Diciassettesima puntata 07/11/2004
Dove, in mancanza di meglio, siamo costretti a cantare le gesta di Boldrini
Dove sono finiti quei novembri
in cui con l’aere nubiloso e rude
verdeggiavan soltanto ulivi e cembri?
Fra poco quest’autunno si conclude
e qui si vaga acciò che estate sembri
in bicicletta con le gambe ignude.
E di Bagnol e Caparrin si taccia
che ignude pur ostentano le braccia.
Se tu ricerchi gli albicocchi in fiore
e del prunalbo l’odorino amaro,
li trovi per davvero, e col tepore
anche il cielo ai ciclisti par più chiaro
e delle cosce di Boldrin l’afrore
nel clima floreal par men discaro.
Ma già purtroppo siamo al tristo punto
di cantar di Boldrin gasato ed unto.
Bisogna prima farsi un po’ coraggio
e poi sperar che tosto la memoria
ceda al terrore di cotanto oltraggio.
Ah quanto volentieri questa storia
sotterrerei in ermetico imballaggio
come se fosse radioattiva scoria!
Ma l’etica di questa narrazione
vieta il tacer quando Boldrin s’impone.
Vorrei girare intorno all’argomento,
parlare ancor delle stagioni morte,
delle foglie che trepidano al vento,
di quelle bici in equilibrio assorte
che solo nel diuturno movimento
vivon gli arcani della loro sorte.
Preferirei vedere fogli intonsi
su quel che accadde dopo Poggibonsi.
Fin a quel punto tutto era tranquillo:
il gruppo veleggiava unito e folto
senza subire di Boldrin l’assillo,
ma quei ch’osavano fissarlo in volto
notavano il torpor d’un coccodrillo
tutto in attesa della preda volto,
con gli occhi suoi chirghisi ed infingardi
che trafiggevan gli altri come dardi.
Lo lasciavan perciò tirare in testa
a chiorba bassa come più gli aggrada
ed andatura nemmen tanto lesta.
Bisognava però tenerlo a bada
perché con l’ansia d’imminenti gesta
andava dritto per errata strada
e dietro per pigliargli un po’ d’abbrivio
non l’avvertivan del fallace bivio.
Sfruttaron Nucci e Giunti tal giochino
per staccare Boldrin di qualche spanna
nella salita detta il Cipressino,
ma lui cogli occhi torvi sulla canna
ed il furor braccante d’un mastino
li risucchiò come montata panna
e verso Barberino di Valdelsa
prefigurò la sua vittoria eccelsa.
Dietro di lui con smisurata pena
Nucci, Tempesta, Zio, Chiarugi in coro
ci mettevan eppur parecchia lena,
ma tanto strenuo fu l’impegno loro
quanto pietosa alfine fu la scena
di questo inseguimento con disdoro.
Muta ed affranta l’umile quadriglia
pensava: “Tanto ormai non si ripiglia.”
D’orgoglio e fiato erano troppo scarsi
mente svaniva la pelata crapa
di Boldrin pien di mistica catarsi.
Quando lessero poi “Sosta del papa”
furon tentati proprio di fermarsi
piuttosto che cavar sangue da rapa.
Li guardava da lungi quel fuggiasco
agitando la chiorba senza casco.
Per rendere più ontosa la faccenda
del forse più avvilente fra gli agoni,
i quattro si beccavan a vicenda
come di Renzo i miseri capponi,
e Boldrini com’un che fa merenda
pedalava godendosi i polmoni,
mentre i cappon da lui ben cotti arrosto
lottavano per il secondo posto.
Così il ciclista dalle grosse polpe
irrise quegli insulsi inseguitori
che piansero in silenzio le lor colpe
e furono dolenti spettatori
del prode che ululava come volpe
per esternare i suoi festosi umori.
Speravan di tirargli un’altra burla
ed invece di lui subiron l’urla.
Poi giunto Caparrini interrogante
disse: “Vergogna a voi quattro negletti
che vi fate staccare da un mutante!
Lassi fin alla punta dei tacchetti,
prendete esempio di virtù flagrante
dagli opimi Bagnol Elle e Boretti
a caccia di Bertelli che non scappa
poiché le duole la sua soda chiappa.”
Finisce qui il ricordo doloroso
e poi convien che il gruppo si decimi
lungo la strada del ritorno ondoso,
dove gli ultimi furon proprio primi
perché notando il gruppo neghittoso
fuggì la coppia dei ciclisti opimi,
così a staccar Boldrini furon soli
nientemen che Boretti con Bagnoli.