Seconda puntata 25/01/2004
Ardimentosa spedizione all’antico maniero del pistoiese Caffè Valiani
Mai doma dal destin, ognor invitta
è d’un ciclista errante la virtute,
così pur Nucci dopo la sconfitta
non domo fu d’altre proposte astute,
e sull’ingegno suo che non s’affitta
le nostre carte non staranno mute.
“Possa” egli disse “tirar qui le cuoia
se non andremo a conquistar Pistoia!
Là c’è locanda nobile e feconda,
Pasticceria Valian per l’esattezza,
dove ogni pasta lievita e ridonda.
La sua vetrina è un’arte di dolcezza,
la mia saliva al sol pensier già gronda
e questa volta gronda in sicurezza,
perché da fonti certe m’informai
che stamattina è aperta e poi giammai.”
E Caparrin che contraddir non osa
l’astuto segretario, fa il suo conto
di chilometri e poi lo mette in prosa:
“Di tanta sosta, certo, non m’adonto,
però sarebbe assai gradita cosa
non limitarci a un vile San Baronto,
perché sennò, se il conto mio non guasta,
un chilometro vien per ogni pasta.”
Ma l’estro non è merce limitata
ai maschi Empolitour, come si pensa,
perciò parlò la callipigia fata:
“Io vi propongo gita bella e intensa
che per silvestre strada e perturbata
ci conduca alla dolce ricompensa.”
(Caparrin per sussiego non protesta
ma di nascosto già scuote la testa).
“Grillaio, Signa, Carmignan, Pinone
e Vitolini e Faltognan e Vinci.”
La fata snocciolava il suo sermone.
“E su per San Baronto, e quindi e quinci
giù verso la meringa e il bombolone.
Venite meco fidi, orsù, perdinci!”
(Caparrin saggio e provvido satrapo
sempre più intensamente scuote il capo).
Chissà se fu la mattinata grigia
o Caparrin che troppo il capo scosse,
oppur sapevan che non troppo ligia
a questioni geografiche ella fosse,
ma dietro alla Bertelli callipigia
nessun ciclista Empolitour si mosse
ed ella in modo tacito e compito
se la legò bonariamente al dito.
“Maledetti da Zeus ciclisti maschi!”
Disse compita. “Pane per focaccia,
il pene vi si strozzi e poi vi caschi.
E abbiate sete e vuota la borraccia,
e fame senza cibo che s’intaschi,
o vi vada a traverso e pro vi faccia
il caffè col cremoso maritozzo
e v’ustioni la lingua e il gargarozzo.”
Tanto gentile e tanto onesta pare
che tutti per scongiuro o per prudenza
si toccan dove il sol non va a brillare,
e quando scocca l’ora di partenza
v’è sol certezza per il desinare
ma per la via non vince preferenza.
“Diamoci” disse il duca “almen l’abbrivio
e poscia si decida ad ogni bivio.”
“Vedrete” disse Nucci “il pistoiese
Caffè Valiani quant’è ricco e antico.
Che sono quelle facce bieche e tese?
Io son Nucci polifago e vi dico
che vedrete di paste ampie distese
e fumante caffè raro e lubrico,
mi par già di veder la bianca spuma
di quel caffè che fiocca e che profuma.”
In effetti qualcosa venne a fiocchi,
ma non era l’onirica bevanda,
era una neve vera e senza abbocchi.
Poco piacque alla truppa veneranda
questa canizie sulla via e sugli occhi,
sì che fu gara per tornar in branda.
La vinse dopo un miglio Remo Borchi.
“La via di casa qui convien che inforchi.”
Secondi a riabbracciar gli usati letti,
quando sentiron ghiaccio sulla zucca,
furon Boldrin e il bradipo Boretti.
“Ma dove andate, gente vile e stucca!”
Gridava invano Nucci a quei negletti.
“Tornate indietro, gente vile e crucca!”
E mentre ciò gridava, Caparrini
fuggiva nel biancor con Tempestini,
con Pagni, Giunti e il fido Elle Bagnoli
che se ne andò dopo pochi secondi.
E lor, col passo di chi fa pinoli,
pedalaron asciutti e inverecondi.
Ben sei crudel se tu già non ti duoli
pensando a come Nucci si sprofondi:
niente Valiani ma cipolla e pane,
e pedalar su neve con il cane.