Cinquantatreesima puntata 01/05/2007
Dove si narra il ritorno dopo tante puntate di una nobile salita e di un nobile ciclista.
Caparrin gli anni dispari di maggio
sottopone il suo fido comitato
a una crudele prova di coraggio.
È nota come ordalia del Fossato,
salita d’alto e nobile lignaggio
invisa a tutto il popolo di Prato,
che si divide in chi non l’ha mai vista
e chi l’ha vista e finge non esista.
L’Empolitour è l’unico esemplare
di ciclista che possono i nativi
trovare su quell’erta a pedalare,
e si compiaccion di vedere vivi
quei buffi atleti intenti a pencolare
ma nonostante tutto recidivi.
E Caparrin annota come a scuola
sul registro di classe chi s’immola:
“Chiarugi, che alla prova mai non manca,
Nucci, che vien con brame bellicose,
Bertelli, in calzon neri e veste bianca,
Salani, che la prima volta esplose,
Traversar, che non trema quando arranca,
Giunti, con braccia intrepide e villose,
Tempesta, che sui muri è come i ragni,
e infin mi sembra di vedere il Pagni!
È proprio lui, guardate è ricomparso!
Me l’aveva predetto anche l’oracolo
che sarebbe tornato, pur se scarso.
Già questo è un primo inedito miracolo,
più che riconvertir Paolo di Tarso,
l’altro si compirà sul tabernacolo
che sorge sulla vetta di Gavigno
dopo un sentiero perfido e maligno.”
Ostenta Pagni insolita eleganza:
ha il casco bianco e bianche le scarpette
come se andasse a una lezion di danza;
ha la più lustra delle biciclette
perché d’uso e consumo disavanza,
però l’intera ordalia egli promette,
non come due Bagnoli e un Pelagotti
partenti per chilometri ridotti.
“Io son Arconte delle Soste e puro.”
Dice Pagni “Ed increduli non siate
perché d’allenamenti non mi curo.
Dinanzi a me non fuor soste create,
ed io come le soste etterno duro,
più delle vostre futili puntate.”
E partì in vestimento nuovo e vario
con la maglia stampata all’incontrario.
Curioso è quel suo marchio sulla schiena,
sì che molt’auto sul Bisenzio in coda
lo segnalan con clacson o sirena,
e c’è pure chi appresso al gruppo inchioda
e la mano dal finestrin dimena
per mostrare ai ciclisti quanto goda
a cominciar la gita fuori porta
facendo a venti all’ora la lor scorta.
Ma questo clima di saluti e festa
a Vernio lascia il posto ad altra storia,
e Salan, Traversar, Nucci e Tempesta,
prima della salita che martoria,
fermi sul ciglio chinano la testa
per l’ultima minzion propiziatoria.
E mentre in tal preghiera sono intenti
Chiarugi attacca senza complimenti.
L’attacco è congeniato a bella posta,
ma il contrappasso come strale scocca
e lo costringe a una forzata sosta
per colpa d’una ruota che gli schiocca.
E solo ai piedi di quell’erta tosta
il meccanismo critico si sblocca.
Vanificato il proditorio scatto,
il gruppo torna placido e compatto.
Ora incomincian le dolenti rampe
e quel tristo sudor che già più volte
ha dato lustro alle pubbliche stampe.
Le membra sul manubrio son raccolte
e mani e piedi sembran quattro zampe
in un ben lento rampicar coinvolte.
Nucci è il men lento, come spesso avviene
quando Boldrin lo grazia delle pene,
seguon Salan, Chiarugi, Tempestini,
Traversari e Bertelli, non compunti,
e quando aspetteresti Caparrini
arrivano acclamati Pagni e Giunti
come una coppia di fidanzatini,
caracollanti per le man congiunti.
E il presidente è dunque il fin di corsa
come accadeva in era ormai trascorsa.
Inariditi poco e men percossi,
sul tabernacol scopron con sorpresa
che ci sono ciclisti eterodossi,
saliti dalla parte men scoscesa
e nonostante ciò piuttosto scossi.
La disputa pertanto si fa accesa
fra chi vien da ponente e da levante
se sia più duro questo o quel versante.
Di tal questione Pagni fa una stima
quando con mano in testa si rammenta
d’aver dimenticato il casco in cima.
Così in salita gli si ripresenta
la parecchia discesa fatta prima,
e da più scarso ch’era, allor diventa
quello che adesso più di tutti trotta
tanto da far temer futura botta.
“La botta a me giammai!” Dice l’arconte
recuperando in vetta il bianco casco
e tenendo d’orgoglio alta la fronte.
“Dalle mie soste eponime rinasco,
ove non vige l’acqua della fonte
ma il pabulo regal di cui mi pasco.”
E quella era l’immagine al postutto
di due fette di pane col prosciutto.
Ma da Fossato a sosta d’Acquerino
per conquistare il pabulo bisogna
usar parecchio ancora il rapportino,
e Pagni (e non sol lui) frattanto sogna
l’omino del croccante e il brigidino
ed il suo pane rinsecchito agogna.
E agogna mentre litiga coi cambi
un cervo che attraversa con sei Bambi.
Qui ci vorrebbe un bel colpo di scena,
che quest’omino del bramato pane
vendesse brigidini a mala pena.
Sarebbe udito allor un urlo immane
che durerebbe almeno fino a cena
svegliando tutti i cervi dalle tane.
Ma il fato per pietà ci mise il veto
e concesse agli Erranti un fine lieto.
L’ambito pan raffermo lor concesse,
con le suine fette e le lattine,
acciò che Pagni a lungo resistesse.
E giù poi come sazie ballerine
scesero a valle rapide e indefesse
per la danza del lieto e lungo fine,
lasciando la più dura delle prove
già nell’agenda del duemilanove.