Cinquantaseiesima puntata 07/10/2007
Dove si spera in soluzioni sovrannaturali per liberarsi dell’invitto Boldrini.
“O musa, tu che di caduchi allori
non circondi la fronte in Elicona,
infondi la virtù nei nostri cuori.
Mentre deiforme e savia stai in poltrona,
a noi spettan chilometri e dolori
con Boldrin che troneggia e che bastona.
Il Chianti con la sua presenza greve
non è il classico vino che si beve,
ma un amaro licore che ci purga
e di pigliar batoste ci fa degni
dietro sua chiorba indomita e demiurga.
Non abbiam più speranze né disegni,
perciò la tua potenza alquanto surga
e ci protegga dai suoi duri legni.
Per te par poca cosa quel che impetro:
in salita staccarlo almen d’un metro.”
Chi questo invochi è cosa poco chiara;
non Caparrin, nemmeno il drudo Lisi,
né la Bertelli, tutti fuori gara;
non Tempestini o Traversar decisi
con A Bagnoli ad evitar la tara
scorciando il lungo giro senza crisi.
Sicché svanisce prima della lotta
la perpetua speranza d’una botta.
Forse è Chiarugi che la musa invoca,
o forse Nucci che sobilla e arranca,
o Zio che sotto i baffi ride e gioca,
oppur Salani cui una cassapanca
sotto la sella gli dà noia poca,
o Marconcin che in corsa gli si affianca:
in tutti quanti rode come un tarlo
l’onirica ambizione di staccarlo.
Beato è Caparrini che non rischia,
con Lisi sempre a chiudere le file.
Beato è chi con lor langue e cincischia,
come Bertel con un Bertel maschile
che a San Cascian s’immette nella mischia
e poi ritorna subito all’ovile.
Beati sian con Borchi i riducenti
che dall’agone svicolan contenti.
Greve è lo sguardo, Greve è il fiume e il sito
ove s’aspettan a Boldrin gli attacchi
di qualcheduno veramente ardito,
ma già in pianura sembran così fiacchi
che a lui basta tirare più spedito
per formar chilometrici distacchi.
“Che fugga pure,” dicon rassegnati
“almen solo una volta siam staccati.”
Boldrin invece burla, ruzza e irride,
finge di cambiar strada e poi ritorna,
nitrisce come un ciuco, gracchia e stride.
La sua chiorba d’alloro è troppo adorna,
ormai lo chiameran Boldrin Pelide
se qualcun bene bene non lo scorna.
E sfreccia giust’appunto mentre raglia
uno smilzo ciclista in calzamaglia.
“Ora lo insegue e più non lo si vede.”
Sperano tutti. Ma Boldrin lo scruta
ed impassibile non muove piede.
“Sul colle di Panzano ci saluta.”
Sperano tutti. Ma Boldrin non cede
e latra come lupo entro la muta.
Allor parte Salani e il suo baule
con la caparbia forza delle mule.
Ma è sempre lì Boldrini e non si piega,
mentre si piegan Zio, Nucci e Chiarugi
agitando il manubrio come sega.
Boldrini in mezzo a loro par che indugi
per non lasciar cotal gaia congrega
ansante come branco di segugi
che, quale rimarchevole dettaglio,
in tromba risorpassa Calzamaglio,
il quale nell’orgoglio sembra punto
e non nasconde un fremito di stizza
quando da quei bubboni vien raggiunto.
Così le braci di Boldrin attizza,
e quello intabarrato e quel bisunto
trasformano Panzano nella lizza
giocandosi uno sprint appassionato
in mezzo alle comari del mercato.
“Ora fuggono insieme.” Speran tutti.
Ma Boldrin torna indietro sudaticcio
emettendo catarri, sputi e rutti.
Promette allor che toglierà l’impicco
a Castellina, dove gli altri asciutti
mangeranno ogni sorta di pasticcio.
Quer pasticciaccio brutto, disse Gadda,
fu sopportarlo ancora fino a Radda.
Poi con Zio vola a Castellina in Chianti.
“Convoleranno finalmente insieme.”
Continuano a sperare tutti quanti.
Ma svanisce repente tanta speme
perché li trovan fermi e titubanti
al Bar Italia dove il pasto freme.
“Aspettateci.” Caparrin li invita.
“Pochi minuti ancora ed è finita.”
Sotto sotto sperò che rifiutasse,
ma Boldrini fedel gli diede retta
sbuffando poi mezz’ora con gran classe.
“Or fugge con i razzi in bicicletta.”
Speraron tutti. Ma lui si distrasse
e scese a Poggibonsi senza fretta,
sempre sbuffando perché intanto il gruppo
tardava nel rotabile inviluppo.
Ma quando ogni speranza parve morta,
Caparrin guidò il gruppo ad Ulignano
e lui s’ammutinò per via più corta.
Sospirarono: “È fatta, ormai è lontano,
ritorneremo senza la sua scorta
pedalando compatti piano piano.”
Rilassati eran già quand’ecco un urlo:
“O bischeri, son io ch’oggi vi burlo!
Speravate che vi lasciassi in pace?
E invece no, patite fino in fondo.”
L’inatteso Boldrin disse salace
e si mise a tirare furibondo
col suo passo spietato e pertinace,
scompigliando il ploton non più giocondo.
E nei cuori rimase poco infusa
l’alta virtù dell’invocata musa.