Diciottesima puntata 21/11/2004
In una calda domenica di gelo Mirmina lava l’onta di San Donato in Poggio. E Caparrini imbonisce.
Dove sono finite quelle mezze
stagioni poste tra il fiorir degli orti
e dell’inverno l’algide carezze?
Quei novembri autunnali sembran morti,
e il verno che raddrizza peli e trezze
ci sorprende che siamo in calzon corti.
Così si passa in una sol puntata
dagli albicocchi in fiore alla brinata.
Del gelo gode nel natio suo vicolo
Caparrin che dal freddo si difende
coll’adiposo morbido pannicolo,
e mentre i soci imbacuccati attende,
qualche social ed invernal articolo
giacente in magazzin, con arte vende.
Anzi, dire si può senza vergogna
che con arte impagabile sbologna.
I guanti, per esempio, quei che Vifra
per invernali e tecnici ci spaccia
e che costan innominabil cifra,
lascian la mano sì dolente e ghiaccia
che dopo un po’ nemmen più si decifra
come man, tanto il sangue perde traccia.
Conviene che li paghi e se li pigli
il Conte Zio che ha mani come artigli.
A tali guanti felli e maramaldi
Caparrini via allega i sottoguanti,
fingendo di smerciarli come saldi.
La man con questi gela in pochi istanti
e poi è impossibile che si riscaldi:
però son molto belli ed eleganti.
Li compra il Conte Zio ch’ama lo sfarzo
e tien le mani ghiacce fin a Marzo.
Dunque contento del lucroso affare,
Caparrini divenne condottiero
d’un folto gruppo lento a pedalare.
Le mani dentro ai guanti sottozero
prendevano un aspetto similare
a quelle fatte in material di cero.
E per incanto nella bianca brina
risplendeva il giallore di Mirmina.
Sì, proprio lui che volle far ritorno
a San Donato in Poggio ormai distinto
per il suo ameno e memorabil scorno,
quando partì con piglio assai convinto
e poi si cosse come abbacchio al forno,
finendo come l’uom che va sospinto.
Ora promette di rigare dritto
ritornando alla scena del delitto.
Il freddo intanto inizia a fare effetto:
Chiarugi scappa, Giunti ha il naso rosso,
Boldrin ha chiazze in viso di violetto
e indietro Nucci ponza a più non posso.
Tempestin muta d’abito e d’aspetto
e Borchi trema con sei strati addosso:
ognun nasconde nelle proprie gote
il soffio del rigor che li percuote.
Quand’ecco, mai bramata com’adesso,
arriva la salita e il sole langue,
entra nei corpi e chiede anche il permesso.
Comincia a circolar di nuovo il sangue,
e solo il piede nella scarpa impresso
rimane muto e tristemente esangue,
così se spinge forte sul pedale
vorrebbe il caldo ma si fa del male.
Ma nessun gelo ormai li può distrarre
i ciclisti, che dopo breve rampa
anelano d’entrar nel caldo barre.
Caldo per chi di sigaretta campa:
il fumo qui si taglia a scimitarre
così che qualcheduno tosto scampa
nel sole che pur fuori brilla e tepe,
e le lucertol escon dalle crepe.
Ora non solo Caparrini gode,
non sol Elle Bagnol di dura scorza,
ora si gode tutti senza frode.
I ciclisti ritrovan sangue e forza
e tesson alla bici dolce lode
sul saliscendi che giammai si smorza,
e il bel Mirmina pur con gambe in pappa
vendica l’onta dell’antica tappa.
“Carmel non zigzagar!” Intima il duca.
E lui sullo strappaccio di Marcialla
naviga dritto come una feluca.
Muove le spalle come una farfalla,
muove i molar com’uno che manduca
ma la sua bici è dritta e giammai balla.
Mirmina versa un’abbondante bava
ma l’onta dell’esordio adesso lava.
Caparrini così gli va vicino
e col pretesto d’odi e complimenti
gli prova a vender guanti e completino.
“Sei degno dei sociali paramenti.
Ho un campionario assai lussuoso e fino
che aspetta i tuoi copiosi versamenti.
E giacché superasti quest’ordalia
degno sei pure del Giro d’Italia.”