Ventunesima puntata 09/01/2005

Dove si narra di ostacoli e peripezie sulla strada che porta all’adorazione del Secci

 

A Strada in Chianti vita sua trascorse,

e ancor trascorre, un corridor d’agone

che sotto gli occhi adesso ha rughe e borse

ma negli anni cinquanta era un adone

che vinse ben quarantanove corse.

Secci si chiama, detto, par, Ponzone

perché quando la strada era pendente

ponzava più del nostro presidente.

 

L’Empolitour lo venera da quando

vide sua foto dentro il bar appesa

che lo mostrava giovine e mirando.

Da allora tornò a Strada come in chiesa

a cercar quel ciclista venerando

che narrava sue gesta con sorpresa.

Altrimenti che cosa andrebbe a farci

un gruppo in quel fumoso circol ARCI?

 

Nuove stagioni poi, nuovi baristi

passarono da Strada, e quella foto

finì sua vita in recipienti tristi.

E non solo cessò di quell’ex-voto

l’alacre culto dei nostri ciclisti,

ma pure il Secci in carne parve ignoto

(aspettava a venir nel bar, si disse,

che il gruppo querulo si dipartisse).

 

Caparrini però che mai credette

a questa diceria, rinnovar volle

tal processione con le biciclette.

“Trovare il Secci vale più d’un colle”

diceva “o di veder un par di tette.

Egli è l’agnel che le peccata tolle,

rinunciarvi sarebbe un grave insulto

ai sacri dogmi dell’alacre culto.”

 

Con tal lezion convinse pur stavolta,

sebbene i nembi non fosser propizi,

una schiera d’adepti molto folta

disposta ad onorar quei sacri uffizi,

anche perché con gente esperta e colta

v’erano molti increduli novizi

che, pur svezzati agli usi goderecci,

non avevan però mai visto il Secci,

 

tanto per dir, Mirmina e Bagnol Effe

mai nemmen giunti in bici a strada in Chianti.

E ciclisti vi furon a bizzeffe

che venuti son là pellegrinanti

subendo la peggiore delle beffe:

trovar del Secci quei luoghi vacanti

e uscire malinconici e negletti

senz’esser dal maestro benedetti.

 

Unanime fu il coro: “O Secci, o morte!”

“Stavolta non ci sfugge, lo si trova!”

Gridava in testa Nucci, l’uomo forte.

“Venite meco in questa strada nuova:

io la conosco, renderà più corte

le aspettative della nostra prova.

Vogliam presto toccar le sacre sponde!

Vogliam il Secci senza tante fronde!”

 

Dopo due miglia di sospetta quiete,

al fin della geniale scorciatoia

davanti a loro si parò una rete

invalicabil, senza feritoia.

Caparrin, ch’ama solo vie concrete,

tornò subito indietro con gran gioia

mentre Nucci il suo genio non trattenne

e scavò un fosso sotto le transenne.

 

Di lì passaron molte bici ardite

coi valorosi e chini condottieri

Nucci, Bertel, Chiarugi e, udite, udite,

Mirmina e Bagnolin, striscianti e fieri

che con la loro taglia alquanto mite

entravano nel fosso pure interi.

E un ospite v’entrò con i gambali

e il marchio di Carrozzeria Pasquali.

 

Ma Caparrini no. Già a Montelupo

era tornato con pavida fila:

per un sol metro scarso di dirupo

ne fecero di strada cinquemila.

“Io la bici novella non ci sciupo!”

Gracidava Boldrini come un’ila.

E Nucci ch’è avversario rispettoso

lo attese rallentando il passo ansioso.

 

Caparrini, pur senza ipotizzare

che bisognasse giungere più presto

per incontrar il Secci sull’altare

(ch’è un po’ tardo, si sa, nell’esser desto),

propose, ed è incredibil, di variare

il giro ch’emanò nel sacro testo.

“Perché” opinò così “non si dichina

da via di Sant’Andrea di Percussina?”

 

Ma Nucci in testa al gruppo, l’uomo sveglio,

s’oppose all’incredibile proposta

gridando: “No, venite meco, è meglio!

Di qui s’arriverà prima alla sosta.

Io conosco le strade e le sorveglio,

di qui s’accorcia e niuna rete ci osta.”

E attratti da quest’autorevol esca

fecer quel che si dice un giro pesca.

 

Tutti men due: Chiarugi e Bagnoletto

che per provare nuove sensazioni

optaron per il circolo più stretto,

da Machiavelli e poi da Montebuoni

dov’era un’erta che faceva effetto.

“Bagnol,” disse Chiarugi “ora disponi

l’animo in pace senza fare motto

spingendo a più non posso sul ventotto.”

 

Bagnolin sulle prime un poco avvampa

ma un sol pensiero fisso lo consola

mentre zigzaga assai di rampa in rampa,

mentre sudor sanguigno assai gli cola:

il pensiero di legger sulla stampa

che ha staccato Boldrini senza fola,

un distacco abissale, addirittura,

che con la sveglia grossa si misura.

 

Con anticipo dunque e con fierezza

i due approdaron al secciano tempio

ove il vino si beve e il pan si spezza,

ma senza il Secci a dare il buon esempio

videro folla snaturata e grezza

attorno ad un ordigno tristo ed empio,

a guisa d’elettronico profeta

che sembrava mangiar molta moneta.

 

Rassegnati aspettaron sulle soglie

l’apparizion del Secci, o perlomeno

dei lor compagni le tardive spoglie

che sembravano aver tirato il freno

o aver subito chissà quali doglie.

Poi come suole un italico treno

tagliaron il pregevole traguardo

con diciotto minuti di ritardo.

 

“Secci o non Secci, ch’abbia inizio il rito.”

Disse il duca scendendo dalle ruote.

E tutti con locustico appetito,

ignari dell’atteso sacerdote,

assaltaron il tavolo imbandito

e fin a che il barista ne ebbe in dote

snocciolaron un carico di paste

invece di preghiere pure e caste.

 

Quando poi arriva il Secci all’improvviso,

come un folgore tra le nubi grigie,

estatico nello splendente viso,

tituba un po’ tra quelle facce ligie

al gozzoviglio e al rumoroso riso,

e zitto al videopoker si dirige,

passando tra quelle calzate cosce

nessun ciclista, ahimè, lo riconosce.

 

Sobrio, digiuno e più fisionomista,

Chiarugi tardi riconobbe il vate

e a Caparrini segnalò la svista.

E Caparrini al Secci: “Perdonate

noi che siam fissi ai doni del barista.”

Ed egli a lui: “Ragazzi in pace andate!

D’avermi risparmiato vi ringrazio

la foto insieme a voi, ch’è un vero strazio.”