Quarantasettesima puntata 10/12/2006
Il nuovo che avanza. Borchi e Caparrini (110 anni) insidiano il giovine e transgenico Boldrini.
La bocca sollevò da fiera pasta
quel Caparrin forbendola alla crema
che sulle nude dita era rimasta.
Con un incipit tale c’è chi trema,
ma è la maniera più erudita e fasta
per introdurre l’avvincente tema.
Perché, par chiaro senza un indovino,
che questo è il canto del Poggio Ugolino.
Ma ripartiam con ordine dal via
dove c’è il presidente sul cancello
che accoglie dei ciclisti la teoria.
“È scritto: il tempo sta volgendo al bello.”
Professa Caparrin come omelia
mentre passa un omino coll’ombrello,
e dopo questa frase professata
passa pure una fitta grandinata.
In breve una festosa comitiva
s’affastellò sotto un precario tetto
con l’aria mesta di chi non partiva.
Ma Caparrin tuonò: “Non sia mai detto!
La grandine non ci sarà nociva,
e per pararla basterà un berretto.”
Per ultima frattanto la Bertelli
giunse con vari chicchi tra i capelli.
Partono con la pioggia nelle ruote
tanti così di numero e di foggia
che la memoria nominar non puote.
Il presidente gran fiducia sfoggia
perché indossando il cappellino in dote
può in ogni dove far cessar la pioggia.
Ma Bagnol A che vede il cielo cupo
ritorna a casa pria di Montelupo.
Sembrerebbe, e non è la prima volta,
di perder un ciclista ad ogni bivio.
Invece no, la truppa è ancora molta
ed altri due s’aggregan nell’abbrivio.
Tanto che Caparrin quando si volta
sulla Vinicola, ch’è il primo acclivio,
vede che un’onda umana lo sormonta
e non prova nemmen a far la conta.
Boldrin dalla loquela par distratto,
perché di norma dopo il primo spruzzo
arriccia il pelo e soffia come un gatto.
Indugia a concionar di buono buzzo
finché Chiarugi con un brusco scatto
in Val di Pesa lo richiama al ruzzo.
Il sole occhieggia fra la nuvolaglia
e l’acqua sulla strada adesso abbaglia.
Chiarugi cerca di scaldare gli arti
che coi guanti di Vifra e le calosce
ghiacciano prima delle nude parti.
Boldrin transgenico che non conosce
il freddo e avanti a sé non vuole scarti,
sul Chiesanuova fa brillar le cosce.
In mezzo ai due s’insinua Remo Borchi,
minuto come Pollicin tra gli orchi.
Boldrin nemmen lo degna di mezz’occhio,
pronto a trattarlo con un colpo d’ugna,
come si gratta via pulce o pidocchio.
Ma Borchi si trasforma nella pugna
in principe con balzo da ranocchio
e il trono di Boldrini tosto espugna.
Boldrin, si narra, che per poco svenne
quando lo sorpassò quel sessantenne.
Si dirà ch’era solo un Chiesanuova,
ma sul Poggio Ugolin, ch’è il piatto forte,
la singolar tenzone si rinnova.
Boldrin attacca, che poco è più morte,
ma alla sua ruota ancora si ritrova
il sessantenne con le gambe corte.
Disse come Ugolino dei ciclisti:
“Ahi dura terra, perché non t’apristi?”
E chi insegue i due strani capibanda?
Non Tempestin, che vigila giocondo.
Non Nucci, che pedala con la branda.
Non gli Integra che fanno le Granfondo.
Incredibil risposta alla domanda
è Caparrini col suo enorme pondo.
E tutti i magri si sentiron vili
sbuffando dietro a qui novanta chili.
Si dirà ch’era solo un Ugolino,
ma siccome anche dopo sui Falciani
ai magri spetterà stesso destino,
lo ascriveremo tra gli eventi strani,
come per acqua che diventa vino,
o moltiplicazion di pesci e pani,
o, qual rivoluzione di costumi,
bagnar coi soli e rasciugar coi fiumi.
Caparrini schernito si schermisce,
e Borchi si dilegua senza soste.
E fra gli atleti smilzi come bisce
serpeggiano questioni contrapposte.
Per esempio la gente non capisce
se sia più grave prendere batoste
da chi pedala con i crin d’argento
o chi coi chili che son quasi cento.
Già primeggia un ciclista artificiale
o il pensionato Zio con le stampelle,
ma loro in due non sfiorano il quintale.
Caparrini che fu ciclista imbelle,
ora su una salita che non sale
ha indossato la sua seconda pelle,
e poi quando l’arsura farà morsa
ritornerà l’amato fin di corsa?
Il Giro, che ha già scritto nella mente,
col suo maggio odoroso s’avvicina
e pure Borchi è dato per presente.
Se la premessa è questa, allor s’opina
che accoglierà molta perduta gente
il torpedon che arriverà a Cortina.
E pur se non lo scriveremo in rime,
più che Ugolin potranno le Tre Cime.