Ventiseiesima puntata 01/05/2005

Vero ciclismo e vere soste nella Classica del Fossato

 

Oggi il maggio odoroso apre le porte,

ed i ciclisti al suon d’otto rintocchi

pedalan con le maniche già corte

e le brache che scoprono i ginocchi.

È l’occasion per quelle carni smorte

di darsi i primi frivoli ritocchi

di quell’abbronzatura con sudore

che invidia il contadino e il muratore.

 

Ma Caparrini sa che questi vezzi

oggi saranno tosto sopraffatti

da tinte e coloriti ben più grezzi.

“M’aspetto” dice “men che quattro gatti,

e tanto sian alle fatiche avvezzi

che giammai l’ambulanza si contatti

perché il salir è perfido e maligno

lassuso al tabernacol di Gavigno.

 

Noi lo chiamiam Fossato ed i pratesi

che l’han vicino non l’han mai scalato,

alcuni in auto, ma si son arresi.

Si narra che di quei che ci han provato,

noi solamente siam rimasti illesi,

gli altri fur tutti all’ospedal di Prato.

Dobbiamo, inver, scalarlo ogni due anni

per smaltire l’effetto dei suoi danni.”

 

Così, impaziente sotto il sol che spoglia,

il presidente vuol ciclisti dotti,

che sappian governar sudor e doglia.

A Bagnolin, Mirmina e Pelagotti,

che baldanzosi giungon sulla soglia

dice: “Per voi ci son giri ridotti.

Prima che siate degni d’esta rampa,

cresce molt’erba che il cavallo campa.

 

Chiarugi sì, Bertelli, Nucci, Zio

posson andare e passi pur Tempesta

e pur Boldrin lucente al solatio

e Giunti, che non sa quant’è molesta

questa salita, venga pur con brio.

Ed uno ancor da convocar mi resta:

quel Salani che fu di tuta e zaino

e che dovrebbe andar su senza traino.”

 

La valle onde Bisenzo si dichina

 festante accoglie i nove morituri

coi clacson d’ogni gita mattutina,

ma non v’è in gruppo alcun che se ne curi,

e c’è chi parla o pensa e c’è chi orina,

perché di fronte a quei tornanti duri

il terrore talor è tanto grosso

che c’è chi rischia di pisciarsi addosso.

 

A Vernio Caparrin mette la fascia,

Boldrin una fialetta strana beve

e Tempestini scatta e il gruppo lascia.

Ma Boldrin che da men esser non deve

lo bracca da lontano senza ambascia.

Tanto si sa che sarà fuga breve:

con quanta foga Tempestin su vada,

si sa che prima o poi sbaglierà strada.

 

Quando invece per caso si ritrova

sulla via giusta pria della pendenza,

Tempestini sa già che questa prova

non oltre esibirà la sua presenza,

e prima che il sudore sgorghi e piova

da cinque è sorpassato in tromba senza

un lampo di reazione che s’abbozza;

ma il sudor ora in terra fa la pozza.

 

Ora incomincian le dolenti spire.

La bici il movimento appena accenna

sotto pensose ed ondeggianti mire.

“Queste le fiamme son della geenna!”

Gridano mentre il cruccio va a salire

e la bici a sedere un po’ s’impenna.

E Nucci ch’osa pedalar a dodici

s’allontana ma con distacchi modici.

 

Boldrini e Zio son archi con le schiene

e quando vedono fuggir la preda

capiscon che seguirla non conviene,

e Nucci uno non è che in testa ceda.

Salani è lì a gonfiare le sue vene,

anche se ci sarà chi a ciò non creda,

eppure è lui che rantola e si sforza

per digrossare la sua imberbe scorza.

 

Con lui Chiarugi osserva a passi scarsi

gli scarti che a vederli sembran corti,

ma cento metri lì son lunghi a farsi.

Tutti quei nove madidi e contorti,

da pedalate ignivome riarsi,

ogni metro che acquistan son più morti.

Come possa arrivar pare un miracolo

l’enorme Caparrini al tabernacolo.

 

E invece è lì che sbuffa, suda e pigia

per evitar l’ingrata posizione

cui la sua stazza in questi agoni è ligia.

Giunti davanti a lui non si scompone

e nemmen la Bertelli callipigia,

nonostante il suo fiato sia un tifone

e, nel tentar il record di scalata,

il suo sudor diventi una cascata.

 

Sì, perché Caparrin non s’accontenta

di sopravviver al Fossato fello

che ciclisti di lui più smilzi annienta,

egli, negando di voler far quello,

di migliorar il suo primato tenta

anche col pesantissimo cancello.

Nuota nel suo sudore come un pesce

ma alla fin, e di molto, ci riesce.

 

Ah, qual prodigio di cotanta massa

che su quell’erta via dispiega l’ale

e pure Giunti all’ultimo sorpassa!

Ciclista più cancello fa un quintale:

trascini trenta chili in una cassa

e dica Nucci poi come si sale.

Quando avrà Caparrin nuovo telaio

li farà pedalar tutti col saio.

 

Passata è del Fossato la tempesta,

ma sulla via dell’Acqua e l’Acquerino

non odo ancor augelli fare festa.

Caparrin sulla bici è ancora chino,

Boldrini e Nucci parton lancia in resta;

il primo ha fretta, l’altro un languorino

col quale poco dopo si smascella

in gran schiacciata con la mortadella.

 

Ora sì che fan feste gaie e ricche

davanti al venditore di croccanti,

al sol pratense adatto al picchenicche.

Si riconoscon qui i Ciclisti Erranti,

e pur Boldrin che freme e fa ripicche

si ferma nominando Cristo e i santi.

Mentre l’integrator di Tempestini

è un sacchetto di gialli brigidini.

 

Qui ci vorrebbe una prolunga d’arte

per descriver la smisurata pena

del satollo ploton quando riparte.

Per non parlar di un’altra sosta oscena

fra tanti arzilli giocator di carte,

dove lo Zio rimangia come a cena.

Ma con pudore è bene che risparmi

l’ormai spossata musa in altri carmi.