Quarantacinquesima puntata 15/10/2006

Meglio di Calandrino. L'impareggiabile Boldrini rende lieta anche stavolta la novella.

 

Un animal dalla pelliccia folta,

se viene raggirato e si fa male

sta più guardingo una seconda volta.

E l’uomo, ch’è animale razionale,

se l’esperienza dell’azion ascolta

di memoria più logica s’avvale.

Insomma, un uomo se lo piglia in tasca

una seconda volta non ci casca.

 

Anche se la ragion può aver lacune,

dopo la beffa della via sterrata,

Boldrin dovremmo ritenerlo immune

ed aspettare dunque una puntata

ove le strade rimarran digiune

della sua ingenuità già decantata,

e sarebbe ai rivali un gran successo

staccarlo in bici senza farlo fesso.

 

Perché Boldrin s’allena e non lo nega:

il sabato mattina va sul Serra

e poscia a Caparrin fresco s’aggrega.

Chi vuole quindi dichiarargli guerra,

se qualche santo valido non prega

è destinato a mangiar molta terra.

Terra si fa per dir, perché l’assalto

dovrà avvenir purtroppo sull’asfalto.

 

Chiarugi e Nucci, ormai famosi bari,

con la Bertelli, Tempestini, Giunti,

Caparrin, tre Bagnoli e Traversari

avevano in partenza i cor compunti

ad udire Boldrin che sugli altari

verbigerava senza fare sunti,

con quelle note deliziose e gaie

che spaventavan tutti i can nell’aie.

 

Era talmente sapido e loquace

che appena l’erta di Palaia monta,

i più si senton finalmente in pace

perché si posson defilar senz’onta,

mentre il solo Chiarugi, ch’è capace

di stargli accanto, una gran lena sconta

e Nucci per unir danno con beffe

segue con Traversari e Bagnol Effe.

 

E qui peggioran le dolenti note,

perché Boldrin vedendo il segretario

Nucci arrivare con ansanti gote,

inizia un assillante campionario

di frasi che l’orecchie assai percuote

e non sol quelle del destinatario.

“Oh Nucci,” vocia “vieni, fatti sotto!

O ci hai bisogno del centodiciotto?”

 

E via sfottendo. “Oh Nucci, vuoi una corda,

così ti traino coi miei viril arti

prima che la salita ti rimorda.

Usala oppur se vuoi per impiccarti

quando vedrai la mia potenza sorda

che ti farà venir asme ed infarti.

Oh Nucci, oh che tu fai? Ti batti l’anca?

O speri anch’oggi in una strada bianca?”

 

Queste parole di colore mite

ed altre che si taccion per decenza

furon da Nucci e gli altri tre subite,

e per loro quell’orrida eloquenza,

data ormai per scontata la gastrite,

metteva a rischio la sopravvivenza.

Anche stavolta per trovare scampo

di genio ci voleva un brusco lampo.

 

Ecco a Chiarugi allor s’accese un lume,

e portatosi in testa zitto zitto

con Traversari ed il Bagnol implume,

tentò di nuovo un colpo di tragitto,

quando ormai la speranza era un barlume

invece di svoltare tirò dritto.

Verso il villaggio ignoto di Ghizzano

un disperato scherzo di villano.

 

“Non è possibil che ci caschi ancora.”

Pensa Chiarugi col fiato sospeso

mentre Boldrin di dietro s’accalora.

Così restando nel vociar acceso

nessun dubbio geografico lo sfiora,

e non riman perciò nemmen sorpreso

quando sotto le ruote gli compare

salita che non ci doveva stare.

 

Anzi, prorompe in piedi fra i cipressi

mentre Chiarugi timido indietreggia

con Traversari e Bagnolin perplessi:

forse rimpiangono la lenta greggia

pensando al gioco cui son stati ammessi,

a Calandrino che si pavoneggia,

a Nucci che colmando il suo distacco

gli si presenta come Buffalmacco.

 

“Nucci, che fai? Ti vedo combattivo.”

Gli urlò. “Ma dimmi almeno una parola

così deduco che sei sempre vivo.

Se mia supremazia non ti consola,

allora annota quello che ti scrivo:

ti staccherò con una gamba sola!”

E Nucci a lui: “Vorrei che tu annotassi

che stiamo pedalando sopra i sassi.”

 

Proprio così: Boldrini se ne accorse

dopo trecento metri di ghiaino

ma non esplose d’ira e non insorse.

Per tre novelle come Calandrino

l’avevan preso per il culo, forse,

e qui reagì con spirto sopraffino.

Il volto a dire il vero era un po’ tetro

quando lo videro tornar indietro.

 

Circa dieci chilometri a ritroso

percorse per non farne due sterrati,

e i suoi pensier immaginar non oso

mentre tentava coi coscion fogati

di ritornar nel gruppo giudizioso

col presidente e tutti gli altri frati.

Ma giunta a San Vivaldo la milizia

del gabbato Boldrin non ha notizia.

 

Se infatti i quattro baldi avventuristi,

pur pedalando dentro un polverone

fra i lazzi d’un raduno di gippisti,

indenni arrivan a destinazione,

di Boldrin, salvo amabili imprevisti,

la scomparsa per sempre si suppone.

“Con questa recidiva di sterrato

s’è perso” dice il duca “un tesserato.”

 

Ma quando ormai è finita la speranza

e con lei l’ora delle sacre paste,

un chiorbuto ciclista sopravanza,

unto e sudato come un pancraziaste.

Sembra ch’abbia percorso gran distanza

con intenzioni invero poco caste.

Chi fu e se venne al riso oppur al pianto,

lo scopriremo forse in altro canto.