Quinta puntata 07/03/2004

Perdurando la carenza di ciclismo locale, Caparrini evoca le imprese dell’emigrante Baricci

 

Sappiano i due lettor che non è chiusa

l’opera nostra per vacanza o ferie,

né per un giusto sciopero di Musa.

È che per tre domeniche di serie

l’Empolitour s’è sciolta, con la scusa

di grosse e inconciliabili intemperie:

raro è il ciclista che con neve o pioggia

il cul asciutto sulla sella poggia.

 

Caparrin, che voleva dar inizio

all’epopea della salita lunga,

dell’inazion subiva gran supplizio,

dicendo a sé: “Convien che il sole giunga,

ché per sanar d’allenamento il vizio

di feste ci vorrebbe una prolunga,

e ci son quei, come Bagnol e Pagni,

nelle cui bici già dimoran ragni;

 

Boretti la preserva dalle tarme

con naftalina, e l’altre stanno pronte

al richiamo dei cavalier senz’arme,

ma sul partir per Casore del Monte

la piova recita festivo carme,

e son tre settiman che si fa il ponte.

Di questo passo al Giro il Mortirolo

lo scalerà Baricci da sé solo.”

 

Disse un lettor: “Maestro, allora dicci,

visto che anch’oggi niente bicicletta,

chi l’è cotal intrepido Baricci.”

E Caparrin: “Dirolti molto in fretta,

poi vo a scalar il muro di Scandicci.

(È cosa falsa ma oramai l’ho detta,

così ci ho messo in icci un’altra rima

e quest’ottava l’ho finita prima).

 

O Baricci, figliolo di Maremma,

o secondo lettor di queste ottave,

tu che ostentasti il nostro sacro stemma

pria di migrare verso terre prave!

Noi tutti rimembriamo la tua flemma

sulle salite, o le tue lunghe bave,

o quei sudor copiosi e cirenei

pedalando col fido ventisei.

 

Ricordi, della storia il primo fosti

ad usar sui Falcian cotanti denti.

E noi eravamo lieti e ben disposti

ad attenderti in vetta, e ben contenti

quando giungevi a passi ben composti,

passi comunque nemmen tanto lenti,

se penso che sul Campo Imperatore

t’aspettammo per meno di due ore.

 

Pensa Baricci quanto il mondo è basso:

potrai pur tu narrar ai tuoi nipoti

di quando andasti in bici sul Gran Sasso,

senza goder dell’auto come il Goti,

impresa degna d’un eroe del Tasso

a giudicar le atletiche tue doti;

potrai narrar al fuoco d’esti esempi

ch’erano forse i classici bei tempi.

 

Ma un brutto giorno, o di Maremma figlio,

ci annunciasti, di lacrime pur vago,

la decisione del tuo tristo esiglio.

Sulla valigia tua non c’era spago.

La bici trasportasti ed il giaciglio

nei paesi che riman ate od ago,

laddove col coltello taglian nebbia

e il freddo quando viene miete e trebbia.

 

Così provasti come sa di sale

lo pane altrui, e come è duro calle

lo scender e ‘l salir per l’altrui scale.

(Se copio Dante non dite: che palle!)

Così provasti come si sta male

a scender dai monti a fondovalle:

gli impegni troppi che dovevi assolvere

coprirono la bici tua di polvere.”

 

Evocato da versi sì colendi,

Baricci a Caparrin volle far motto:

“Maestro, che pel cul un po’ mi prendi,

sappi che il tempo qui nel Varesotto

non passo al caminetto a bere brandy,

ma di pedali son tuttora ghiotto.

Non m’abbuffo, vabbé quest’è palese,

meno, diciamo, d’una volta al mese.

 

Ma mentre annegavate nell’accidia,

io col mio passo, dici, tardo e lento

salita conquistai da farti invidia:

Campo dei Fior, metri milledugento,

con vento, pioggia e neve come insidia,

dieci chilometri all’otto percento.

Beccati questo e tu mettilo in conto

che con due sprizzi cassi il San Baronto!

 

Ci rivedremo tra tre mesi al Giro,

lo giuro sull’onor delle mie folte

gote, e lo firmo adesso a piena biro.

Frattanto le occasion saranno molte

d’allenamento, seriamente miro

ad allenarmi ancora ben tre volte:

il Mortirol, son l’ultime parole,

lo giuro, scalerò con moglie e prole.”