Ottantatreesima puntata 06/06/2010
Come sullo Zoncolan. Avvistati anche sul Serra esemplari di ciclista pedonale.
Di Zoncolan passata è la tempesta
e Caparrin sull’uscio del garage
ode stormo d’augelli fare festa.
Vestiti d’ordinario o di vintage
venti cinquettan con le bici in resta
pronti a scalar il Serra senz’ambage.
Ogni salita ormai per quanto dura
ai reduci non farà più paura.
Infatti attorno ai reduci di Carnia
ronzano quei di Zoncolan ignari,
com’api che s’incontrano nell’arnia.
Odon racconti ameni e singolari
come se fosser cronache di Narnia
aprendo per stupore bocche e nari,
poi commentando con lo stesso verso:
“Meno male che ce lo siamo perso.”
Si vedon due Bagnoli, per esempio,
dei quali, al par di Lisi o di Maltinti,
quell’erto colle avrebbe fatto scempio.
Ma con intenti più vittor che vinti
ritorna Lanerossi al nostro tempio,
e poscia appar con abiti distinti,
per dar novella fronda a queste pagine,
un certo Annibal ma non di Cartagine.
S’aggiungano Mirmina e Ramerini
ed avremo la commistion completa
fra i renitenti al Giro ed i girini.
“Il monte che ci diede tanta pièta
dimentichiamo.” Esclama Caparrini.
“Preparatevi orsù alla nostra meta
perché il versante della lucchesia
è il più cattivo Serra che ci sia.”
Ci s’aspettava dopo tal sentenza
che almeno i decorati friulani
paghi fosser di ritmo e di pendenza,
così da mantener su clivi e piani
gioviale e soporifera cadenza,
e invece sembran lepri contro cani:
la brama di dominio mai s’asciuga
ed ogni posto è buon per una fuga.
Attacca Nucci fra i lavori in corso,
quando parecchi sul mediceo ponte
passano a piedi con la bici in dorso,
ed a Galleno senza freni ed onte
riattacca con l’insolito concorso
d’Annibale che tien alta la fronte:
ben abbigliato con la social tunica
sembra impegnato in una guerra punica.
Così il gruppo s’affetta in vari punti
ed è perduto chi a pisciar si ferma
come fan Traversar, Salani e Giunti.
In testa par che tirino di scherma,
e son Chiarugi e Tempestin compunti
quando Nucci fa scherzo da caserma:
d’una gara ciclistica approfitta
per fuggire in discesa a testa ritta.
Mentre davanti esplode tanta lotta,
dietro pedalan lenti e prevenuti,
e il presidente dalla mente dotta
dice a Maltinti e Lisi: “Siate astuti
ed evitate una sicura botta
scalando il Serra facile da Buti.”
Costoro che son pur persone colte
non se lo fanno mica dir due volte.
Pria che cominci la salita ostile
i forti s’accapigliano sui dossi
per arrivarci nelle prime file.
Gli inseguitor di Nucci sono scossi
da quell’attacco proditorio e vile.
Emerge sol il baldo Lanerossi
che con inesorabile progresso
lo vigila e poi gli s’incolla appresso.
A questo punto ogni lettore spera
che da Colle di Compito alle antenne
castighi Nucci in esemplar maniera.
Invece Lanerossi senza strenne
sente del Serra l’indole severa
e per lasciarci sta quasi le penne.
Chiarugi e Tempestini senz’abuso
si bevono di lui il ben cotto infuso.
Se Nucci incontrastato va alla vetta,
se Caparrini tanti ne sorpassa
di quei partiti avanti a lui con fretta,
non ragioniamo, e l’interesse passa
ad Annibal che tosto s’intercetta
con Rossi, noto alla lettrice massa
per esser un di quei che nell’agone
scalò lo Zoncolan come pedone.
I due pedalan nella strada angusta
già parecchio isolati dalla greggia
e non di gloria la lor schiena è onusta.
Uno ben caracolla e l’altro ondeggia
ed ogni pedalata pare frusta,
mentre una voce nei lor cuori echeggia.
È la musa o lo spirito del Serra
che blandisce i lor piedi sulla terra.
“C’è una fontana, lì nessun ci vede.”
Dice Rossi. “Fingiamo d’aver sete
ed a terra poniam lo stanco piede.”
Annibale, che già invocava il prete,
alla proposta facilmente cede
ed antepon la fonte alle alte mete.
La bici sua posò triste e pesante
naturalmente come un elefante.
Dato ristoro ai lor deboli frali,
ripresero a salir pure con duolo
ma perlomeno sempre sui pedali.
Con l’eleganza delle quaglie in volo
raggiunsero sul Serra i lor sodali
senza nemmeno stramazzare al suolo.
La musa intanto prese i loro scalpi
invitando anche Annibale sull’Alpi.