25/04/2004 Ottava puntata

Capitano anche al capitano che capitanò in passato l’Empolitour

 

L’abbiam lasciato ad annaspar nell’acque

ed or lo ritroviam sfibrato all’ombra,

il capitan che valoroso nacque.

Così se il lettorame non s’adombra

racconteremo come egli si giacque

vinto dal malo umor che l’omo sgombra.

Potremo dir allor: c’era una volta

Chiarugi che la fece troppo sciolta.

 

Tardava primavera ad invaghire

e Caparrin ritenne buona cosa

andare tutti a farsi benedire

sull’inclita abbazia di Vallombrosa

per quella strada dalle mute spire,

muta pur d’ogni traccia luminosa:

salita che dirada gli alti tronchi

e fa scoppiar le gambe, il cuore o i bronchi;

 

e, come se la lena non bastasse,

l’asilo del ritorno si raggiunge

con colline, che sono sì più basse,

ma ognuna sul già punto ancora punge

le membra che si vanno a far più lasse

mentre il sale della fatica l’unge.

Per stare in tema con l’odierna festa,

ci vuole resistenza in cuore e in testa.

 

Per l’occasione si schieraron dodici,

descritti già nella puntata prima

e in tanti libri degli antichi codici.

Però alcuni di lor, con franca stima

dei pochi allenamenti e molto modici,

mai ci fu speme di vederli in cima.

Pure Chiarugi, già squagliato e scarno,

meditava d’andarsene sull’Arno

 

insieme con Bagnol, Boretti e Pagni,

ma una vocina interna lo sormonta:

“Se torni via con loro poi ti lagni

d’imperitura condizione d’onta,

perché menzione scritta ci guadagni

sul giornalin ch’Empolitour racconta.

Più doloroso par questo ludibrio

d’avere in corpo del colera il vibrio.”

 

Fra martirio insicuro ed onta certa,

anima e corpo furono concordi

che un capitan valente non diserta.

Poi per vigente norma dai primordi,

con il ciclista che patisce l’erta

i compagni son ben misericordi.

“E infin se ce la fece un dì Baricci,

vuoi ch’io non superi cotanti impicci?”

 

Così pensava il capitano smusso

mentre scorreva tra profumi e canti

d’auto e di camion un ameno flusso.

Ognun d’esti simpatici passanti

avrebbe volentieri dato un busso

col paraurti a quei ciclisti erranti,

ma Berluscon lassù benedicente

li ammoniva coi punti alla patente.

 

Salvi e compatti fin a Pontassieve,

cominciaron con gioia le catene

a spingere sul circolo più breve.

Chiarugi progettava le sue pene

mentre Boldrini e Zio con passo greve,

feroci e sogghignanti come iene,

non ragionaron della sua carcassa

che in corpo aveva fiumi di melassa.

 

Il capitan si diede solipsista.

“Convien ormai” pensava “abbandonarsi

nel vuoto d’esta condizione trista.

A Tosi, se i disturbi son scomparsi,

mi metto a pedalar da gran ciclista

ed un ad un sorpasso quelli scarsi.”

Sperava a Tosi d’essere risorto.

Il seguito provò che aveva torto.

 

A Tosi eran diversi i suoi pensieri:

“Manca il tratto più duro ma non mollo.

I compagni di me saranno fieri

pur se mi vedono arrivare frollo.

M’accoglieranno tutti con sinceri

applausi, pacche, baci e braccia al collo.”

Sperò di ristorarsi col conforto.

Il seguito provò che aveva torto.

 

“O che caro Boldrin, tu sei venuto

indietro per scortarmi. Però frena!”

No. Sfreccia e passa senza dar saluto.

“Nipote, Zio, che bravi, siete in pena

per me e venite a darmi un santo aiuto!”

Due saluti, però non muta scena.

“Pazienza, verran quei che in cor più porto.”

Il seguito provò che aveva torto.

 

“Bertelli, Giunti, Nucci, Tempestini

e il presidente son nobil persone,

saranno in ansia per i miei intestini.”

Infatti stavan tutti sul portone

dell’abbazia con lazzi e risolini,

fotografandolo come bubbone,

e appena mette esausto il piede al suolo

partono in fretta e lo rilascian solo.

 

“Padre, perdonali ché avevan fame!”

Infatti con la sosta di Reggello,

che sembra la più dolce del reame,

l’umor col clima torna a farsi bello.

Chiarugi cede all’Arno il suo liquame

e favella ridà alla Pinarello.

La fatica che tutti un po’ pareggia

fa pedalar come una lieta greggia.

 

Il capitano ha perso chili e gradi,

però il martirio troppo forte insegna

che risorgi soltanto quando cadi.

E l’armonia che in questo gruppo regna

vuol gesti d’amicizia, però radi,

sennò si brucia subito la legna.

Così a Cerbaia, fatto molto strano,

tutti attesero il ciao del capitano.