Novantesima puntata 01/01/2011

Piatto ricco a Capodanno. L’Empolitour cala un poker d’assi sul Monte Senario.

 

“A figura dantesca adesso assurgo,

ché l’anno nasca in un solenne segno.”

Comincia Caparrin duca e demiurgo.

“Venite meco nel secondo regno,

dove l’aitante spirito mi purgo

e di salire al ciel divento degno.

Ma questo accade sol a Capodanno

e sol se il clima indulge senza danno.

 

Venite meco sul sacrale monte

che tutti gli anni incigna il calendario

ma le sue voglie son di rado pronte.

Venite meco a scriver sul diario

d’esser saliti fin all’alta fonte

donde sgorga la pace del Senario,

il monte che somiglia al Purgatorio

e merita un unanime auditorio.”

 

Con speme forse vana si conclude

l’inaugurale appello del maestro

che osserva il cielo terso e poi s’illude

d’aver a molti risvegliato l’estro,

quella brama ciclistica ch’elude

l’insonnia dei veglion di San Silvestro,

tanto più che il termometro è foriero

e segna sol due gradi sottozero.

 

Caparrini si piazza sulla soglia

con la speranza verso il ciel protesa

e pur verso la strada ancora spoglia.

“Ecco Chiarugi con la faccia tesa.”

Dice a lui che non parla ma gorgoglia.

“Io mi son messo camiciola pesa

ed ora ho caldo.” Dice al suo sodale

che scuote il capo, tacito e glaciale.

 

“Ecco il terzo che viene alla catarsi.

Ecco Carlon l’atermico molosso.”

Dice a sollievo d’esser pochi e scarsi.

“Io mi son messo troppa roba addosso.”

Dice, e Chiarugi stenta a rianimarsi,

mentre col naso surgelato e rosso

scuote il capo fasciato pur Rinaldi

che mostra di patir ben altri caldi.

 

Questi tre nasi di calor dipinti

concordano con rapido successo

di non attender più quarti né quinti,

perché color che avevano promesso

o son resipiscenti o furon finti.

“Boldrin a Montelupo sarà annesso.”

Avverte Caparrin sperando poco

mentre per strada pare il coprifuoco.

 

Un ciclista d’identità segreta

s’aggrega e poco dopo si disgrega

quando s’informa della loro meta.

Chiarugi intanto accelera e rassega

mentre l’aura del sol è ancora cheta

e s’impingua l’indomita congrega.

Ma rimpiazza il fedifrago Boldrini

l’asocial più fedele Ramerini.

 

“Non ci saranno allor lunghi distacchi.”

Pensa guardando i tre compagni in fila

con la brina sui fieri suoi mustacchi.

“Il Senario classifiche non stila.

Si scala al passo dei bubboni fiacchi

e nessuno da solo se la fila.”

Gli conferma il pensiero il duca saggio

che cerca ai suoi d’infondere coraggio.

 

Quel che Chiarugi inver vorrebbe infuso

è il calor che nel corpo ancor gli manca

anche se il sole non è più recluso

e la verzura ormai non è più bianca.

Ora per strada qualche mezzo è intruso

e il fumo di benzina li rinfranca.

Nei pressi di Scandicci non a caso

a Rinaldi s’è scongelato il naso.

 

Anche l’Arno a Firenze si scongela,

e i quattro si ritrovan sui viali

sì come in mar aperto barche a vela.

“Questo sarà il percorso dei mondiali.”

Caparrin ai suoi fanti allor rivela,

e Ramerin si ferma ad un dei pali.

Lì circospetto sul bacin s’inarca

e come i gatti il territorio marca.

 

“Del Purgatorio, orsù, siete all’ingresso!”

Esclama il duca con nobil accento.

E Ramerin dopo il venial permesso

cerca a suo fianco di star ben attento

giacché la strada suole perder spesso

e da sol mai vedrebbe quel convento.

Funge il maestro allor da Cicerone:

“Signori, questo è Piano del Mugnone,

 

e queste invece sono le Caldine,

come sentite, infatti già si suda

e vi si pone un debito confine

fra la salita lieve e quella cruda

che qui comincia e poco dopo ha fine,

tre volte poi ritorna pria che chiuda.”

Tutta l’ascesa spiega con rigore

come se fosse pure professore.

 

Carlon, che pure lui non la sapeva,

nei minimi dettagli ora la impara

e dalle ruote amiche mai si leva.

“L’erma montagna mi fu sempre cara.”

Caparrin sui ricordi allor fa leva,

e Carlon malinconico dichiara:

“Da bimbo venni qui in gita scolastica

ai tempi del littorio e della svastica.”

 

“Ora potete pure dir: che bello!”

Ordina perentorio Caparrini

varcato del convento il pio cancello.

“Quelli innevati là son gli Appennini,

e sotto quella coltre c’è il Mugello.

Mirate con stupor di fanciullini

ma fate presto a ritemprare gli occhi

ché voglio far la sosta nel bar Zocchi.”

 

Chiarugi che finora non parlava,

per soffiar fiato caldo dentro i guanti,

vuol aggiunger però l’ultima ottava

che sia d’auspicio all’anno ch’è davanti

e all’opera che sempre più s’aggrava

d’epici eventi dei Ciclisti Erranti,

ai quali sian nell’undici augurate

cento di queste nobili puntate.