Sessantasettesima puntata 23/11/2008

Torna l'uniforme invernale anche se non uniforme.

 

La vita dei ciclisti è molto grama

allor che senton sotto le coperte

la voce del dovere che li chiama.

Le strade sono gelide e deserte

e vana è la speranza d’aver fama,

perché l’impresa più difficil verte

sull’uscita dal riscaldato alloggio

per affrontar il San Donato in Poggio.

 

Ma se per loro è duro il dì di festa,

considerate quante sian le pene

di chi deve narrar le loro gesta.

Appellarsi alla musa non conviene

perché da tempo giace zitta e mesta

aspettando la botta che non viene,

e gli invernali giri inverecondi

d’ispirazione sono poco fecondi.

 

Oggi, per dir, il tema originale,

che incede dagli armadi in naftalina,

è l’uniforme fulgida invernale,

quel bel tabarro intrepido alla brina

che grasso o magro rende il corpo uguale

e con guanti e calosce ben s’abbina.

Caparrini ch’è in molta carne ed ossa

su sua fiera pinguedine lo indossa.

 

Lo indossa anche Chiarugi su tre strati

d’incognite e lanose sottovesti,

ma non è il primo degli intabarrati.

Arrivano due Borchi ben congesti

con Pucci intunicato come i frati,

Nucci minuto e i due baldi e rubesti

Barbieri ormai sociale e il gran Rinaldi

che nei pastrani Empolitour son caldi.

 

Boldrin con la sociale calzamaglia

ha le cosce più turgide davvero,

e Tempestini, che il colore sbaglia,

come Maltinti ha un triste grigio e nero,

mentre tra tutti i pavidi si staglia

sol uno molto piccolo e leggero:

egli è il trinacrio giovine Mirmina

che si presenta con maglietta fina.

 

Rimembra ancora il fasto anniversario

di quasi un lustro fa, quando agli esordi

visse indimenticabile calvario.

Lasciò sul San Donato bei ricordi

ormai finiti nell’immaginario

di un’esplosion che rese quasi sordi.

Ha appreso intanto molta bicicletta

il trinacrio che medita vendetta.

 

“Gli avversari son questi.” Pensa piano.

Per tacer d’un Martini neghittoso

e di Lisi aggregato a San Casciano.

Li conta e li controlla sospettoso.

“Peccato ch’oggi manchi Muritano.

Pur lui” ripensa “a San Donato esploso.

Sarebbe stato un valido alleato”.

Pensa Mirmina e medita l’agguato.

 

Fa sfogare Chiarugi a Villanova,

fuggito a tutta dietro un’Ape Piaggio,

e Borchi scalpitante a Chiesanuova,

ma sa che tutto questo è un mero assaggio

e che la vera decisiva prova

esalterà il sopito suo coraggio.

A Sambuca si muove con sussulto

Mirmina che non vuol restar inulto.

 

Ma Boldrini che sente odor di prede

e pur si sente in credito di sorte,

con possanza di cosce lo precede

e i pedali mazzuola duro e forte,

sì che Mirmina poco dopo cede

insieme a Borchi con le gambe corte.

Sol Chiarugi non vuol dargliela franca

ché di staccar Boldrini mai si stanca.

 

Lo stacca con sudor e molto affanno

di pochi sporchi metri ma lo stacca,

incutendo a sua boria il giusto danno.

L’orgoglio di Mirmina non s’ammacca

quando quel duo gli sfugge senza inganno

perché si volta e vede vuoto e fiacca.

Annoverato tra i ciclisti spinti

or chi lo spinse annovera tra i vinti.

 

“E i ciclisti da botta dove sono?”

Si chiederà il lettor di questi versi

sperando in qualche inaspettato dono.

Pucci e Maltinti sembrano diversi

e arrivan senza disperar perdono,

anche se nella lena son immersi.

Stupisce Tempestini grigio topo

ch’ultimo arriva ma parecchio dopo.

 

Tempestin che fa botta è gran notizia,

da trasmettere senza indugio all’ANSA

come molto gradevole primizia.

Ma pria che tanta voce si sia espansa,

egli ansimante in mezzo alla milizia

l’equivoco (lui dice) presto scansa:

“Compagni, non è stata un’esplosione

ma il frutto di durevole minzione!”

 

Un dubbio a molti resta, ma s’accetta

la scusa che l’onore gli preserva,

perché poi si riparte in bicicletta

e il ritorno alle case non riserva

una pianura dolce e benedetta

ma d’infidi strappacci una caterva.

Perciò chi è in crisi prima di Marcialla

si sa che a Montespertoli sfarfalla.

 

Tempestin che le lonze rifocilla,

non appena rimonta sulla sella

invero schizza come una scintilla

e il gruppo in pochi metri si smantella.

Caparrini che come faro brilla

e Chiarugi sgradita sentinella,

quand’ormai la pattuglia s’è disciolta

i pochi lenti chiamano a raccolta.

 

Così l’allegra formazion ridotta,

con ondeggiante passo ma giocondo

Lucardo valicò senza far botta.

Pucci, Maltinti e pur Borchi secondo

ingaggiaron con Lisi strenua lotta

per non andar allegramente a fondo.

Ma se d’allenamento ognun abusa

il fondo toccherà la nostra musa.