Settantaquattresima puntata 05/07/2009
Sempre più in alto per vie incognite fino ad abbeverarsi alle fonti stellate del monte Cimone.
Nel tempo in cui l’Empolitour completa
entrava larga in un’utilitaria
non mancava materia per poeta.
C’era meta più insolita e più varia:
la Croce Arcana, il Giovo o la Faggeta,
strade ignote di porfido e arenaria,
con le bici portate sui tettucci
e in man la recensione di Petrucci.
Passano gli anni, i mesi ed i millenni
e ben prolifera la squadra ed erra
sulle cime più nobili e perenni,
ma poi diventa piccola la terra
e s’esploran così senz’altri cenni
sol Casori, Pizzorne e Monti Serra.
La musa per settantatre puntate
gira e rigira solite frittate;
finché nel cor di Caparrini scocca
d’amarcord una fulgida scintilla
che annunziare gli fa di propria bocca:
“Un’ora del destino adesso squilla
e scalata onorevole ci tocca.
Noi partiremo, nientemen, da Silla
per elevarci dove il ciel s’appone
al gigante appenninico Cimone.
Noi lo scalammo quando ancor in erba
l’Empolitour muoveva i primi passi
e ricordo indelebile ci serba.
La prima volta noi miseri lassi
con la bici e la gamba ancor acerba
dal ventre del gigante fummo cassi:
io e il segretario Nucci castigati
dall’assolato e ripido Ca’ Frati.
Da quell’anno però e per altri sette
il Cimone con pochi pellegrini
un regolar tributo ricevette.
Sempre Chiarugi, Nucci e Caparrini
abbeveraron le lor biciclette
alla nettarea fonte di Bedini
che lungo tutto l’Appennin eccelle
come unica fontana a cinque stelle”.
Quest’appello però su sei entusiasti
soltanto ottenne gli sperati effetti:
Chiarugi e Nucci a rinverdir i fasti,
e la Bertelli che nei tempi detti
lo scalò con amnestici contrasti,
mentre Rinaldi, Effe Bagnol, Cocchetti
son compagine invero poco folta
che al Cimone berrà la prima volta.
Con questa formazion fiera e serena
di pathos c’è ben poco da aspettarsi
anche se la salita mette pena.
A casa son rimasti quelli scarsi
e pure Bagnol Effe ora s’allena,
per non parlar degli ultimi comparsi:
col rubesto ed indomito Rinaldi,
Cocchetti che in salita non fa saldi.
Abbandonata ormai l’idea di botta,
non resta che cantare il paesaggio
con versificazion forbita e dotta.
Già dal docile prologo di Gaggio
si capisce l’assenza d’ogni lotta
sia pure simulata o come assaggio.
Sol una scura nuvolaglia imbrifera
può render l’aria meno soporifera.
Quando la strada lentamente sale
a Fanano la musa non pregusta
che qualcuno perciò si senta male.
Or di pendenza la salita è onusta
ma il difficile è indovinare quale
senza una guida sia la strada giusta.
Di far la botta, è vero, non c’è verso
però qualcuno può finir disperso.
Sul Ca’ Frati, che resta bello duro,
non c’è sole che punge, né tafani,
e in testa c’è Cocchetti onesto e puro
che i suoi compagni vuol uniti e sani,
e li aspetta e li scorta su quel muro,
e rende i sogni d’esplosione vani.
In questo clima fresco e pien d’idilli
pur Caparrin ondeggia senza assilli.
Bagnol Effe, che prova a andare in crisi,
a Pian del Falco vien da tutti atteso
ricomponendo idilli già decisi.
L’alto Cimon di mira adesso è preso,
si perde il sol ma sorgono i sorrisi
e un desiderio in molti è sottinteso:
interrompere ancora la scalata
per bere alla fontan pentastellata.
Il Cimone fu conquistato a rate
e le viscere da quell’acqua diaccia
furon così parecchio rinfrancate.
A guisa di trofeo nella borraccia
la Bedini fu il premio in tre sorsate.
Ora imbevuta per dieci anni giaccia.
Con quel sorso sublime ogni ciclista
brindò sull’aurea cima alla conquista.
“Giungerete alla sbarra militare.”
Sta scritto. E pure questa cima falsa
e l’acque ribevute fresche e chiare,
inducono alle foto in ogni salsa,
come se non bastasse a ricordare
la fatica che lietamente è valsa,
sul Cimone che ogni dieci anni basta
per sete ed ambizion di eletta casta.
Sol un’ottava serva di poscritto
per i destin che furono diversi
fra sei normali ed un che filò dritto.
Gli uni ritornan via per cieli tersi,
incerti fra lasagna o gnocco fritto,
l’altro pedala ancor per molti versi.
Così mentre prevale la lasagna
Chiarugi in altra valle assai si bagna.