Quarantesima puntata 30/04/2006
Il timor pluviale consente di stabilire due clamorosi record di sollecitudine.
Lo sguardo di colui che tutto move
nel cielo bigio penetra e risplende
fissando i suoi ciclisti che son nove,
ed altri Caparrini non attende.
“Sbrighiamoci a partir finché non piove!”
E il gruppo con solerzia accondiscende:
son l’otto e dieci e già Via Baccio è sgombra
ma nessuno s’illude di far ombra.
Sfumata l’occasion di tintarella,
si spera di salvar l’itinerario
dall’incombenza acquosa che arrovella.
Ma Caparrin guardando il cielo vario,
s’erge su tutti fiducioso in sella
e dice: “L’orizzonte è assai precario
però in fondo, laggiù nel nostro verso,
scorgo un cielo che ambisce ad esser terso.”
Sovrastando il suo capo sulle spalle,
è come se il pensiero protendesse
verso il castello di Montefioralle,
meta di quelle poco o mai concesse
in virtù del suo breve e duro calle
che nel duemila pochi adepti oppresse.
“Questa salita d’inusata foggia”
disse “giammai fia vinta dalla pioggia!
Venite meco, o frati, che vi meno
a rifuggir questa perturbazione.
Venite dietro a me verso il sereno.”
Dice così passando la stazione
ove il plotone garrulo ed ameno
ai primi sprizzi percezion non pone.
Quando però colpiscono le lenti
i ciclisti alla pioggia son attenti.
Ma il duca senza cappellin ancora
terge gli occhiali con il polpastrello
e contro i loro dubbi li rincuora:
“Non v’ingannate, il tempo volge al bello.
Questa è pioggia fugace che s’ignora,
per cui non vale del pedon l’ombrello.”
Giunti sul ponte che scavalca l’Orme
le gocce prendon già più grosse forme.
“Sul material con cui m’hanno costrutto”
dice colui che rompe il primo indugio
“sta scritto: mantener in luogo asciutto.
Perciò senza cercare sotterfugio
io non aspetto d’esser d’acqua brutto
e torno senza mora al mio rifugio.
Io son Boldrin transgenico ciclista
che con l’acqua s’ammorba e si rattrista.”
“Fra pedalare fradicio cinque ore”
dice un altro “o dormir le stesse al caldo,
la prima è fonte di maggior dolore.
Vabbé, direte, sono forte e baldo
e di pioggia fors’anche non si muore,
ma su tal decision rimango saldo.
Son Tempestin e non procedo oltre
con la bici, e ritorno sotto coltre.”
“Di Tempestin” (è un terzo) “son collega,
e non mi pare giusto ch’io qui resti
a pedalar con l’umida congrega
mentre lui va tra quei che non son desti.
Di rimaner nessun di voi mi prega,
e prima che s’intridano le vesti
io vi saluto, miei compagni cari.
Ci si vede doman, son Traversari.”
“Non lo faccio per me che son temprato”
dice un quarto “a rovesci torrentizi,
ma per il mezzo mio ch’è sì pregiato.
Per preservarlo da brutture e vizi,
giammai pedalar posso sul bagnato,
così convien che a rincasar inizi.
Son Bagnol Elle, e questo giro breve
preferisco all’asfalto che s’imbeve.”
Due chilometri dunque furon fatti
e quattro concorrenti furon persi,
tanto da metter la puntata agli atti
della storia sociale e dei suoi versi:
primato di riduzionismo infatti
che facile sarà da mantenersi.
Ai quattro spetta quindi un premio d’onta,
e fama e lode a chi la pioggia affronta.
Con Caparrin Chiarugi è di tal dote,
e meritan menzion Bertelli, Nucci
e Zio con l’impensabile Nipote.
Sì, proprio lui, perseverante è Pucci
che sinora cantava sulle note
di crisi, botte, traumi ed altri crucci;
e invece è lì schizzato in mezzo ai folli
con mantellina della Nove Colli.
Mantellina e cappello pur si mette
Caparrin, infallibili amuleti.
Infatti dopo un po’ la pioggia smette
e s’aprono orizzonti mansueti
e strade asciutte per le biciclette
che vanno fino a Greve senza veti.
Greve rimane, a dire il ver, il cielo
ma il giro è salvo e rasciugato il pelo.
Montefioralle è una piacevol rampa
(che di percento arriverà a diciotto)
per tutto il gruppo che a Boldrini scampa.
Pure Nipote, normalmente cotto
su queste vie, stavolta non avvampa,
vestito come ai tempi del Barbotto.
Con gioia ognuno dedicando arranca
a chi pensò d’averla fatta franca.
Ben più piacevole novella porta
il cinerino ciel ch’ognor minaccia
a Mercatal nel chiacchiericcio assorta,
quando la sosta il gruppo si procaccia
e ovviamente Chiarugi fa la scorta
fuori all’addiaccio con conserte braccia,
pronto ad attender come sempre avviene
una mezz’ora di snervanti pene.
Ma dopo aver contato solamente
poche decin di pecore e d’agnelli,
vede il quintetto uscir dal bar repente:
pur l’insaziabil Nucci! pur Bertelli!
che a scanso d’abluzion ormai incombente
han trangugiato paste e mottarelli.
E grazie al cielo ci fu regalato
pur
quest’altro lodevole primato.