Settantatreesima puntata 07/06/2009
Dove si narra di grazie, tormenti e tormente.
Era mattina calda e nuvolosa
e parecchi ciclisti non presaghi
occupavan Via Baccio in bella posa:
i reduci dal Giro, sette e paghi,
e una folta pattuglia e rumorosa
di redivivi, ignoti, noti e vaghi,
pronti a spender le brame ancor non sazie
sull’augural salita delle Grazie.
In effetti in salita c’era urgenza
di grazia per almeno tre di loro
che ritornavan dopo lunga assenza:
Maltinti, della botta palma d’oro,
Lisi molto allenato alla carenza
e Pelagotti pingue con decoro.
Era un presagio dolce e lusinghiero,
tutti s’offriron per il giro intero.
Giro che somigliava in fin dei conti
ad un vile e temuto anda-e-rianda
con due Pistoie e ben due San Baronti,
ma nel ploton tirato a tutta randa
dai pensionati in testa senza sconti
aleggiava silente una domanda:
“Si piglia l’acqua?” Domandavan tutti.
“Si piglia l’acqua o si rimane asciutti?”
Pensieri nuvolosi e peregrini
salivan lenti lungo la frescura
mentre contava i fanti Caparrini.
“Uno s’è perso già per foratura.”
Diceva ancor ignaro dei destini
che in agguato vegliavan la pianura.
Per imperizia invece oppur per fretta
c’è chi forò e cambiò la bicicletta.
Lisi al mattino infatti a un tal difetto
avvicendò la bici col cancello
e pedalava senza alcun sospetto,
mentre Maltinti tra il burlesco e il fello
di ciò chiedeva un letterario effetto
rivolgendo alla musa un tal appello:
“A lui che fora ed il fascion non cava
sia dedicata una solenne ottava.”
Ma un altro foro, ahimè, cangiò l’umore:
galeotto fu il vetro e chi lo colse.
Colse Rinaldi primo frenatore
e un infiltrato che la via distolse
a Lisi che non percepì l’errore
e a Maltinti che tosto lo travolse.
Ed ambedue su quelle dure strade
caddero come corpo morto cade.
Fu il fato a scongiurare l’ammucchiata
che senza svolgimento d’altre trame
avrebbe posto fine alla puntata.
Invece dopo un frettoloso esame
dell’ossa e della bici sinistrata,
Lisi mesto rinuncia alle sue brame
e pur Maltinti che bofonchia e sbotta
per questa forma insolita di botta.
Caparrin conta i fanti e si dà pace.
“Ne mancano già tre ma si prosegua
verso quest’erta incognita e tenace.
La nera nube c’è ma si dilegua,”
sostiene fiducioso e pertinace
“e sulle Grazie il ciel ci darà tregua.”
Arrivati nemmeno a Saturnana
cadde smentita rapida e piovana.
Prima che l’acqua inizi a dare noia,
i pavidi Cocchetti, Zio e Mirmina
si ferman sotto piccola tettoia.
“Altri tre persi!” Caparrin opina
meditando però una scorciatoia
che l’onor salvi senza mantellina.
“Son Grazie” dice “però portan male.
Già l’anno scorso ci spaccai il pedale.”
Ma il temporale che sembrava ostile
dopo poco lasciò la strada tersa
e la fortuna volle cangiar stile,
perché la terna che sembrò dispersa
Caparrin richiamò tosto all’ovile
e l’ebbe vinta sulla sorte avversa.
“Or esce il sole e poi ci si sollazza”
disse “al declive e angusto bar di Piazza.
Godiamoci perciò la sosta Pagni,
pagammo al cielo già ricco tributo
ed è improbabil che ci si ribagni.”
Questo disse poi ripartì pasciuto,
e in fila per Pistoia coi compagni
ripercorse un evento già vissuto:
la pioggia venne giù come da fonte
costringendo al riparo sotto un ponte.
“La mantellina” disse infradiciato
“chi l’ha portata è l’ora che la indossi.”
Ripartirono via tutti d’un fiato
e l’acqua tracimava anche dai fossi,
quando fu visto sotto un porticato
un omin che cuoceva carne ed ossi.
Fu visto ed occupato in un baleno,
tutti nel fumo ad aspettar sereno.
Bastò comunque un diradar di gocce
che i ciclisti tornaron tosto in sella
lavati come usciti dalle docce.
“L’acqua sui nostri corpi si debella.”
Disse qualcuno e tanto furon rocce
che ne presero un’altra catinella.
Con questi lava-asciuga ininterrotti
la botta non s’udì di Pelagotti.
Il tepore di giugno sul finale
a qualcuno asciugò financo i panni,
ma si narra che un altro temporale
assai più denso e gravido d’affanni
abbia colpito lo scrittor sociale
mentre tornava ai casalinghi scanni.
Così è la bici, di vita maestra,
chi non si vuol bagnar vada in palestra.