosicché ogni retromarcia è fiduciaria, a parte il possibile utilizzo di Zio come carico sporgente retrovisore nell’auto-2.

In quel tempo gli attivisti pedalano nelle viscere del Gavia, proibito ad ogni motore non umano per non risvegliare la caducità dei suoi nevai. Un lasciapassare fasullo consente però al centauro sociale di superare gli sbarramenti militari e varcare i confini dell’Ade per vegliare sulle spoglie dei tre più due ciclisti ascendenti al Purgatorio. Tre più due perché ci sono numerosi gironi di distacco fra Chiarugi e Nucci, trainati dalla foga di Beatrice come Dante e Virgilio, e Bitossi e Cerri, con la loro pedalata volutamente pedonale. La Bertelli sale a propulsione euforica [Foto11]. Ogni volta che la incitano, cioè ad ogni svolta, rilancia l’andatura, ponendo i due del codazzo di fronte ad un’alternativa: farsi staccare da una femmina oggi, o resisterle con la prospettiva di farsi staccare da un ciclista transgenico domani. Nonostante sia nitida la visione di Boldrini appollaiato sul loro mal di gambe, Chiarugi e Nucci ritengono più ontosa la prima opzione e resistono. Così assistono al volo dell’angelo delle tenebre nel vero Oltretomba: una galleria di 600 metri buia ed erta. Quivi sospiri, pianti e alti guai risonavan nell’aere sanza stelle. Anche la luce dell’arcangelo Torcini sembrava fioca in quell’aere sanza tempo tinta. La Bertelli armata di panico, comincia così a sorpassare a velocità irreale tutti quei dannati, finché non esce a riveder le stelle e gli strapiombi ammantati di fosco candore, sparsa le cosce morbide di poetico acido lattico.

Lassù, nei giardini rocciosi dell’Eden, i fiati unanimi di chi vi è salito con la forza del proprio cuore, mitigano un clima altrimenti polare. Il sestetto sostiene però che il rifugio emani un calore più pragmatico, e vi occupa un tavolo nell’attesa della corsa. La Bertelli trova il modo di chiedere un autografo a Valentino Rossi che però si firma Max Biaggi, anche piuttosto seccato [Foto12].

I tifosi lungo la strada costruiscono pupazzi ed igloo. E, mentre i nostri intrepidi trepidano tra due bianchi muraglioni, gli emigranti sbarcano a Peschiera del Garda in cerca di un televisore con la tappa dentro. Il compito è delicato e Caparrini lo affida a Pagni e Tempestini che, dopo un’accurata perlustrazione dei locali della zona, tornano alla base con un vassoio di pizze e dolci che svuotano lentamente davanti alle escandescenze del presidente.

La tappa è comunque visionata, anche se qualche dettaglio sfugge. Per esempio non si vede la sosta di otto noni della Fassa Bortolo presso l’ammiraglia che i nostri ciclisti avevano scelto come punto di vedetta, con la speranza di elemosinare dagli addetti alle squadre qualche genere di prima necessità. Nucci così conquista un’inservibile borraccia, mentre Cerri fotografa Petacchi in tutte le pose, pestando un alluce ad un uomo del suo treno [Foto13].

Le due dimensioni parallele, che si sono avvicinate mediaticamente, anche perché ad un certo punto pure i ciclisti attivi si mettono a guardare la tappa in TV dentro un bugigattolo pieno di flautolenze con assaggio gratuito di acqua gasata e rugginosa, all’ora di cena convergono e si toccano. La tavola sancisce il primo dei pochi momenti di maggiore unanimità. Ora tutti sono uguali davanti agli agognati pizzoccheri. Le razioni premiano in pari misura i cavalieri del Gavia e i telespettatori di Peschiera. Mentre le bocche esercitano, gli sguardi si mescolano. Quello di Boldrini è strano, sempre truce ma diverso. Gli occhi sono sempre chirghisi ma i peli delle sopracciglia sono stati estirpati con minuziosa pinzetta, fino a farlo sembrare Big Jim [Foto14]. È chiaramente un modo per spaventare gli avversari ed allontanare gli spiriti malvagi. E domani, dopo un anno di preparazione mirata, dissotterrerà la bici di guerra.

 

 

29/05/2004 Effetto farfalla

 

Una mezz’ora nella vita di un uomo è come un battito d’ali di farfalla nell’atmosfera terrestre. Però, come si legge sui libri di scienze a proposito della teoria del caos, anche il battito delle ali di una farfalla in Giappone può causare un uragano nei Carabi. È il fenomeno della dipendenza sensibile dalle condizioni iniziali, volgarmente noto come effetto farfalla, scoperto dal fisico Edward Lorenz negli anni ’60.

Qualcosa del genere accade nell’albergo Angelo di Edolo la mattina dedicata all’unica tappa ufficiale e collettiva della spedizione, comprensiva dei passi Vivione e Presolana. Una microscopica variazione delle condizioni iniziali, come il ritardo di trenta minuti nella partenza della tappa, induce trasformazioni d’immensa portata e notevole intensità a livello macroscopico. Un vero tornado si abbatte sulla pacifica e sonnolenta colazione dell’Empolitour. Quando Caparrini apprende la notizia dalla Gazzetta, esplode in un no di delusione che vorrebbe essere più lungo di quei trenta maledetti minuti. Il programma era tutto calcolato alla seconda cifra decimale: due passi, l’arrivo, il passaggio, il rientro, la doccia, la cena. Nulla interposita mora. Giusto il tempo per conciliare le esigenze ciclistiche con l’improrogabile chiusura della cucina dell’Angelo. Ma quella piccola turbolenza sta già scatenando una tempesta di idee alternative nella mente del presidente, prima ancora che quel no sia terminato e che i compagni possano capirne la causa [Foto15].

Non appena quel monosillabo è seguito dalle prime parole di senso compiuto, il caos è già in atto: una palla da biliardo che con forza ne colpisce altre sedici, schierate compatte a triangolo, e le fa rotolare e carambolare secondo traiettorie disordinate e incoerenti, una contro l’altra e contro le sponde. Mentre le palle, cioè i commenti e i propositi urlati da ciascun membro del gruppo, girano, si urtano, rimbalzano, si riuniscono, si dividono, s’incrociano, passano e ripassano su traiettorie ora uguali, ora diverse, ora innovative, ora improponibili, Caparrini ha già incassato il tentativo fallimentare di corrompere la cuoca per il posticipo della cena. L’effetto farfalla è ormai irreversibile, bisogna solo aspettare che il tumulto di proposte si plachi spontaneamente. Alla fine le diciassette palle si fermano per attrito o sfinimento in tre mucchietti distinti.

Il primo comprende tutti i nuovi arrivati, meno Bagnoli L, che decidono di equipararsi agli scalatori del giorno prima affrontando il gigantesco Gavia, dato oggi per soleggiato, come salita di riscaldamento per il Vivione della rosea corsa. La motivazione presidenziale è che il Gavia non può mancare nel curriculum di un ciclista, e ce ne sono sei ancora vergini. D’altronde non ci si può esimere dal Vivione, perché venire al Giro e seguirlo in televisione è come andare all’Oktoberfest e portarsi la birra da casa. Insomma, sarà per questo, sarà per un’inconscia invidia del Gavia, Caparrini e Pagni, ovvero quelli che dovrebbero essere i più saggi e i meno allenati, trascinano sei ignari proseliti in un itinerario di perdizione che annovera 140 chilometri di cui 50 in salita con 3500 metri di dislivello. E per la solennità dell’impresa si arrogano il diritto di scorta integrale da parte della moto ufficiale di Torcini-Marchetti e della Vespa ufficiale di Masini, privo quest’anno della zavorra Malucchi promosso da fotografo a ciclista, uno dei sei implumi proseliti, appunto.

Il secondo gruppo è capitanato dal caposcuola del riduzionismo Bagnoli L che, considerando la sua semenza e il suo realismo cartesiano, vede nel solo Vivione un obiettivo più che appagante. Al suo seguito, in questa soluzione minimale, finiscono per ironia del destino granfondisti, maratoneti e ciclisti di lungo corso, ovvero quelli che il Gavia l’hanno già timbrato ieri, Bertelli, Cerri, Chiarugi e Nucci, che però si ripropongono di allungare la minestra con qualche appendice palindromica di percorso di tappa.

Il terzo gruppo è formato da Bitossi e basta che, con sprezzo di asocialità e digiuno serale, è l’unico coerente col tragitto vergato e cresimato da Caparrini sei mesi fa e che ora l’effetto farfalla di quei trenta minuti ha messo fuori corso.

La narrazione diventa pertanto tricotomica. Del terzo gruppo, dopo una breve e lenta comunione col secondo sul Vivione, non si hanno più notizie fino a tramonto inoltrato. Il secondo ha un destino abbastanza lineare: la Bertelli che parte a razzo, Chiarugi e Nucci che non possono né seguirla, né lasciarla andare perché è sempre femmina e perché Boldrini è solo rimandato all’indomani; Cerri che pensa alle gare dentro un incomprensibile abito a manica lunga; Bagnoli L che a passi tardi e lenti si congratula con la sua lungimiranza scoprendo la strada del Vivione, oltre che stretta in modo spettacolare, anche ben lunga e ripida e poco propensa a lasciarsi domare dopo un antipasto di Gavia[Foto16].

Ed ora entriamo nelle frammentate ed avvincenti vicende del primo gruppo, non prima però di aver descritto le appendici esornative promesse dai più forti atleti dell’Empolitour dopo l’insufficiente Vivione, durante l’attesa dei gruppi di Caparrini e della maglia rosa Cunego. Esse consistono in: due ore di sosta Pagni al rifugio a mangiar stinchi di maiale, due ore di crogiolo al sole, un’ora di TV all’aperto su comode panchine [Foto17]. Variante sbrigativa: immediato ritorno a casa di Cerri. Ad onor del vero e di Chiarugi, egli sostituisce lo stinco di maiale con un lavaggio di coscienza sul versante opposto del Vivione ma poi converge nel crogiolo e nella TV, mentre il primo gruppo chissà dov’è a quest’ora. È il pensiero di tutti sul ciglio della stradina. Chissà se li rivedremo o se saranno dispersi, un po’ sul Gavia a prendere il sole in mutande, un po’ in albergo lavati e asciugati. Riuscirà Caparrini a riunire la molteplicità, nell’intento di una tappa da visionare che interessa a pochi? Si fantasticano ipotesi dietro ipotesi per ingannare l’attesa. Poi la realtà arriva in extremis assieme all’elicottero della RAI, e si dispiega, prima con Torcini-Marchetti, poi con Zio che baldanzoso transita fra due ali d’esultanza [Foto18], seguito dopo un buon miglio da un Boldrini in spaventosa trance cadaverica [Foto19], e poi più o meno da tutti gli altri [Foto20, Foto21]. Facciamo però un passo indietro, il passo Gavia. Chi vuoi chi ci sia sul Gavia il giorno dopo la tappa. Giust’appunto otto ciclisti, un centauro, un cameraman e un vespista. La marmitta di Masini ricaccia nelle tane le marmotte che si stavano rilassando dopo il finimondo di ieri, poi salendo verso le alte sfere celesti va in debito d’ossigeno, tossisce e boccheggia. Proprio come i ciclisti. Proprio come Bagnoli F che ha iniziato la sua carriera di girino forse in modo troppo altisonante. Voleva in un primo tempo seguire il suo più saggio omonimo ma è stato alfine plagiato dall’entusiasmo virginale. Ora si ritrova inghiottito nelle bianche fauci di una montagna sublime e spietata, e quella borbottante Vespa è il suo unico mezzo di salvazione. O Masini! esauditelo! tiratelo a voi, lui e la sua bici: hanno patito abbastanza! hanno patito abbastanza!

Nell’Oltretomba della galleria sfilano le anime penitenti. I loro occhi sono fari anabbaglianti, uno di fronte, uno di spalle. La Nemesi sta per appianare l’ingiustizia delle partenze anticipate, il Gavia diventa un onore comune. Caparrini e Pagni suggellano mano nella mano un traguardo che avevano già assaporato e che ora regalano agli stupefatti primipari. Boldrini, Zio, Tempestini, Giunti, Malucchi e il pargolo Bagnoli F ora sono mondati dal peccato originale.

Finirebbe tutto in idillio se non ci fosse il Vivione. Quella che per i minimalisti del mattino è stata un’amena viottola, per Caparrini, Pagni e adepti diventa un nero budello dove scolano rivoli di denso e sanguigno sudore. La tortura è più crudele perché stanno incedendo le ferrigne e mefitiche avanguardie del Giro che chiedono maleducatamente strada ai derelitti, l’ultimo dei quali è Caparrini che, sul più bello di un volo agonizzante, tocca terra coi piedi [Foto22]. È il peggiore e il più sconveniente degli incubi di un ciclista. Dirà di aver udito la voce di Castellano che dall’auto della giuria gli intimava di scendere per far passare Simoni e Garzelli. Noi gli crediamo, anche se la corsa passerà solo dopo altri venti minuti. Ma sono venti minuti finalmente a ranghi compatti, da cui dobbiamo estrapolare Bitossi alla Presolana, Cerri a casa, Bagnoli F in albergo (ma aveva patito abbastanza), Boldrini in un mondo a parte, ammutolito fra le sue cosce. Poi ci sono tutti. No, veramente all’appello manca Malucchi. Per alcuni era davanti, per altri dietro, ma qui non c’è. Neanche le riprese dalla moto e dall’elicottero RAI chiariscono il mistero. Bisognerà aspettare la sua piena confessione: una crisi di fame immane ed esplosiva lo ha costretto a rifugiarsi in un camper a mendicare pane e Nutella.

Lentamente l’effetto farfalla si attenua. Si riavvolge l’intricata matassa e la corsa passa, puntuale con quella mezz’ora di ritardo che più non nuoce. La carovana torna alle stalle proprio prima dell’arrivo del figliol prodigo Baricci con famigliola a carico, atteso protagonista dell’ultimo giorno. Siccome in questo caso figliol prodigo e vitello grasso coincidono, si evita di ammazzare quest’ultimo e ci si limita a baci, abbracci e strette di mano. Poi in sul calar del sole ritorna anche Bitossi che vien dalla Presolana, con la sua facies imperturbabile [Foto23], e reca in mano l’odoroso casco ove la cuoca misericorde versa gli avanzi della cena che egli consuma ancor da ciclista vestito, al biancheggiar della recente luna. Dimani, al dì di festa, apprestiamoci ad ornar le gambe e il petto in onore del Mortirolo.

 

 

30/05/2004 Mortiroli diversi

 

Or la squilla dà il segno della festa che viene. A Edolo il campanaro suole far seguire il tocco delle 7.30 con un concerto sussultorio, ma l’Empolitour è già desta e sul piede di colazione, insufficiente. Caparrini, mentre sorseggia un succo di frutta portato da casa, pensa a quest’altra giornata di dilemmi e secessioni. Il Giro rosa stavolta non c’entra, è già lontano ed è stato già officiato a dovere. Il casus discordiae è il Mortirolo, un’ara pagana sulla quale non tutti sono disposti ad immolarsi per la squadra. Lo si sapeva già alla partenza. Si sapeva che l’irremovibile Bagnoli L ne aveva sancito l’elusione dogmatica, ma restava da vedere quanti avrebbero aderito a tale dogmatismo, soprattutto dopo l’imprevisto sacrificio carnale del sabato del Vivione. Si sapeva che l’emigrante Baricci, coi suoi chilometri calanti e la sua stazza crescente, era un improbabile candidato. Però andare a Edolo e non scalare il Mortirolo è come andare all’Oktoberfest e non bere birra.

Il Mortirolo, quello propriamente detto, nascente da Mazzo in Valtellina, era l’icona di questa trasferta lombarda, ciò di cui vantarsi con mogli, figli, nipoti e colleghi; un’esperienza obbligatoria come un sacramento, da raccontare ai ciclisti delle nostre terre quando si lamentano della durezza delle Pizzorne o financo del San Baronto da Lamporecchio. Il Mortirolo era la quintessenza di questo Giro ed ora rischiava d’essere degradato a Valico di Trivigno per ragioni, senz’altro onorevoli, di ecumenismo.

Pagni, il ciclista di piano bar, che vuole la compagnia, la risata forte e l’amicizia a cena, propone, in nome dell’indivisibilità dell’Empolitour, di arrivare comunque sul Mortirolo, ma tutti dalla via più agevole, livellando ogni desiderio al minimo delle forze in gioco, cioè a Baricci, per il quale anche il valico di Trivigno suona come vero Mortirolo. Poi però, pure in questo frangente, si fanno avanti le ragioni dei vergini, venuti apposta fin quassù per questa dolorosa ma intrigante deflorazione che, conoscendo le idee monolitiche di Caparrini e Castellano, chissà quando potrà ricapitare.

Il vantaggio di quest’odierno contraddittorio sta però nel fatto che può essere prolungato fino al quattordicesimo chilometro di salita dell’Aprica, ove un fatal bivio sancirà il responso del Mortirolo, una volta per tutte. Così finalmente la partenza è univoca come ai bei tempi [Foto24], con la fiumana biancazzurra che lenta invade la carreggiata, salutata dal festoso concerto di clacson e accompagnata dai borborigmi della Vespa masiniana. Ogni tanto si vede Marchetti fermo a filmare e i fanciulli di Baricci gridando su la piazzuola in frotta, e qua e là saltando fanno un lieto romore. Sono orgogliosi del babbo che vedono finalmente in bici. È proprio vero che a pedalare non si disimpara mai, però dopo tanto tempo qualche dettaglio sfugge. Così Baricci per dieci chilometri pedala con la ruota anteriore montata al contrario. Poi capisce che il computerino di bordo sta tacendo non perché si rifiuta di mostrare una velocità invereconda, ma perché non riceve impulsi dal sensore posposto.

Intanto i guardi stesi nell’aria aprica come il passo, nascondono pensieri turbinosi sotto i caschi dei predestinati al Mortirolo. Che cosa passi nella chiorba del transgenico Boldrini non è dato a saperlo perché è già in fuga. È l’ultima occasione per un’appassionante boldrinomachia con Chiarugi, Nucci e Zio, ma un sentore di rinuncia aleggia anche stavolta. La psiche e le cosce del globicefalo sono ancora sotto shock, Nucci è debilitato, Zio e Chiarugi sono in pace fra di loro. La salita sta però portando consiglio. Un sussulto s’aggira nel gruppo, passando da Bertelli e Chiarugi, attraverso Zio, Tempestini, Malucchi e Giunti: questo Mortirolo s’ha da fare, o oggi, o mai. Scocca l’ora delle decisioni irrevocabili: questi sei prodi andranno a farsi il Mazzo, il resto a Trivigno, Boldrini non si sa dove e Bitossi, tertium datur, tanto per non smentirsi, tra due proposizioni contraddittorie sceglie una terza, il Valico di Santa Cristina.

Appuntamento dunque sul Mortirolo e narrazione di nuovo frazionaria ma doverosamente sbilanciata a favore dei più audaci. Mentre ai pavidi seguaci di Bagnoli L tocca anche una meritata ma innocua punizione geologica, sotto forma di frana ostruente e nevosa che li costringe ad andar per zolle con le bici in spalla [Foto25]. Se si aggiunge una velocità da fungaioli [Foto26], una sosta Pagni interminabile [Foto27], un continuo indugiar di sguardi verso i panorami mozzafiato in bilico tra due valli, si capisce perché il primo ad arrivare all’appuntamento sia Chiarugi che coi sodali di Mazzo ha percorso chilometri più lunghi più aspri e più forti.

Con soddisfazione di tutti i pacifisti si scopre che Boldrini è stato inglobato da Bitossi sul Valico di Santa Cristina ed anche a loro due la giustizia ciclistica commina la mite pena del passeggio su frana.

Gli onori spettano ovviamente ai mortirolisti puri che precettano la Vespa sociale per immortalare il loro eroismo. La salita è stata descritta da penne più valenti e accurate di questa, e chi non la conosce e non si sente all’altezza della sua fama, può almeno leggerne fastosi scorci nell’epopea del ciclismo piccolo e grande. Da quest’anno è dedicata alla memoria di Marco Pantani, è ben levigata ed ornata da numerosi graffiti in tema ciclistico e non. Chi non ha gli occhi offuscati dalla fatica e non teme la scurrilità, può ingannare il tempo scorrendoli dal basso verso l’alto. Chi poi riuscisse anche ad alzare la testa dal manubrio, può scandire la lenta ascesa con la lettura dei cartelli lignei che indicano in bella calligrafia l’altitudine e il nome di vari paesi di gnomi attraversati.

Passata la tempesta del Giro, s’odono davvero augelli far festa coi grilli, e vaghe automobile che, tornate in su la via, ripetono il loro stridulo verso. Anche la Vespa ora sembra una gallina che chioccia o una vespa in senso entomologico che ronza. Si ferma e osserva con l’obiettivo quegli animi egregi stemperare con sorrisi, ora dolci di soddisfazione, ora amari di fatica, l’asprezza di quelle inclite spire che non sembrano mai volersi posare, come se fossero destinate ad una sempre più silenziosa eternità.

Senza Boldrini non esiste naturalmente ordine d’arrivo, tutti i salmi del Mortirolo finiscono in una contemporanea gloria. Tutti i privilegiati di quell’aureo sestetto potranno menzionare nell’almanacco della vita anche questo battito d’ali di farfalla, durato fra i settanta e i novanta minuti [Foto28]. Chiarugi potrà narrare di avere spianato con forza quella strada di travaglio, vendicandosi di un affronto subito tanti anni or sono. La Bertelli urlerà con giubilo che due mortiroli dentro il petto valgono più di due grosse tette davanti. Zio capirà d’ora in poi il vero significato dell’aggettivo micidiale che abbonda nel suo lessico scalatorio. Malucchi ringrazierà chi all’ultimo minuto lo ha traviato dalle lusinghe del ciclismo godente, giungendo in vetta con un plateale 53x15. Tempestini potrà vantarsi d’aver espugnato la salita con le lonze ed un raggio rotto [Foto29]. Giunti imparerà che un cuore puro ed una mente volitiva possono sconfiggere anche i crampi [Foto30].

Dolenti per sempre saranno coloro che da lunge, dal labbro d’altrui, come uomini stranieri udranno queste avventure, che ai loro figli narrandole dovranno dire sospirando: io ero lì ma non c’ero, ero sul Mortirolo ma sono passato da Trivigno.

Pazienza, c’è ancora l’ultimo ristorante per mettersi in luce e chi, come Pagni, non ha voluto gloriarsi di nobile sudore, ora tenta l’estremo riscatto in un’angusta sala di Edolo dove rimbombano, come le trombe nella valle di Giosafat, le voci etiliche dei commensali, finalmente insieme radunati in un solo spirito, quello delle uve. Difficile e ingiusto anche in questo caso cercare un vincitore, anche se Pagni e Tempestini avrebbero trionfato in una gara di alcolemia. In un Giro trascorso senza agonismo, anche le risate finali vincono a pari merito. Due soltanto tornano a casa tristi: le chitarre di Giunti e di Bagnoli, rimaste per tutti questi giorni silenziose nelle custodie d’origine.

 

 

Riepilogo personaggi in ordine di partecipazioni al Giro

 

Caparrini: 11. Ha in fin dei conti diviso e imperato come i migliori statisti e, nonostante le traversie ha portato a compimento il programma senza stravolgimenti peggiorativi. Ha pure allietato i commensali con la comica finale della caduta dalla sedia.

Chiarugi: 11. Questo Giro di sentieri che si biforcano gli ha negato l’attesa disfida con Boldrini sul Mortirolo, conquistato valorosamente con un distacco di 25 minuti da Pantani.

Nucci: 11. Il suo è stato un Giro all’insegna della non competitività, a parte qualche scaramuccia con una rumena sul Vivione. Gli opinionisti comunque sostengono che da un eventuale scontro con Boldrini sarebbe uscito scornato.

Bagnoli L: 9. Nonostante la sua curva d’allenamento stia toccando le ascisse e nonostante le voci di un suo riciclaggio a chitarrista o vespista, riesce sempre a far emergere il suo incrollabile animo ciclistico saggio e ponderato.

Pagni: 7. Il suo ruolo non era certo quello di risollevare il tasso atletico della squadra, semmai quello alcolico e colesterolico. In tal senso merita pieni voti. La sua tipica nudità sui passi è stata però piuttosto limitata.

Bertelli: 5. È riuscita come sempre ad ingentilire la spedizione, pur non disdegnando qualche sano impeto guerresco, come quando tentava di tirare il collo ai suoi palafrenieri o quando esultava alla maniera caparriniana per il record di scalata del Mortirolo.

Bitossi: 4. È riuscito come sempre a sfuggire ad ogni tentativo di prevedibilità. Però in fondo, calendario sociale alla mano, è l’unico che l’ha rispettato alla lettera.

Boldrini: 3. Si è capito fin dall’inizio che con quelle sopracciglia rifatte aveva intenzione d’essere più anomalo del solito. E ci è riuscito. Però resta il dubbio se fossero gli avversari ad evitarlo o viceversa.

Marchetti: 3. Ha rafforzato la sua abilità a filmare dalla moto in corsa, a raccontare barzellette e a dormire placidamente in auto nonostante la guida allegra e zigzagante di Caparrini.

Tempestini: 3. Ha appuntato sul suo petto prosperoso le due medaglie al valore di Gavia e Mortirolo che da sole varrebbero già una carriera. Poi si è voluto distinguere pure come valente avvinazzato a tavola.

Torcini: 3. Con la sua assistenza angelica ha forse salvato molte vite dal gelo e dalle tenebre del Gavia, commettendo fra l’altro con la moto numerose infrazioni e gravi reati.

Baricci: 2. Gradito ritorno dell’emigrante dopo i fasti abruzzesi del 2002. La sua pur breve presenza deve servire a lui, come incitamento alla perseveranza, e a chi è rimasto a casa come ammonimento che i Giri dell’Empolitour sono alla portata d’ogni chilometro e chilogrammo.

Cerri: 2. Ha voluto esserci nonostante una dura gara domenicale. Due toccate con fuga e un pestotto ad un professionista che rimarranno comunque nell’albo d’oro.

Giunti: 2. La sua maestria di chitarrista è stata per fortuna oscurata da quella di ciclista. Ora con Gavia e Mortirolo può vantarsi d’essere più forte di Jimi Hendrix.

Malucchi: 2. Prima partecipazione come ciclista. Sarà ricordato per l’assalto famelico ad un camper misericordioso e soprattutto, primo nella storia del ciclismo, per il Mortirolo scalato coi manicotti.

Masini: 2. Ha mostrato doti cinematografiche con la telecamera e musicali colla Vespa. Gli arpeggi della sua marmitta rimarranno la colonna sonora di questo film.

Bagnoli F: 1. Esordiente giovine. È venuto al Giro per fare esperienza e l’ha visto in televisione. Però può già vantare un Gavia e un Mortirolo minore, sorpassando il fratello maggiore che chiuse la sua carriera al Giro ’97 con una puntata al casinò ed un giro in barca.

Ziodipucci: 1. Esordiente attempato. Ma fortissimo. A lui spettano di diritto i punti del GPM sul Vivione. L’entusiasmo fatto di risate boccheggianti fa presagire numerose altre partecipazioni.