Trentesima puntata 02/10/2005
Ai confini della realtà. L'Empolitour a Volterra non celebra la sosta-Pagni
O voi ch’udite in rime sparse i suoni
delle vicende dei Ciclisti Erranti,
chiamate a voi parenti e testimoni,
chiamateli che intorno a voi sian tanti.
Chi brama le sorprese e le emozioni,
chi crede nei miracoli dei santi,
venga a sentir i fatti di Volterra
che faranno tremare luna e terra.
Ancora sbigottita è la favella,
ancor incredul è il vostro cronista
che ha assistito all’evento sulla sella.
Eppur non v’è delirio d’alcolista,
né febbre a quarantun sotto l’ascella,
eppur la vita spesso trita e trista
ci ha regalato un dì di cielo bigio
illuminato a festa da un prodigio.
Chi fia giammai che così freddo appaia
e a questo grande nunzio non esulti,
brindando con Brunello e Sassicaia,
empiendo il ciel di lazzi e di singulti,
ballando la taranta in mezzo all’aia,
scampanando come nei miglior culti?
Che si festeggia? Quest’è la risposta:
l’Empolitour cassò la sacra sosta.
Ebbene sì, lettori, è proprio vero.
Fermi! Che fate? Dove andate? In chiesa
ad accendere forse un grosso cero?
Prendete allora quello che più pesa
per dedicarlo al presidente altero
che meritevol fu di tanta resa.
E osanna per Martini e per Chiarugi
che lo plagiaron senza sotterfugi.
E se curiosità nel cor vi stride
per saper del prodigio la radice,
dirò come colui che parla e ride.
Dirò come colui che ride e dice,
pensando a Caparrini che decide
i giri solo per sostar felice,
e mai pensava di dover ritrarre
un dì la voglia di caffè nel barre.
Quel giorno partivamo per diletto
a pedalar fra torri ed alabastri.
Pochi eravamo e senza alcun sospetto.
Scrutava Caparrin nel cielo gli astri
temendo d’esser dal destin costretto
a far ridotto gir con gli altri impiastri.
Il ciel di pioggia gli pareva vago
ma di più cupa sorte non presago.
Si sa che in una classica d’annale
chi al percorso ridotto si consoli,
un’onta subirà redazionale;
ma al redento Mirmina e ai due Bagnoli
l’infamante menzione poco cale,
e le lor penne adatte a brevi voli
li privan dell’evento oltremondano
che effetto avrà dopo San Gimignano.
Uscirono bagliori cilestrini
dei mirabili colli lungo il bordo,
e riprese vigore Caparrini.
“Si va a Volterra,” disse “chi è d’accordo?”
Scosse la testa il prode Tempestini
e Zio al richiamo del duca fu sordo.
Quando vide le man chi aveva alzato,
ben tosto si pentì d’aver parlato.
Acconsentì Chiarugi che la sosta
è costretto a subir a collo obtrorto.
Acconsentì Martini a cui non costa
fatica pedalar senza conforto.
E Caparrin tentò pur la proposta
d’un misero caffè quasi da asporto.
Questa fu proprio l’ultima sua carta
perché vincesse Sibari su Sparta.
Ma Chiarugi parlò: “Se sosta-Pagni
impone a chi non vuol la maggioranza,
conviene Caparrin che non ti lagni.
In tre noi siamo e d’uno ti s’avanza.
Noi saremo di te fidi compagni,
ma di sostare lascia ogni speranza.
Or la classe spartana va al potere
e la sosta la pigli nel sedere.”
E Caparrin ricominciò: “Ahi lasso!
Abbiate, o frati, un po’ pietà di me
che senza cibo in bici mi sconquasso.
Non paste ridondanti, né bignè
vi chiedo, né focacce pien di grasso,
ma un unico e veloce vil caffè.”
Il silenzio seguito a questo prego
sapeva già di vindice diniego.
Volterra s’appressava, e il cielo terso
la fame risvegliò del presidente
che non aveva ancor speranza perso.
“Chi tace” sentenziò fra sé “acconsente.”
Chiarugi fiero, crudele e diverso
ben altro piano aveva però in mente.
“Bisogna star” pensò “dimolto fuori
dal raggio della Piazza dei Priori.”
Quando vide la Wilier Triestina
puntare verso l’agognata meta,
con mossa della bici repentina,
tosto la strada gli sbarrò completa.
“Non ci provar," disse "duca, declina
l’animo ed ogni tentazion acquieta.”
Eppur stremato Caparrin non tacque
supplicandogli almen l’onor dell’acque.
Questo di tanta sosta gli rimane:
acqua di rubinetto in tutta fretta
e cibo in tasca qual raffermo pane.
E renda grazie a quella vil barretta,
mangiata biascicando frasi vane.
“Non ci sarà più sosta in bicicletta.
Rinforzate perciò la colazione
ché è giunta l’ora dell’abolizione.”