Cinquantesima puntata 11/02/2007

Ogni mezzo per staccare Boldrini è lecito. Ma vano.

 

Quando lo vedon presentarsi in sede

col naso tinto di biancastra crema,

nessuno al pacifismo ormai più crede.

Del predator vuol essere l’emblema

e già vuol far sapere alle sue prede

quale sarà della puntata il tema.

Come un Sioux s’è pitturato il naso

per sembrar più feroce, non a caso.

 

Su Boldrin v’è parere differente:

c’è chi deve staccarlo per contratto,

chi non vuole staccarlo però mente,

chi per staccarlo il corpo s’è disfatto,

chi di staccarlo più non se la sente

ma godrebbe ad assistere a tal atto.

Rode il cuor di ciascuno come un tarlo

il desiderio inane di staccarlo.

 

Se la mettiam sul piano delle cosce

allor, pur senza la nasal bianchezza,

supremo arbitrio gli si riconosce.

Resta transgenico, però s’apprezza

l’aura di certe sue giornate mosce

quando lascia filtrare debolezza.

Oggi però pedala e non s’abbacchia

anche se qua tossicchia e là scaracchia.

 

“Dove non può la coscia, può la testa.”

Pensan Chiarugi e Nucci, i due probandi.

Pensan pur la Bertel, Martin, Tempesta,

Traversar, Bagnolino, Giunti e Landi.

“Ci vuole una pensata disonesta

se vogliam ribellarci ai suoi comandi.”

Caparrin non si schiera e s’erge in coda

ma pare che di tal pensata goda.

 

Quando Boldrin vorrebbe sul Mannello

di Montaion, organizzar le mosse,

Chiarugi prova un medical appello:

“O Boldrini, risparmia le tue posse!

Il petto tuo par di catarro ostello,

se scatti adesso ti verrà la tosse.

Se scalerai veloce il Montaione

t’ammalerai di gola e di polmone.”

 

Boldrin ch’è un duro ma ai dottor dà retta,

crede alla cura pur se non gli piace

e rallenta il furor di bicicletta,

mentre il suo curator fello e mendace

lo bada e fra i più lenti lo precetta,

e chi può lo sorpassa senza pace.

Boldrini freme un po’ ma non discute

chi col dolo difende sua salute.

 

“Boldrini non scattar sul San Vivaldo!”

Lo ammonisce Chiarugi. “L’aria è fresca

e la discesa nuoce se sei caldo.”

Sembra impossibile che ci riesca

a convincerlo ancora quel ribaldo,

eppur prosegue la curiosa tresca

che trattiene Boldrini dagli attacchi

con la scusa d’infermità e di acciacchi.

 

Molti si schieran dunque al capezzale

di Boldrin che sostiene con gran fiato

di non sentirsi così tanto male.

Solo Giunti, ch’è stato pria staccato,

escogita l’attacco congeniale

finchè Boldrin si crede un po’ malato.

S’aggiusta al collo frivola pezzola

e a Villamagna con ardor s’invola.

 

Ora Boldrin vuol conquistar la scena,

e come a culo ignudo sull’ortica,

sul fremente sellino si dimena.

Vuole scattar in men che non si dica,

sol un piccol dettaglio ancor lo frena

e riguarda l’onusta sua vescica.

Qualcun sperando di passarla liscia

allor l’attacca proprio mentre piscia.

 

Chiarugi mostra qui il suo vero volto

e Nucci allor conviene che lo segua

mentre Boldrin con man in fallo è colto.

Quel fatale sifon rompe la tregua.

E col sudore nel foulard raccolto

Giunti verso Castagno si dilegua:

staccherebbe Boldrin, Nucci e Chiarugi

se non languisse in lancinanti indugi.

 

“Che ci faccio quassù? Chi mi ci ha messo?

Perché nessuno mi sorpassa in tromba?”

Giunti solingo interroga se stesso

e non sente da lungi quanto romba

il petto di Boldrini fatto fesso

che su Nucci e Chiarugi tosto piomba.

Giunti invece d’osare e pedalare

si ferma e chiede aiuto al cellulare.

 

Chiarugi intanto pensa a estreme trame

con Boldrini, fingendo indifferenza.

“Hai fatto dell’urina attento esame?

Gli chiede. “Ancor tu sei in convalescenza.

Forse era giallo scuro o color rame?

S’è così devi andar con più prudenza.”

Lo vorrebbe in tal topica distrarre

per trattenerlo calmo fino al barre.

 

E lì per lì Boldrini temporeggia,

ed affianca quei due pensoso e zitto

per capir quanto ancor lo si meleggia.

Poi con guizzo di coscia fila dritto,

mirando Giunti che sbuffa ed ondeggia,

senza dirci il colore del suo mitto.

Di Giunti è scritto ormai crudel destino

per la premura d’un telefonino.

 

Martin, Tempesta e Landi è un trio giulivo

che si sveglia però troppo in ritardo.

Sol Nucci vuol restar fino all’arrivo

con chi nemmen lo degna d’uno sguardo.

Più morto sta dietro Boldrin che vivo,

ma vive nel pensiero del traguardo

dove una ridondante pasta sfoglia

potrà lenire l’affannosa doglia.

 

Di doloroso affanno il cor s’affolla,

ma con la mente già nel barre stesa,

Nucci la ruota di Boldrin non molla.

L’acido nelle gambe ormai fa presa

e lo sguardo al manubrio ognor incolla,

poi l’alza al fin della feral sorpresa.

Senza forza nemmen d’esser deluso

s’accascia al suol davanti al barre chiuso.