Ventisettesima puntata 08/05/2005

Caparrini raduna un bel presepe davanti al nuovo e luccicante telaio

 

“D’ebano il corpo e d’ambra tersa e pura,

fini riflessi di prezioso rame

che la foggia più antica raffigura,

ordito crespo ed ondulate trame,

prato di stelle nella notte scura

che si riflettono nelle mie brame:

queste, lo dico senza ipocrisia,

son le bellezze della bici mia.

 

Caparrin se la lustra e se la guarda

oggi ch’è giunto dopo lungo parto

quel telaio di nobile alabarda.

“Provata me la son come dal sarto”

(così parla fra sé mentre si barda)

“ed or con lei per le Pizzorne parto.

Meno male che Brando, il mio meccanico,

m’ha stretto bene del sellino il manico,

 

perché dopo il Fossato non si dorme:

c’è da pigiare forte col sedere

su cotanta salita ancor abnorme.

Ma col telaio mio da gioielliere,

con sì leggiadre e sinuose forme,

avrò sull’erta solo da godere.

L’abito non fa il monaco, voi dite,

ma la bici un bel po’ fa le salite.”

 

His fretus, val a dir di ciò convinto,

il presidente indossa il suo gioiello

e lo esibisce fuori dal recinto,

dove si va formando un capannello

di ciclisti che sono lì in procinto

di venerarlo come il bambinello:

per quella folla trionfante e lieta

brillò nell’aere come la cometa.

 

“Orsù venite miei fedeli, adeste!

Venite orsù nell’umil capannuccia

ad adorar la Wilier di Trieste.”

La fila è lunga ma nessun si cruccia.

Si sporgon per vederla molte teste

e poi davanti a lei ciascun s’accuccia.

Ci sono, noncuranti dei disagi,

pur tutti e tre i Bagnol come re magi.

 

Quando la mette Caparrin in strada,

dopo una lunga ed impaziente attesa,

la folla intorno tutta si dirada,

e c’è ch’inizia con molta contesa

a palpeggiarla un po’ come gli aggrada.

E c’è chi la misura e la soppesa

e fa notar che sopra il bel telaio

c’è un sellino che pesa un grosso staio.

 

“Così vuol Brando” dice il presidente

che l’ha abbassato e me l’ha stretto ammodo,

ed io di lui mi fido ciecamente.”

Così, seduto Caparrin sul sodo,

comincia a pedalare fra la gente

che con plaude lo seguita e con lodo,

e mentre il biancazzurro mar s’increspa

arriva pur Masini con la vespa,

 

quella con la melodica marmitta

che, peggio di Boldrini e la Bertelli,

in gruppo bubbola e non sta mai zitta.

Lo chiamò Nucci con pietosi appelli

come conforto in tal salita ritta.

E prima che qualcuno lo corbelli,

si sappia che per essere trainato

mostra un autentico certificato,

 

ove più o men sta scritto: “Si dichiara”

(e lo dichiara autentico dottore)

“che Nucci per invalidante tara

goder può d’ogni mezzo propulsore,

rimanendo però in regolar gara

contro Boldrin od altro corridore.

È lecito perciò che lo rimorchi

anche Masin.” Firmato Dottor Borchi.

 

Ma a Caparrin torniamo, che pedala

sull’orgoglioso e luccicante mezzo,

come principe in abito di gala.

Ma gli dice Bagnol: “Se ben apprezzo,

o duca, la tua altezza intanto cala:

seduto sei più in basso d’un bel pezzo.”

La sella stretta dall’esimio Brando

infatti stava sotto il cul calando.

 

“Poteva andare peggio, sii contento.”

Disse Bagnol che riassettò la sella.

“Ricordo ancor un simile intervento

di Brando, che la bici di cesella,

quando con brugola e tenace intento

ti strinse il dado della pedivella

che poi estirpasti via per ovvi guasti

e su una gamba sola pedalasti.”

 

“Pensiamo alla salita,” disse il duca

che, se con sobrietà non è condotta,

è bene che alla botta ci conduca.

Da tempo ormai nessun più fa la botta,

però Bagnol, che poca bici bruca,

oggi può farla senza tanta lotta.

E se l’innato orgoglio non lo frena,

c’è pur Masin che può alleviar la pena.”

 

Il responsabil tecnico, non solo

sopravvive alla furia di Pizzorna

senza apparente affanno e senza duolo,

ma, prima una gran torta in bocca inforna,

e poscia s’allontana dallo stuolo

e diventa colui che non ritorna,

perché lui vuol la prova rinforzare

allungando il percorso verso il mare.

 

E pure Nucci, che ci angustia e tedia

con sempre nuovi e insoliti malanni

cui sempre poi per grazia egli rimedia,

anch’oggi si riveste dei suoi panni

e poi, chiudendo l’ilare commedia,

infligge a Zio e Boldrin parecchi danni,

e con la fame sua che mai s’assonna

fa strage pur di torta della nonna.

 

Che siano diventati tutti atleti

nonostante quell’evidenti pance?

L’Empolitour ci sveli i suoi segreti.

Son ben dotati d’adipose guance

ma scalan erte dure, gai e lieti.

Pagano il conto e lascian pur le mance.

Insomma il buon Masini con lo zaino

a casa ritornò senza dar traino.