Ottantanovesima puntata 05/12/2010

Il primo freddo corrobora il presidente che rischia un clamoroso sorpasso.

 

 

Caparrin impaziente e redimito

con la fascia frontale spessa e intensa

apre l’uscio al suo clima preferito,

annusa il gelo e ad alta voce pensa:

“Seppure questo freddo è un po’ scipito

e il fiato ancor nell’aere non condensa,

in questo giro di Valdelsa spero

che il termometro resti intorno a zero.”

 

Chiarugi, che non è di questo avviso,

arriva primo all’algido concorso,

non per vergogna nascondendo  viso,

e coi suoi bei guanton di pelo d’orso

non teme dai compar d’esser deriso

perché si copre ognun senza rimorso,

come Rinaldi col passamontagna

protegge la globosa cuticagna.

 

Caldo sta Giunti col foulard al collo

e Mirmina esibisce un’incerata

che di sudor lo tiene in fresco ammollo.

Tempestin nonostante la brinata

dei leggeri gambal non è satollo,

mentre l’antico Nucci pensa e guata,

guata Boldrin che incombe sulla sella

coperto da una candida mantella.

 

“Partiam” Chiarugi invoca “ché si ghiaccia!”

Così si muovon solamente in otto,

pochi mostrando la lor vera faccia.

Caparrin guida e parla a piccol trotto

e brina sui capelli si procaccia.

Ma lui zero non teme e nemmen sotto

perché il suo strato di coibente grasso

lo tiene caldo pure a lento passo.

 

Ma Chiarugi che estrinseca sol ossa

rattrappito trasogna il fuoco eterno,

o un elettrico cavo che dà scossa,

o la pece bollente dell’inferno,

o la brace che brucia nera e rossa.

Poi tremante si sveglia nell’inverno.

“O gente” dice “ma qui si rassega!”

E fugge mentre il gruppo non fa piega.

 

Più tardi lo ripescano a Certaldo

dove però la rima ancora inganna

ché non c’è verso di patir più caldo.

Intanto, mentre Caparrin s’affanna

a riparar pneumatico ribaldo,

il gruppo cresce ancor di qualche spanna:

s’incontran tre ciclisti per la via

ed uno non si sa nemmen chi sia.

 

Annibal Caro col nero pigiama

e il signor Rossi in abito spezzato

son due che si conoscono di fama.

Come stavolta Rossi sia agghindato

non è materia che interesse chiama,

ché da sprecare non c’è troppo fiato.

Chi usarlo puote l’usa, e sono tanti,

per soffiar aria calda dentro i guanti.

 

Non Caparrin che vigoroso incede

con i guanti social, per tutti inani,

ammettendo sol lieve fresco al piede.

“Non è poi il freddo che s’associa ai cani.”

Cerca di consolar chi non ci crede.

“Tanti ne ho visti di Sangimignani

e non ricordo proprio negli annali

a dicembre precorsi tropicali.”

 

I versi d’emozion ancora intonsi

intravedono intanto una speranza

quando i ciclisti sfioran Poggibonsi.

Lì la strada che piattamente avanza

potrebbe emetter tiepidi responsi

col calore della belligeranza,

ma benché la salita s’avvicini

inerte par l’ermetico Boldrini.

 

Invano Nucci prova a stuzzicarlo

ma lui risponde come le scimmiette:

“Io non vedo, non sento, però parlo”

Parla fin dall’inizio e mai non smette

però si sente che lo rode un tarlo

da certe sue parole un po’ sospette:

“Non m’alleno, son stanco, sono fiacco,

andate pur avanti, ora mi stacco.”

 

Boldrin con aria mesta e remissiva

suole dalle sconfitte tutelarsi

con rinuncia all’agone preventiva,

ed oggi pur con contendenti scarsi

sente che la salita gli è nociva

e s’interroga tosto sul da farsi

quando intravede il frigido Chiarugi

sopravanzarlo senza troppi indugi,

 

e quando pure Nucci lo sorpassa

si sprona lì per lì battendo l’anca

ma poi rallenta e langue a chiorba bassa.

Pedala piano però non arranca

ma la vision che molto lo tartassa

è Caparrin che pencola e l’affianca.

La musa in cuor già il titolone sente:

“Boldrin staccato pur dal presidente.”

 

Il transgenico stretto ormai alle corde

l’arma allor sfrutta della sua loquela

sul presidente ch’è misericorde.

Comincia a raccontargli una sequela

di sue storie ciclistiche balorde,

che una mossa vincente si rivela

perché il duca lo ascolta e più non freme

e con lui sotto l’arco arriva insieme.

 

Persa è un’irripetibile occasione,

perché staccar Boldrin, anche se inerte,

di gioia e di virtù sempre è cagione.

Per due mesi, si sa da fonti certe,

s’escluderà, si dice, dall’agone,

e un po’ meno così ci si diverte.

Infatti è un virtù molto più degna

quando qualcun lo stacca e lui s’impegna.