Novantaseiesima puntata 19/06/2011
Dove si cerca di confermare o smentire la famosa maledizione delle Grazie.
Un cappio sembra o un ago con la cruna
non un giro che gira circolare,
ma è noto perché porta assai sfortuna.
Ha la memoria corta, a quanto pare,
la gente che in Via Baccio si raduna
od è venuta proprio per provare
l’ebbrezza di sventure e di disgrazie
lassù nell’antifrastico Le Grazie.
“Quell’anno le disgrazie furon troppe.”
Ricorda Caparrin. “Ruppi un pedale
e a casa ritornai con l’autostoppe.
L’anno dopo un copioso temporale
s’infranse sulle nostre inermi groppe,
ed è un fatto geografico normale
che per inerzia, incomprension o svista
si perda per la via qualche ciclista.”
La musa quando queste frasi sente
volge lo sguardo e orienta le due antenne
verso il ploton della perduta gente
dove rivede varie liete strenne:
Maltinti delle botte alto esponente,
o Lisi sempre alacre a lasciar penne,
o Lelli che ci ha il fisico di ruolo
e già un volta mise il piede al suolo,
o il marsupiale coi vestiti buoni
che porta seco il cavalier oscuro,
due potenziali fonti di emozioni.
Degno di botta, ma non è sicuro,
è pure il biker fervido Busoni
poco temprato per l’asfalto duro.
Insomma c’eran uomini e premesse
per veder botte come se piovesse.
In verità la morsa del destino
a palesarsi subito non tarda
sulla rampa chiamata Ragnaino,
laddove Caparrin inchioda e guarda
con sgomento evidente e genuino
la nobil bici sua con l’alabarda,
e guarda convocando le sue truppe
la ruota che più volte gli si ruppe.
Chiarugi e Giunti ai suoi malestri avvezzi
gli chiedon: “Che succede?” col presagio
di dover allertare il carro attrezzi.
Sarà del fato il solito contagio
sulla bici che ha sani pochi pezzi?
E invece volge al minimo il disagio.
“È sol la leva” dice “che va strinta.”
E poi riparte il duca senza spinta.
La musa che furtiva ancor adocchia,
nota che pur Maltinti il San Baronto
scala nel gruppo con discreta spocchia,
e come Lisi sembra baldo e pronto
a maggior gloria sotto le ginocchia.
Ma la botta, si sa, non vuol acconto:
in un anno di Grazie, nel dar cambi
capitolaron giù per terra entrambi.
Anche il cielo profuma di minaccia
e Caparrin come amuleto ha in tasca
la mantellina che la pioggia scaccia,
mentre Ulivieri a scanso di burrasca
ha mantella, incerata e copribraccia
come nemmen si vestono in Alaska.
Ma il tempo che può ravvivar il carme
si dimostra ben presto un falso allarme.
“Le Grazie son pur sempre una salita.”
Sostiene Caparrini a San Felice
mentre il gruppo l’affronta come in gita.
Così che Traversar si ferma e indice
una sosta alla quale pur invita
Cocchetti e Giunti a fargli da cornice.
E la povera musa i versi attinge
guardando con sussiego il trio che minge;
perché in salita molto ci s’annoia
considerando i magri dislivelli
e due uguali passaggi da Pistoia.
Tanto che in testa van Busoni e Lelli
che tiran dritto per l’allungatoia,
mentre Chiarugi e Nucci saputelli
pensan che il giusto sia nella via breve
diretta a Piazza ove si mangia e beve.
Giunti che segue quei che tutto sanno,
quasi incespica e cade con un ramo
ma s’alza tosto in piedi senza danno.
A Piazza Nucci dice: “Quanti siamo?”
E la conta è in difetto anche quest’anno.
“Chi s’è perso stavolta in modo gramo?
Ragazzi, c’è qualcosa che non quadra,
qui manca Caparrin con mezza squadra!”
Attendon con l’idea di qualche esizio
o almen d’una banale foratura
che delle Grazie onori il malefizio,
e invece Caparrin senza premura
arriva tardi e non lamenta vizio.
“Troppo corta mi parve la misura”
racconta ai postulanti “ed ho deciso
di passar da Cireglio senza avviso.”
Questo bidone pur la musa incassa
e ormai ripone l’ultima speranza
sull’altro San Baronto che ripassa.
Lisi e Maltinti un po’ vanno in vacanza
ma non son degni d’esser gente lassa
e serban con decenza la baldanza,
ed Ulivier con la pubica sacca
a stento dai più forti si distacca.
“Dove son le disgrazie d’una volta?”
S’interroga retorica la musa
che inutilmente venne a far la scolta.
Stanca pedala ma non è delusa
perché, riflette, con la noia molta
una puntata ancora s’è conclusa,
col monito finale a quelli scarsi
d’evitar perlomeno d’allenarsi.