Venticinquesima puntata 17/04/2005

Invocazioni ed amuleti per scongiurare la pioggia al parco di Cavriglia

 

“O ingrate nubi, tumide e ferali,

perché da un po’ di tempo vi celate

e disperdete in tutti i dì feriali,

e solo di domenica, voi ingrate,

con l’umore di messe e funerali,

regolarmente in ciel vi radunate

come minaccia oscura sulle teste

di chi s’allena solo per le feste?

 

Io, che son un di quelli, vi scongiuro,

aprite vaghi varchi cilestrini

nel vostro impenetrabil manto oscuro.

Io son (ma s’è capito) Caparrini

e vi chiedo con cuor aperto e puro

che il vostro umore mesto non rovini

la Classica che al Chianti un po’ somiglia

ma che culmina al parco di Cavriglia,

 

dove cinghiali, lama, daini ed orsi

ci aspettan dopo un corso ardito e tosto,

famelici qual noi, senza rimorsi.

Son anni che lassù dimoro e sosto

coi miei compagni prodighi di morsi

e di venerazion al Girarrosto:

quel nobil instrumento più m’alletta

d’ogni lunga salita in bicicletta.

 

Mufloni arrosto, cosce d’orso e lama,

petti di struzzo e di dodo verace,

sono i traguardi della nostra brama.

Opossum, cervi, bradipi alla brace,

rosticciane di scimmia: questo sfama,

questo è l’arrivo che di più mi piace.

Alle più dure rampe mai non cedo

se in premio danno un bufalo allo spiedo.

 

Ricordo che con Pagni alla riscossa

facevamo razzia d’oche e di starne,

lasciando al parco piatti colmi d’ossa.

Se la pioggia ci appieda, quella carne,

che merita soltanto chi si spossa,

lassù più non sapranno cosa farne.

Ma un’altra, se il seren non prende spazio,

è la cagion per me di maggior strazio.

 

La pioggia, pur battente, non mi nuoce,

ben più duro supplizio non impetro:

la Bertelli che bubbola a gran voce,

perché se vede pioggia o cielo tetro

diventa un’assillante e grave croce,

e ad ogni bivio vuol tornare indietro.

Togliete o nubi dunque la minaccia,

acciò che la Bertelli almeno taccia!”

 

Sarà per tal commossa sua preghiera,

ma il manto per davvero si dirada

e Caparrin al Girarrosto spera,

raccogliendo sulla pur molle strada

di sei ciclisti un’imprevista schiera,

e lo confortan già, comunque vada,

Chiarugi e Giunti che giurano pronti

fedeltà nel percorso senza sconti,

 

mentre Boldrin e Tempestin con gli atti

dichiarano fuggenti il loro taglio

e insieme all’egro Nucci van compatti,

senza rischiar l’acquatico travaglio

ma pigliando, com’equo tra i baratti,

per tutto il tempo di Bertelli il raglio;

forse così ciascun di lor si bagna

non con la pioggia, ma con la sua lagna.

 

Questa scission avviene a San Donato

e Caparrin con la fedel pariglia

si sente finalmente rilassato.

“O frati” disse “che per venti miglia

avete la Bertelli sopportato,

niente più v’osterà da qui a Cavriglia

se avrete fede nei precetti miei

e in tasca mantelline e kappa-way.”

 

Nessun dei due scudieri era perplesso.

Giunti giurava senza dir la base

che il tempo si sarebbe al bello messo,

e intanto il nero l’orizzonte invase.

Chiarugi, di razionalismo impresso,

blandiva Caparrin con questa frase:

“Se indosserai convinto il tuo cappello

il tempo volgerà per sempre al bello.”

 

Sappiamo che alla testa il presidente

concede (e sol salendo) una vil fascia:

niente cappello, e casco men che niente.

Però al cappello una speranza lascia

quando piove e la strada è discendente

(perché in salita gli dà troppa ambascia).

Chiarugi lo blandisce con le prove

che quando si ha l’ombrello allor non piove.

 

Infatti, quando Caparrin fa il gesto

d’estrarre il cappellin, di palo in frasca,

il cielo si disvela a tutto sesto,

ma non a lungo in tal tranello casca

perché in ugual misura torna mesto

se Caparrin il copricapo intasca,

e a Radda alfin lo intasca a permanenza

quando inizia salita in gran pendenza.

 

È una salita inedita per tutti

che scopron d’Albola il castello a destra

e il cassero a sinistra, ancor asciutti.

Salita silenziosa e poco destra,

i tre l’affrontan taciti ed instrutti

mentre il sole li guarda alla finestra,

loro che ondeggiano sull’erta via

senza saper un cassero che sia.

 

Sanno però d’essere giunti al parco

e vi giungon sudati proprio mentre

chiudon le nubi di ciel ogni varco.

In totale i visitator son ben tre,

e Caparrin, che pur è il meno parco,

decide di graziare l’ampio ventre.

“Nessun arrosto,” disse sconsolato

“ma fetta di pattona al cioccolato.”

 

Di Chiarugi l’inedia ancora taccio,

ma di Giunti non tacerò l’impresa

della deglutizion d’un castagnaccio.

Poi comincia la fervida discesa

e uno sparuto gocciolare ghiaccio,

sebbene sporga l’ingraziante tesa

sul capo a Caparrin definitiva,

come amuleto che la pioggia schiva.

 

Il trucco funge un po’ fino a Cintoia,

ma poi nemmen il kappa-way in estremo

impedisce una fine annaffiatoia.

Non era pioggia da viaggiar col remo

e nemmeno di quella che s’ingoia,

ma nessun indumento ne fu scemo.

Per venti miglia furon sotto l’acque

però felici che Bertelli tacque.